Napoli ritrovata a New York

Simona Frasca (September 24, 2007)
La proiezione napoletana di "Closing Time", il documentario della giovane filmaker Veronica Diaferia sulla chiusura del negozio di Rossi a Mulberry Street, ha regalato alla città italiana uno degli eventi più intensi della sua storia perché le ha restituito il racconto della vicenda avventurosa dell'editore musicale Ernesto Rossi...


... partito in cerca di miglior fortuna per New York negli anni dell'emigrazione di inizio Novecento. Nella città americana Rossi mise in piedi un negozio di musica che divenne il luogo di snodo della musica napoletana e poi italiana negli Stati Uniti. A presentare il film a Napoli accanto alla regista, la mattina del 3 settembre, in occasione di una giornata di incontri dedicati alla canzone napoletana organizzata dall'Archivio Sonoro della Canzone Napoletana negli storici locali del Salone Margherita, c'erano Ernie Rossi, il nipote di Ernesto, e lo studioso Francesco Durante, autore di "Italoamericana", la monumentale antologia, edita dalla Mondadori, di documenti, memorie e brani letterari che illustrano la storia dell'emigrazione italiana in nord America.


Il pubblico napoletano ha seguito con attenzione la storia filmata dell'intrapresa commerciale di Rossi durata quasi 100 anni, qualcuno tra i più anziani addirittura l'ha disconosciuta a voce alta, segno di una rimozione ancora in atto nella memoria di molti italiani/napoletani. "Ernie ed io - mi racconta la regista dopo la proiezione - siamo rimasti letteralmente sconvolti dall'accoglienza del film a Napoli. Non ci aspettavamo una tale partecipazione. Siamo stati fotografati, filmati, registrati come se fossimo delle star del cinema e nonostante ‘Closing Time' abbia sempre avuto una buona accoglienza nell'ambito dei circuiti cinematografici non ha mai scatenato una curiosità e un dibattito così accesi. E' stato come far coincidere le due estremità di un cerchio".


Ernie appare ancora più entusiasta della regista, il padre Louis che teneva viva la memoria del negozio di famiglia si è spento da poco, il dolore per la perdita è visibile e tutto questo arricchisce di emozioni più profonde un racconto di per sé intenso. Grande è l'ansia di ricucire notizie, di colmare i buchi di una storia che si è persa, smagliata tra le pieghe della memoria di anziani che sono andati via e di giovani poco interessati ad un passato talvolta "inglorioso". Nella sala, durante la proiezione, ci sono i fratelli Esposito, responsabili della ditta Phonotype, l'etichetta discografica napoletana che per molti decenni ha fornito dischi e matrici alla Rossi. Tempo fa, in occasione di una mia ricerca sui rapporti tra Napoli e New York, Fernando, il fratello più grande degli Esposito, mi raccontò così la storia della joint-venture Phonotype-Rossi: "Quando Ernesto decise di trasferirsi in America, all'inizio del Novecento, aprì un negozio; niente di più di un emporio in cui vendeva di tutto, anche i dischi di cantanti lirici e soprattutto di canzonette napoletane. Alla fine dell'Ottocento, anche mio nonno, prima di inaugurare la Phonotype aveva un negozio di libri e grammofoni in via S. Anna dei Lombardi. Il grammofono fu una grande novità e molti artisti erano attratti da questo nuovo oggetto e si dimostrarono subito favorevoli ad incidere le loro voci, ecco perché nel 1901 nacque la prima versione della Phonotype, cioè la Società Fonografica Napoletana. Inizialmente i dischi erano incisi in Germania, poi, nel 1905, la lavorazione passò a Napoli, prima nello stabilimento di via Foria e, dal 1923, in via De Marinis, la nostra sede attuale. Anche Rossi compì più o meno lo stesso percorso, cominciò a specializzarsi nella vendita di dischi che acquistava da noi. Il trasferimento dei dischi sul piroscafo da Napoli a New York era rischioso perché la maggior parte delle copie arrivava a destinazione letteralmente a pezzi. Per questo motivo Ernesto cominciò ad acquistare da noi solo le matrici in metallo e a stampare direttamente a New York. In un secondo momento si occupò anche delle scritture americane di molti artisti che erano sotto contratto discografico con noi. Così negli anni cominciammo un vero e proprio scambio di matrici che si è rivelato fondamentale quando qualche anno fa, in occasione della ripubblicazione di tutto il catalogo storico della Phonotype, abbiamo chiesto a Louis di fornirci le matrici che a noi mancavano. Ricordiamoci che a Napoli abbiamo subìto i bombardamenti e la maggior parte delle nostre produzioni è andata perduta. Mio fratello Roberto ha stimato che il materiale sopravvissuto qui è solo il 10% del totale. La collaborazione tra noi e la Rossi è andata avanti dopo la morte di Ernesto con i due figli Eduardo e Luigi, Louis in America, fino alla Seconda guerra mondiale. In seguito e in buona parte a causa del naturale decadimento di questo repertorio i rapporti di lavoro si sono dilatati sempre di più. Per molti anni ancora Louis è venuto a Napoli per registrare artisti che a Napoli ormai avevano scarsa presa. L'emigrazione è stato un evento importantissimo per la canzone napoletana. Gli emigrati erano per la maggior parte meridionali che si riconoscevano tutti, senza distinzione di provenienza geografica, nella tradizione musicale napoletana. Compravano molti dischi, sicuramente più che in Italia, e soprattutto andavano a teatro per ascoltare gli artisti napoletani in tournée; tutto questo ha permesso la diffusione della nostra canzone".


Quella raccontata da Veronica Diaferia è, dunque, un'"altra" storia della canzone napoletana che tocca concetti quali integrazionismo, diaspora, il disvelamento di una cultura della quale a Napoli si conoscono le radici ma si ignorano i rami, le propaggini fatte di métissage, sincretismo, nuovi linguaggi che si intersecano con quello primario, mutuato dalla città d'origine. Così il viaggio raccontato dalla regista di Varese fa il paio con le ricerche che noi stessi inaugurammo solo pochi anni fa partendo dal punto opposto, cioè da Napoli che guardava New York.


Nel basement del suo negozio Louis Rossi conservava matrici, rulli e cilindri della "Geniale Records" e spartiti della casa editrice Rossi & Co., reperti rarissimi ma deteriorati dal tempo. La speranza è che lì siano leggibili i segni di una storia non ancora compromessa dall'ansia dell'interpretazione. Mentre a Napoli in questi giorni la Storia, quella ufficiale, tirata per la gonnella da ogni lembo, vive una nuova epifania con la riproposizione dell'antica festa di Piedigrotta. La città si prepara per la sfilata dei carri allegorici. Ghiotta è la proposta per la serata finale in Piazza del Plebiscito con le performance di interpreti tradizionali del repertorio napoletano, come Peppino Di Capri, Massimo Ranieri, Teresa De Sio, o prestati al genere per l'occasione come Mario Biondi e Brian Ferry, ex Roxy Music. Ma l'assetto attuale della festa secondo alcuni tradisce il reale spirito popolare che la animava nella sua veste più genuina. Con amarezza dalle colonne de "Il Mattino", quotidiano napoletano, così ironizzava qualche giorno fa Roberto De Simone, il maggiore studioso vivente di cultura popolare napoletana, autore della celebre opera musicale "La Gatta Cenerentola", con lo sguardo rivolto alle terribili condizioni nelle quali versa la città in questi mesi: "Come riformulare, allora, la festa? Si potrebbe, ad esempio, programmare una bella sfilata di carri della nettezza urbana adeguatamente agghindati, guidati da tanti Pulcinella in livrea e preceduti dalla banda dei Carabinieri. O, ancora, coinvolgere l'orchestra del San Carlo che, innanzi alla facciata dello storico teatro, eseguisse solennemente un Requiem di circostanza. Infine, perché non organizzare una vigorosa tarantella di vigili urbani diretta da un gigantesco pazzariello comunale? Faccio sul serio, e tale è lo spirito autentico di una festa popolare in senso rabelaisiano. Del resto, non si attivò in tal senso la fantasia vivianea da cui scaturì il testo teatrale relativo alla festa in oggetto?".

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