L'arte del pizzaiolo napoletano entra nel patrimonio immateriale dell’Umanità dell’Unesco

Luciano Pignataro (December 08, 2017)
Il cibo più povero di Napoli è diventato patrimonio immateriale dell’Umanità riconosciuto dall’Unesco. Anzi, per la precisione, l’arte di prepararlo e di cuocerlo, l’Arte del Pizzaiolo Napoletano. Può sembrare un sofisma ma in realtà è una differenza sostanziale perché il successo di Seul non ha un riflesso concreto, pratico, sull’attività delle pizzerie, non è un marchio di certificazione, per essere chiari. Ha lo stesso valore di tutela di un monumento, di un centro storico, di un paesaggio, di una comunità. E la responsabilità di questa tutela è degli Stati nazionali, l’Italia tocca quota 54 da ieri, che devono appunto preservare questo bene per le generazioni future.

Insomma, più o meno come è avvenuto con la Dieta Mediterranea, il riconoscimento Unesco consente alle Associazioni di muoversi per tutelare l’Arte del Pizzaiolo attraverso convegni, l’allestimento di musei specializzati, il recupero della memoria che per quanto riguarda la pizza napoletana risale almeno al ‘600.

La decisione è stata presa all’unanimità, ma non è stata una passeggiata per la delegazione italiana capeggiata dall’ambasciatrice italiana all’Unesco Vincenza Lomonaco e coordinata dal professore Pier Luigi Petrillo. Le premesse iniziali di questa maratona giocavano tutte a favore dell’ottimismo: la raccolta di due milioni di firme, una mobilitazione senza precedenti a favore della tutela di un bene, promossa da Coldiretti, Cna, Fondazione Univerde presieduta dall’ex ministro Alfonso Pecoraro Scanio, Associazione Pizzaioli Napoletani, Associazione Verace Pizza Napoletana. E non solo: anche il parere favorevole della Commissione a Parigi. Un atto non vincolante ma sicuramente di indirizzo politico.

Ma quando il fascicolo del dossier è arrivato a Seul insieme ad altre 34 proposte le cose si sono un poco complicate. Il motivo? L’effetto delle parole in un mondo globalizzato e piccolo nel quale il termine “Pizza” non è affatto identificato con Napoli, ma con le grandi catene Americane e alcuni rappresentanti degli stati presenti all’assemblea che doveva decidere hanno iniziato a chiedersi se non si stava facendo un favore alle multinazionali del settore. Questo, secondo le indiscrezioni, sarebbe stato il vero motivo del rinvio della votazione dal 6 al 7 dicembre che ha fatto saltare il banco mediatico al ministro Dario Franceschini che si è presentato a Capodimonte quando la decisione ancora non era stata presa. Una mossa singolre, considerato che il suo ministero non aveva votato a favore della candidatura in sede italiana pronunciandosi invece a favore dei riti celestiniani.

Queste spiega anche alcuni momenti di tensione che si sono registrati nella giornata di mercoledì, con un appello su Facebook di Antonio Pace dell’Avpn, Sergio Miccù dell’Apn e di Gennaro Masiello della Coldiretti a non festeggiare prima del tempo, a non dire gatto se non ce l’hai nel sacco per parafrasare il Trap.
Il resto è cronaca delle ultime ore. La delegazione italiana riesce a respingere i più recalcitranti che la proposta non favorisce le multinazionali ma, al contrario, circoscrive bene il livello artigianale dell’arte del pizzaiolo napoletano che ammacca pizza dopo pizza e le informa con cura. Stagliare, ammaccare, tecnica dello schiaffo: un sapere antico che sinora è stato condificato dal disciplinare Stg (Specialità Tradizionale Garantita). Poi alle 4,30 ore italiane il via libero unanime. Certo, manca ancora la proclamazione ufficiale a conclusione dei lavori, prevista per sabato 9 dicembre, ma ormai anche da Seul si rompono gli argini e partono le foto con il segno di vittoria della mano mentre a Capodimonte, nella sede dell’Avpn si seguono i lavori in diretta streaming.

La bomba mediatica esplode sui social e sui siti internet sin dalle prime ore dell’alba e trova la categoria più social del settore enogastronomico pronta a rilanciare con foto, proclami, condivisioni: uno tsunami che porta l’hashtag #pizza al primo posto su twitter, nel quale ciascuno cerca di farsi vedere per un secondo sulla cresta dell’onda. Sono previste feste, lunedì la conferenza stampa ufficiali dei promotori della raccolta di firme che hanno lavorato per quasi tre anni al progetto Unesco.

In questo percorso sicuramente il ministero dell’Agricoltura ha fatto la sua parte in un contesto in cui il legame tra la produzione agricola di qualità e la gastronomia esprimono un valore aggiunto in termini di crescita di Pil e di export soprattutto nel Centro Sud, da sempre grande dispensa di biodiversità.

Questo riconoscimento avviene in un momento molto fortunato per la pizza napoletana, in piena espansione non solo in provincia ma anche in Italia e nel resto del mondo. Il motivo di questa crescita è nel fatto che si tratta di un prodotto identitario di una intera comunità, maturato in condizioni specifiche assolutamente uniche che ha trovato circa 30 anni fa la sua prima cristallizzazione nelle regole scritte per l’approvazione del marchio europeo Stg.

Oggi la pizza rappresenta, grazie al miglioramento costante, il lusso accessibile a tutti, alle famiglie che vogliono uscire la sera e che desiderano mangiare cibo che fa bene e di qualità. Proprio la corsa alla qualità, la competizione, è stata una costante degli ultimi anni a Napoli e in Italia. Sono nati altri modelli ma c’è una differenza: la pizza napoletana è l’unica legata alla storia di un popolo e non di un singolo individuo.

Luciano Pignataro lavora al Mattino, dove da anni cura una rubrica sul vino seguendo dal 1994 il grande rilancio della viticoltura campana e meridionale. Al centro dei suoi interessi ci sono la ristorazione di qualità, la difesa dei prodotti tipici e dell’agricoltura ecocompatibile. E' autore di diversi liberi e ha anche un blog molto visitato. >>
 

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