Oscar Luigi Scalfaro,“figlio dell’Unità d’Italia”

Doriana Vari (January 31, 2012)
Nato da padre napoletano (con origini calabresi) e madre piemontese, nell’occasione di una visita di stato negli USA, Scalfaro si definì un “figlio dell’Unità d’Italia”. Ricevette un’educazione di stampo fortemente cattolico che ebbe ripercussioni nel suo modo di percepire i rapporti umani, dunque quelli politici tra i partiti.

Ricordato oggi come un uomo austero e di saldi princìpi morali ed etici, viene considerato da chi lo conobbe, in quanto uomo e in quanto politico, un grande esempio d’amore spassionato per Dio, per la Repubblica, per la Democrazia e soprattutto per la Costituzione, che in prima persona si era impegnato a stilare. Si candidò, infatti, nella lista dell’ormai sciolto partito della Democrazia Cristiana, alle elezioni per l’Assemblea Costutuente, ed eletto nel 1946, per i due anni successivi, fu impegnato nella stesura della Carta Costituzionale italiana, di cui si dimostrò sempre attento tutore e difensore. Si battè sempre per il rispetto e l’osservanza a quelle norme che egli stesso si era impegnato a definire, e durante la sua carriera politica dimostrò più volte l’attaccamento a quella Carta, fondatrice dei valori democratici e repubblicani del nostro Paese.

L’episodio che più degli altri lo testimonia è quello conosciuto come <<il fatto del ribaltone>>: nel 1994 Scalfaro ricopriva la carica di Presidente della Repubblica e il governo Berlusconi, essendo venuto meno l’appoggio della Lega, perdeva la maggioranza, quindi cadeva; Scalfaro, solo qualche mese fa, lo ricordava così: “Il Presidente del Consiglio Berlusconi era venuto a consegnare la sua delega, quindi dando la sensazione che si rendeva conto che aveva finito il suo compito. Non ricordo se nella stessa seduta o poco dopo tornò e mi disse: "Presidente, ti chiedo tre cose: lo scioglimento del Parlamento, la crisi di governo e che questi passi li faccia io col mio governo" (il quale si era dimesso pochi minuti prima). Io rimasi interdetto per un secondo, perché la persona mi aveva colpito la prima volta che mi aveva parlato di una cosa come se fosse stata vera e vera non era. Devo dire che per me negare la verità conosciuta vuol dire chiudere totalmente la possibilità di dialogo. Quindi mentre lui diceva, “ti chiedo tre cose”, mi fermai un momento e lui mi incalzò, “ti ho chiesto tre cose, cosa mi rispondi?”; "Ti rispondo tre no" - gli dissi - "perché su questa Carta, che anche in questo momento mi è vicina, su questa Carta ho giurato fedeltà, se io facessi questo farei un passo in favore di una parte e contro un'altra, e andrei contro al mio giuramento. Ti rispondo tre no". Non mi sarà perdonato”.

Una presidenza, quella di Scalfaro, adempita in un periodo fortemente turbolento (25 maggio 1992 – 15 maggio 1999) : solo due giorni prima il suo insediamento al Quirinale, l’Italia subisce l’attentato a Giovanni Falcone e, meno di due mesi più tardi, quello al giudice Paolo Borsellino. Seguiranno <<il fatto del ribaltone>> e la gravissima vicenda di Tangentopoli con la relativa inchiesta di <<mani pulite>> nella quale Scalfaro fu trascinato in prima persona: nel 1922, Mario Chiesa (socialista) fu sorpreso nell’atto di incassare una tangente per un appalto, dunque venne arrestato. L’episodio fece partire un’inchiesta condotta dal magistrato Di Pietro (oggi leader del partito L’Italia dei Valori) che portò a galla una scandalosa realtà di corruzione e concussione ai più alti livelli del mondo politico e finanziario; furono imputati senatori, deputati, ministri, Bettino Craxi (allora presidente del consiglio), e diversi capi d’accusa furono mossi anche verso Oscar Luigi Scalfaro, che in quella occasione, in preda all’indignazione, pronunciò un memorabile discorso a reti unificate in cui spiegava la necessità di “non recar danno alla vita dello Stato e alla sua immagine nel mondo.

Nessuno può stare a guardare di fronte a questo tentativo di lenta distruzione dello Stato pensando di esserne fuori – continuava Scalfaro- o siamo capaci di reagire considerando reato il reato ma difendendo ad oltranza gli innocenti e le nostre istituzioni repubblicane, o condannando tutto il popolo e noi stessi ad assistere a questo attentato metodico, fatale alla vita e all’opera di ogni organo essenziale per la salvezza dello Stato democratico. A questo gioco al massacro io non ci sto, io sento il dovere di non starci e di dare l’allarme. Non ci sto, non per difendere la mia persona che può uscire di scena in ogni momento, ma per tutelare con tutti gli organi dello Stato l’istituto costituzionale della presidenza della Repubblica”. Nei giorni successivi i funzionari furono indagati per il reato di attentato agli organi costituzionali e furono successivamente arrestati: Scalfaro aveva dunque ragione.
 

Oscar Luigi Scalfaro fu, allora, un Presidente largamente amato da molti e altrettanto mal sopportato da altri. Fu un conservatore e, sopra ogni cosa, conservava la sua fedeltà e il suo amore per la Costituzione, lui, che la Costituzione l’aveva fatta, e che cercava di contagiare di questo amore l’intero Paese, la cui politica versava in una decadenza oltraggiosa.

Morto all’età di 93 anni, dopo una vita di impegno politico che mai si separò da quello etico, dopo una vita vissuta nella fede cristiana e nell’osservanza dei suoi precetti, viene oggi ricordato con ammirazione e stima: Papa Benedetto XVI gli rende omaggio in quanto “illustre uomo cattolico di Stato che si adoperò per la promozione del bene comune e dei perenni valori etico-religiosi cristiani propri della tradizione storica e civile dell'Italia”; il Presidente Napolitano lo ricorda in quanto amico “schietto e affettuoso” e in quanto politico che “ha avuto sempre per supremo riferimento la legge, la Costituzione, le istituzioni repubblicane”. Il Premier Monti esprime in una nota “la partecipazione al dolore e al cordoglio di tutto il Paese” per la perdita di un uomo che si fece difensore “dei valori fondanti della Repubblica contenuti nella Carta Costituzionale, dandone testimonianza con la sua azione e il suo rigore a tutti gli italiani, in particolare ai giovani”; “Ha incarnato un'immagine della Repubblica cui tutti teniamo gelosamente: una Repubblica baluardo dei diritti dell'uomo e della pace, impegnata nel promuovere il protagonismo responsabile delle parti sociali, sollecita nel richiamare ciascuno all'adempimento dei propri doveri di solidarietà” continua Schifani e , conclude Bersani “Verso di lui, come italiani e come democratici, abbiamo una riconoscenza infinita e un grande dovere: non abbandonare le sue battaglie, ricordando sempre che la nostra è la Costituzione più bella del mondo”. Molti altri esponenti politici, in occasione della perdita dell’uomo e del simbolo che esso era diventato, hanno espresso il proprio cordoglio e il personale rispetto in questi termini, da Bindi a Fini, da Bertinotti a Casini. Tra le personalità politiche più in vista, solo Silvio Berlusconi si è astenuto dall’esprimere un parere, neppure di circostanza, sull’ex Presidente della Repubblica forse a causa degli antichi dissapori e della reciproca antipatia.
 

Nel giorno della celebrazione dei suoi funerali, la figlia Marianna, ha voluto, ancora una volta, ricordare come il padre si sentisse “figlio dell’Unità d’Italia”, così, simbolicamente, ha deposto una corona di peperoncini (simbolo delle sue origini calabresi) sulla bara di quell’uomo nato a Novara, poggiata su un tappeto sul pavimento della chiesetta di Sant’Egidio a Roma: tutto intorno nessuna bandiera, solo due candelabri e le corone inviate dalle più alte istituzioni della Repubblica per onorare l’uomo e il politico.

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