Segni del nostro tempo. Come trasformare un pensiero negativo in uno positivo

Carlo Di Stanislao (January 29, 2015)
Una riflessione storica, sociale e culturale sullo sviluppo economico su scala planetaria. Parlano i segni negativi dell'economia ma i fatti ci dicono che la civiltà tecnologica ha finito per intensificare e sollevare ancora più drammatiche problemi


Pare che dovremo abituarci ad un mondo col segno meno, un mondo in negativo sotto diversi punti di vista, soprattutto in campo economico e sociale.


Già a fine dicembre i nostri “beni rifugio” per eccellenza e cioè i BOT a 3 mesi, i titoli di Stato a più breve scadenza, hanno preso il  segno “meno” di fronte al rendimento, unendosi, con un po’ di ritardo, a quelli di Germania, Olanda, Francia e Belgio.


Figli di un paradosso dei tempi in cui viviamo, di un’Eurozona che non riesce a trovare il bandolo della crescita e annaspa sull’orlo della deflazione (cioè tassi di inflazione negativi); di una Banca centrale europea (Bce) che trova difficoltà a espandere il bilancio e che proprio per questo motivo ha avviato un piano di riacquisti di titoli di Stato per riavviare un mercato non solo stagnante, ma decisamente negativo. 



Ma questo non basta, tanto che il direttore generale per il Debito pubblico del Tesoro, Maria Cannata, a un convegno dell’Aiaf, ricordando che in precedenza questa possibilità non era “contemplata”, ha detto che tra le conseguenze del “quantitative easing” varato dalla Banca centrale europea c’è anche la possibilità che le aste dei Bot potranno essere realizzate a tassi negativi, con il prezzo di rimborso più basso di quello di sottoscrizione.



Fino ad oggi questo in Italia non era possibile e anche di investire nei buoni ordinari del Tesoro (durata fino a un massimo di un anno) non era da tempo molto conveniente, pure un qualche vantaggio sussisteva, con l’inflazione praticamente inesistente che veniva in aiuto anche ai tassi assai bassi.

 

Uscendo da fatti economici, per non parlare della negatività politica e di indirizzo, occupandoci di ecologia, ci allarma il dato della Global Alliance of Health and Pollution (GAHP). Questa è un'associazione che si occupa della lotta all'inquinamento e ai problemi ambientali nei Paesi in via di sviluppo, che ci dicono che decine di miliardi di dollari sono spesi ogni anno per combattere malattie infettive come malaria, HIV e tubercolosi.



A questi dati vanno aggiunti gli oltre dieci miliardi spesi solo quest'anno dai Paesi industrializzati per aiutare i Paesi in via di sviluppo a contenere le emissioni di carbone e affrontare l'impatto dei cambiamenti climatici che, a fronte di tali mastodontiche cifre, una vittima su sette nel mondo continua a morire a causa degli effetti dell'inquinamento ed il 90% di essi si trova in Paesi in via di sviluppo.

 

Viene spontaneo pensare che il problema è di modello e non di budget e dovremmo ripensare lo sviluppo economico su scala planetaria, ma nell’immediato è necessaria un'accurata campagna di informazione, in primis rivolta a Paesi ed organizzazioni in grado di fornire cospicui finanziamenti, spiegando loro, per esempio, i costi irrisori di un'efficace campagna di cura ed educazione, che nei villaggi più disagiati può arrivare a richiedere una spesa di appena venti dollari a persona.

 

A differenza di quanto spiegato dall'ONU, che nei suoi "17 punti per uno sviluppo sostenibile" dedica al problema una posizione assolutamente marginale, dovremmo invece sollecitare il giusto atteggiamento da parte di chi è preposto a farlo.



Avendo ben chiare in mente quali siano le priorità, a partire dal convincimento che la lotta all'inquinamento non è una priorità per i Paesi poveri, perché i sintomi dell’inquinamento restano spesso latenti a lungo e non manifestandosi esplicitamente, ne riducono la percezione di gravità, spingendo tali Paesi a sottovalutarne gli effetti locali e generali.



L’uomo del nostro tempo comprende se stesso nella sua soggettività storica e libera; sperimenta se stesso come soggetto capace di determinare il corso degli avvenimenti, cioè di fare storia; ma i fatti ci dicono che la civiltà tecnologica, lungi dall'aver dato soluzione alle questioni fondamentali della vita, ha finito per acutizzarle e per sollevarne altre e ancora più drammatiche.

 

La riduzione di una vera e non superficiale  conoscenza, ha determinato la nascita di un mondo disumano, dove non c'è più posto per le relazioni interpersonali e per lo sviluppo della creatività. 

Le manipolazioni fisiche e biologiche rivelano, ai nostri giorni, la loro  strutturale ambiguità: le potenzialità di vita si sono trasformate in potenzialità di morte. 

 

La maggiore disponibilità che è data all'uomo di programmare il mutamento individuale e collettivo non coincide, di fatto, con la produzione di una migliore qualità di vita. I processi di massificazione sociale e culturale, i rischi originati dalla scoperta e dall'utilizzazione di nuove energie, il ritmo incalzante della vita e  l'accentuarsi, a tutti i  livelli, della conflittualità suscitano un senso crescente di preoccupazione e di disagio, di frustrazione, insicurezza, negatività e alienazione. 

Un mondo cupo e negativo, popolato da uomini spaventati e irati, simili al personaggio ricostruito sullo schermo in “Turner”, dove l’attore Timothy Spall da vita a un uomo che borbotta ed è crudele e rude, incapace di affetto e di solidarietà, mentre l’avvento della tecnologia (il treno, la macchina fotografica), acuisce i segni negativi dell’intera società. 

So che per trasformare un pensiero negativo in uno positivo bisogna innanzitutto smettere di credere al pensiero negativo e formulare un nuovo pensiero, più vicino alla situazione reale.

 

Ma nulla della situazione attuale mi aiuta a farlo e per riuscirvi, alla fine, dovrei affidarmi ad  illusioni percettive e fenomeni di depersonalizzazione e di de realizzazione che porterebbero ad un totale distacco dalla realtà.

 

Una alternativa è la memoria, il ricordo di periodi migliori, una forma di tenace sopravvivenza che la speranza la coglie nel passato, un antidoto montaliano al “male di vivere” , una sorta di "fuite du temps" che divenga punto di partenza di una positività e di un sé (o senso) ritrovato. 

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