Articles by: Carlo Di stanislao

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    Cannes in rosa




    Cannes scalda i motori e si prepara a far giustizia della scarsa attenzione alle donne anche nel cinema, a raccogliere le parole dure ed amarissime di Patricia Arquette durante gli ultimi Oscar e a valutare, come si deve, autrici ed attrici brave e marginalizzate.


    Come scrive Gloria Satta su il Messaggero, la 68° edizione del Festival di Cannes, che parte il prossimo 13 maggio, fa largo alle donne ed anche se  i registi continuano ad essere la maggioranza, quest’anno a tenere banco saranno le storie e i personaggi femminili protagonisti dei film più attesi, mentre il glamour verrà incarnato più che mai dalle attrici pronte a sfilare sul red carpet.


    Al nuovo corso ”in rosa” va ascritta la presenza del colosso del lusso Kering guidato da François-Henri Pinault e fresco partner del Festival, che annuncia dieci incontri sul tema delle donne nel cinema e il premio Women in motion e l’apertura con il film  La Tête haute, diretto dalla  regista, Emmanuelle Bercot, e che ha come protagonista Catherine Deneuve nel ruolo di un giudice dei minori.


    Altra grande settantenne presente Jane Fonda,  che nel film in concorso di Paolo Sorrentino Youth-la giovinezza, interpreta una diva 81enne, arrivata da Hollywood per incontrare il famoso regista interpretato da Harvey Keitel in un’enorme sala da ballo arredata con candelabri e un tavolo da ping pong.


    Più giovane di un decennio, nata nel 1953, al Festival più cinefilo del mondo ci sarà anche Isabelle Huppert, protagonista di ben tre film: Louder than Bombs, Valley of love, Asphalte, mentre l’altra sessantenne  Isabella Rossellini, reduce dalle riprese di Joy accanto a Robert De Niro, presiederà la giuria del Certain Regard e parteciperà all’omaggio per il centenario della madre Ingrid Bergman, che campeggia sul manifesto del Festival.


    Fuori concorso Natalie Portman porta il suo esordio alla regia: Une histoire d’amour et de tenèbres, da un romanzo di Amos Oz,  in cui si è ritagliata il ruolo della madre dello scrittore.

    Sempre fuori concorso la bravissima giapponese Naomi Kawase, mentre concorrono alla Palma D’Oro le due registe francesi  : Valérie Donzelli (Marguerite & Julien) e la a Maïwenn (Mon roi).


    Donne ancora al centro dei film italiani: quello già ricordato di Sorrentino, quello di Moretti dedicato alla madre alla sua versione al “femminile” ed infine Il Racconto dei racconti di Garrone ispirato alle favole seicentesce di Basile, con Salma Hayek che una regina disposta a tutto pur di avere un figlio, anche a mangiare il cuore sanguinante di un drago.


    Anche Allen ci parla di donne e riconfermando Emma Stone come sua musa di oggi  presenta in anteprima mondiale Irrational Man, storia di una l’allieva-confidente (e forse qualcosa di più) di una smarrito prof di filosofia interpretato da Joaquin Phoenix. Emily Blunt in Sicario fa una tostissima agente della Cia impegnata contro in narcos messicani, ma il film che farà certo più discutere è Much loved di Nabil Ayouch, su un gruppo di prostitute marocchine, assieme al documentario Amy, decicato a Amy Winehouse,  già stato sconfessato dalla famiglia.

    Se le donne reclamano il loro spazio nel mondo della celluloide, i docenti voglioni essee i veri protagonisti della scuola.


  • Opinioni

    Contraddizioni ed Expo Milano




    I No-Expo violenti fanno scempio di Milano nel giorno della inaugurazione della vetrina che potrebbe rilanciare il Paese.


    Qualcuno indossa maschere antigas, qualcun altro preferisce quella di Anonymous. Esplode il caos; auto e cassonetti a fuoco, molotov, sassaiole contro le forze dell'ordine, vetrine distrutte e banche prese d'assalto.


    Il presidente Mattarella esprime la sua ferma condanna, ma intanto gli stranieri continuano a pensare ad un Paese diviso ed ingestibile, su cui è difficile scommettere.


    Gli scontri e le violenze hanno scatenato critiche di Lega e M5S nei confronti del ministro dell'Interno. "Quello che è successo a Milano era altamente preannunciato e Alfano si dovrebbe dimettere. Mi auguro che qualche centinaio di balordi passi qualche settimana a San Vittore", ha detto il leader della Lega Nord Matteo Salvini, a Marina di Pisa.


    Nessuno, neanche in questo caso, pensa di dover far quadrato e che è più importante l’immagine del Paese ai voti da raggranellare.


    Alla inaugurazione, il coro canta l’inno d’Italia che ha la strofa “siam pronti alla morte” con “siam pronti alla vita”, che il premier  Matteo Renzi usa per aprire   ì il suo discorso.  


    “Dimostriamo con l’Expo che l’Italia è orgogliosa delle sue radici, delle sue tradizioni. Il nostro vertiginoso passato ci invita a costruire e non soltanto a ricordare. Venite a scoprire che sapore ha l’Expo dell’Italia. Oggi inizia il domani! L’impresa più bella inizia oggi”. Sono in molti però a dubitarne.


    Papa Francesco rivolge il suo invito ala comunità internazionale per “globalizzare la solidarietà”, ricordando la “Carta di Milano”, l’eredità immateriale della Expo, varata da Letizia Moratti, allora sindaco della città, nel 2009, lanciando questo ambizioso progetto nato per rilanciare di un paio di punti il nostro Pil ed il sstema Paese, ma che si è sviluppato fra molte contraddizioni (sicurezza sul lavoro, garanzie per le maestranze) e sospette malversazioni.


    Diritto al cibo sicuro e nutriente, contrasto degli sprechi, difesa del suolo, promozione dell'educazione alimentare, lotta al lavoro nero e minorile, sostegno del reddito, tutela della biodiversità investimenti nella ricerca, guerra alle frodi, energia pulita. Sono questi i 10 obiettivi contenuti nel manifesto tradotto in 19 lingue.

    Ma a guardare gli sponsor vengono forti dubbi.


    “Investire nella ricerca e in tecnologie con un rapporto nuovo tra pubblico e privato, favorire l’accesso all’energia pulita e lavorare per una sempre più corretta gestione delle cruciali risorse idriche, promuovere il riciclo e il riutilizzo, adottare azioni per la salvaguardia dell’ecosistema marino, proteggere con legislazioni adeguate il cibo da contraffazioni e frodi e contrastare il lavoro minorile e irregolare ancora drammaticamente diffuso”, dice la “Carta”, ma per quanto riguarda il cibo sano, la tutela del suolo, la lotta al lavoro nero e minorile, ci sono troppe contraddizioni interne all'evento.


    Fa strano vedere tra gli sponsor marchi come Coca-Cola e McDonald's e scoprire che qust’ultima, vera artefice planetaria del cibo spazzatura,  rientra nel progetto Fare Futuro lanciato per sostenere l'agricoltura italiana con il patrocinio del ministero delle Politiche agricole, iniziativa   che si rivolge a imprenditori italiani con meno di 40 anni che hanno un progetto di innovazione e sostenibilità per la propria azienda, con  venti di loro che potranno rientrare tra i fornitori ufficiali di McDonald's per tre anni, ciò fornire materiale a chi si rende responsabile di obesità, malattie metaboliche e loro disastrose conseguenze.


    L'aumento dell'obesità non è un allarme solo per i Paesi industrializzati, ma anche per quelli in via di sviluppo e pertanto mi chiedo se sia stato opportuno, al di là dell'aspetto economico, accettare tra i main sponsor Coca-Cola e McDonlad's,  a meno che non si voglia nutrire il Pianeta a bocconi di BigMac.


    Per non parlare poi della tutela del suolo, argomenti in cui sono patenti interne e sospette contraddizioni.


    A  dimostrarlo è la contestata New Alliance, stretta nel 2012 dai Paesi del cosiddetto Primo mondo, ha come obiettivo sconfiggere la fame di 50 milioni di persone in Africa entro il 2020. Il problema è che si tratta di una partnership tra pubblico e privato che consegna di fatto lo sviluppo agricolo di 10 Stati del Continente nero a 180 aziende, molte delle quali multinazionali. L'investimento promesso è di 8 miliardi.
Si tratta però di neo-colonialismo mascherato, un semplice make up. Visto che le terre spesso vengono espropriate, arraffate ,praticamente gratis,  in Mozambico,  la concessione per 99 anni è pagata un dollaro l'ettaro a danno dei contadini locali.


    Ancora una volta i paesi ricchi che depredano i poveri, sotto forme diverse ma non meno spoglianti.


    C’è poi la questione dell’olio, con i dati che ci dicono che,  nel 2013,  1,9 milioni di tonnellate di olio sono arrivate in Unione europea da  aree di 700 mila ettari in Malesia e Indonesia.

    Come scrive “Lettera 43”, parte di questo olio è acquistato da Eni che ha recentemente riconvertito la raffineria di Porto Marghera. Operativa dal mese di giugno 2014, con una capacità di circa 350 mila tonnellate all'anno di green diesel, la raffineria “utilizza oli vegetali di prima generazione (olio di palma), provenienti dall’Indonesia”, ha chiarito il gruppo aLettera43.it., sottolineando che “l’olio che oggi viene utilizzato è certificato secondo una o più norme volontarie approvate dalla Commissione europea”. In particolare, “tutte le norme vietano la coltivazione in zone di alta biodiversità come per esempio le aree ricoperte da foresta primaria». Il sistema di certificazione di bio-sostenibilità prevede inoltre che «ogni singola partita di prodotto acquistata debba essere dichiarata sostenibile ai sensi della direttiva europea 28/2009 e del d.l. attuativo 28/2011 dal fornitore stesso, che sia già stato a sua volta certificato tramite i suddetti sistemi di certificazione volontaria”.
Dunque è il fornitore che certifica la sostenibilità del prodotto.


    L’olio di palma, estremamente tossico, è presente in molti prodotti alimentari italiani,  tra cui quelli a marchio Ferrero (altro sponsor Expo) e le  le patatine San Carlo il cui testimonial, tra mille polemiche, è Carlo Cracco, chef ambassador della manifestazione.


     


  • Opinioni

    Crolla l'Italia. E non solo metaforicamente


    ’Italia va in pezzi, ma solo adesso i nostri parlamentari sembrano rendersi conto che i disastri erano annunciati da un sonoro e assordante silenzio.

     
    Unico effetto di tutto questo, le dimissioni dello storico capo dell’ANAS Pietro Ciucci, economista e non ingegnere, che se la geologia non avessero fatto il suo corso, sarebbe rimasto presidente dell’agenzia fino a maggio 2016, quando una legge, voluta da Renzi, lo avrebbe costretto a lasciare il suo incarico.
     
    Mandarino della burocrazia dal 1969, da quando cioè aveva 19 anni, Ciucci ha spadroneggiato tra società di Stato, consigli di amministrazione, fra un'abbuffata di cariche ed una abbondanza di crolli, con flop storici e miriadi di lavori mai ultimati.
     
    Una carriera la sua che ricorda quella di molti altri satrapi di stato, schiera nutrita di uomini buoni per ogni governo e stagione, organici ad un paese a cui piacciono i contrasti e gli uomini fuoriposto, come l’altro immarcescibile delle infrastrutture, Ercole Incalza, che dirigeva la struttura operativa del ministero, ma arrotondava di pomeriggio con l’elmetto sulla testa per conto terzi.
     
    Federico Fubini, su Repubblica, ha intervistato Lorenzo Codogno, della London School of Economics e fino a ieri capo-economista del Tesoro, che dice: “L’Italia sta pericolosamente camminando su un filo” e continua affermando che la riduzione del debito prevista dal DEF non è affatto assicurata e “c’è la chiara percezione che il governo sia a corto di modi semplici di tagliare la spesa corrente”.
     
    Sul Sole24Ore Fabrizio Fourquet definisce “il tesoretto, solo un’arma di distrazione di massa”, con i conti del governo che sarebbero solo “virtuali”, mentre ci aspettano lacrime e sangue e un’Europa, in futuro, sempre meno comprensiva.
     
    Scrive Minneo su Articolo 21 che la mossa del cavallo resta l’Italicum, che è pero paralizzato dalla sfacelo della politica,con Forza Italia lacerata, Alfano irrilevante e le nudità del Salvini; con il Pd sempre più sull’orlo dello strappo e Grillo che sbianchetta “il principale avversario” accusando di mercimonio i dissidenti.
     
    Anche da “emerito” Napolitano continua la sua difesa nei confronti di Renzi, poiché sa bene, da politico navigato e di lungo corso, che è l’Italicum la sola base solida del renzismo, per cui amminisce: “non disfate quanto costruito”; mentre Stefano Ceccanti mette in rete >>> un’accorata difesa della legge, in vista del confronto con le minoranze Pd alla Camera.
     
    Michele Nicoletti, che è il vero ispiratore del testo di Ceccanti, afferma che così com’è l’Italicum assicura al “popolo sovrano” di scegliere il governo senza margini d’errore.
    Ma c’è chi nota che anche se la distorsione maggioritaria sarà meno forte di quella possibile con il Mattarellum, con l’Italicum ci troveremo a regalare 130 deputati al premier vincitore.
     
    Inoltre, anche se molti difendono il testo renziano affermando che da anni il sistema italiano si orienta verso il premierato (e che tale sistema sarebbe da preferirsi al presidenzialismo in quanto lascia formalmente intatti i poteri del Presidente e del Parlamento), quello che non si dice è che l’Italicum non si sforza di indicare qualche contrappeso, di promuovere contropoteri che limitino la dittatura del capo, mettendo di fatto in sonno Presidente e Parlamento, rendendo pleonastica la Costituzione e, tecnicamente, realizzando un colpo di stato democratico.
     
    Insomma un altro possibile sfacelo, un crollo secondo alcuni annunciato, da parte di un testo di riforma che nasce con il peccato originale di lasciare ai partiti il potere di selezionare i rappresentanti del popolo.
     
    In questo clima crolla la fiducia dei cittadini verso la classe politica tutta, con l’ultimo sondaggio Emg per La7, che rivela un calo dell’ 1,5% delle intenzioni di voto per il PD e dell’1% dei favori per Renzi; per ora appena un sintomo di malessere, ma se lo si somma alla percezione di 8 italiani su 10 che le tasse stiano aumentando, ecco che il malessere può diventare sindrome da rigetto o crollo definitivo dell’intero sistema. 
     
    Naturalmente, con qualche distinguo, Repubblica continua a stare dalla parte del governo e reagisce col titolo: “Fisco, basta blitz e più controlli bancari. Inps, cambia la Fornero! Pensioni flessibili e assegni pagati il primo del mese” ed il commento secondo cui il governo lavora per il bene comune e l’Italia si muove nella giusta direzione; mentre vari centri di ricerca internazionali e nostrani continuano a ripeterci che il nostro debito pubblico è “tecnicamente” insostenibile e che quindi la sorte dell’Italia è segnata.
     
    Ora, è vero che malgrado la crisi abbia depauperato il nostro potenziale produttivo, l’Italia rimane il secondo Paese industriale in Europa dopo la Germania e mostra un’ottima performance nelle esportazioni; ma è anche evidente che se non riprendono gli investimenti in capitale fisico, formazione e ricerca la capacità produttiva continuerà a deperire e alla fine non saremo in grado di mantenere le nostre posizioni.
     
    Tutti gli economisti ci dicono che il nostro futuro dipende da noi, dalla capacità che avremo di fare delle cose concrete che inducano, per usare l’espressione di Keynes, gli animal spirits a credere ancora nell’Italia.
     
    Ma fra crolli, malversazione, corruzione, politica divisa e poco incisiva chi davvero avrà questo “spirito” ottimista?
     
    Nessuno dei problemi storici del nostro Paese è stato risolto: non la trasparenza negli appalti, non la correttezza nei lavori, né l’equità illuminata nella gestione dei soldi pubblici.
    E a questi, per così dire storici, si aggiungono problemi recenti e spinosi, come l’emergenza (ormai divenuta quotidiana) degli immigrati: diecimila in pochissimo giorni, con centri di accoglienza al collasso, abbandonati spontaneamente dagli stessi migranti per raggiungere, senza alcun controllo, città come Roma e Milano.
     
    Di fronte a questo susseguirsi di tragedie, la Lega minaccia la rivolta contro il piano messo a punto dal Viminale per la distribuzione dei profughi tra le varie regioni, con Matteo Salini che è arrivato a minacciare l’occupazione di tutte le strutture che potrebbero ospitare i migranti.
    Naturalmente negli intervalli di tempo rispetto alla distruzione di tutti i campi rom, che, secondo lui ed i sostenitori, vanno “rasi al suolo”
     
    A lui e ai leghisti ha risposto Laura Boldrini: “Trovo terrificante che ci sia chi specula sulle tragedie dell’immigrazione”, ha detto la presidente della Camera, che ha anche definito “una richiesta assolutamente
    sensata” quella fatta alle Regioni di valutare la disponibilità di accoglienza.
    Parole di grande fermezza, sensatezza e senso di democrazia, ma che non mostrano come risolvere questo ennesimo crollo del sistema-Paese.
    Da parte delle Nazioni Unite arriva il riconoscimento per gli sforzi fatti dall'Italia nell'accoglienza dei migranti. "L'Italia sta portando un fardello enorme per conto dell'Europa sul problema dell'immigrazione" ha affermato il portavoce Onu, Stephane Dujarric, commentando gli ultimi drammatici sbarchi di immigrati sulle coste italiane e ricordando come l'Alto Commissariato per i rifugiati "sta lavorando a livello europeo e in stretto contatto con l'Italia e la Grecia".
    Ma, al solito, l’Europa resta sorda sulle richieste di due nazioni allo sbando, in cui tutto crolla ed i cui politici e dirigenti sono privi di ogni qualsiasi credibilità.
     
    Come ironicamente scrive su l’espresso Michele Serra, l’Italia è per metà disastrata e per metà in vendita.
     
    Abbiamo venduto di tutto e, da pochissimo, anche Pirelli, la gloriosa fabbrica di pneumatici messa su dall’ingegnoso figlio di un panettiere, ora andata ai cinesi, come l'Inter passava all'indonesiano Tohir, i grattacieli di porta Volta ai sauditi e le Olgettine, scaricate da Berlusconi, andate in dote a Putin, senza che tale epocale passaggio abbia minato prospettive e umore della premiata maison milanese, poiché: “si tratta pur sempre di avere a che fare con un tipo anziano, bassetto e pelato che si crede uno strafigo, e farsi pagare regolare stipendio per farglielo credere”; come ha dichiarato Chantal Caparuozzolo, ex sottosegretaria alla Ricerca scientifica e attuale portavoce delle stesse signorine per “cene eleganti”, che saranno ospitate in una isba alle porte della capitale russa e costituiranno, anche lontano da casa, un vero e proprio presidio dello stile italiano nel mondo.
     
    Una sola cosa ci allieta: la massiccia presenza di film italiani al prossimo Festival di Cannes, con Moretti, Sorrentino e Garrone in concorso e “The Other Side” di Roberto Minervini, inserito nella sezione Un Certain Regard.
     
    Il poster ufficiale della 68° edizione del Festival vede protagonista Ingrid Bergman, che lasciò Hollywood per il nostro paese, perché ci credeva, in un tempo, che ora sembra lontanissimo, in cui sull’Italia si poteva davvero credere e sperare
     
    Adesso, il fatto che, a parte Moretti, tutti gli altri italiani selezionati a Cannes abbiamo girato i loro film in lingua straniera, mi preoccupa non poco, poiché potrebbe essere l’emblema di una classe intellettuale che ormai non crede più che il nostro paese abbia un futuro o possa riprendersi dal numero infinito di crolli che ne ha disastrato nerbo e struttura.
     
    D’altra parte tutta il “made in Italy” va male ed anche il turismo crolla a precipizio, come ci informa il “Country Brand Index”, dove si legge che nel 2004 eravamo primi nella classifica redatta sulla base delle opinioni di migliaia di “opinion maker”, mentre alla fine del 2014 siamo malinconicamente scesi in diciottesima posizione e secondo le proiezioni il trend sarà negativo anche nel prossimo futuro.
     
    Infrastrutture obsolete, scarso sviluppo tecnologico, scarsità degli investimenti su scuola e ricerca, fenomeni di razzismo, sono una cartina di tornasole di come il sistema dei valori nella società nostrana stia mutando in peggio, ed abbia prodotto il crollo certificato dal “Country Brand Index” e che, forse, non ha già più possibilità di ripresa.
     
     


     
     
     
     
     
     
     


  • Opinioni

    Segni del nostro tempo. Come trasformare un pensiero negativo in uno positivo


    Pare che dovremo abituarci ad un mondo col segno meno, un mondo in negativo sotto diversi punti di vista, soprattutto in campo economico e sociale.


    Già a fine dicembre i nostri “beni rifugio” per eccellenza e cioè i BOT a 3 mesi, i titoli di Stato a più breve scadenza, hanno preso il  segno “meno” di fronte al rendimento, unendosi, con un po’ di ritardo, a quelli di Germania, Olanda, Francia e Belgio.


    Figli di un paradosso dei tempi in cui viviamo, di un’Eurozona che non riesce a trovare il bandolo della crescita e annaspa sull’orlo della deflazione (cioè tassi di inflazione negativi); di una Banca centrale europea (Bce) che trova difficoltà a espandere il bilancio e che proprio per questo motivo ha avviato un piano di riacquisti di titoli di Stato per riavviare un mercato non solo stagnante, ma decisamente negativo. 



    Ma questo non basta, tanto che il direttore generale per il Debito pubblico del Tesoro, Maria Cannata, a un convegno dell’Aiaf, ricordando che in precedenza questa possibilità non era “contemplata”, ha detto che tra le conseguenze del “quantitative easing” varato dalla Banca centrale europea c’è anche la possibilità che le aste dei Bot potranno essere realizzate a tassi negativi, con il prezzo di rimborso più basso di quello di sottoscrizione.



    Fino ad oggi questo in Italia non era possibile e anche di investire nei buoni ordinari del Tesoro (durata fino a un massimo di un anno) non era da tempo molto conveniente, pure un qualche vantaggio sussisteva, con l’inflazione praticamente inesistente che veniva in aiuto anche ai tassi assai bassi.

     

    Uscendo da fatti economici, per non parlare della negatività politica e di indirizzo, occupandoci di ecologia, ci allarma il dato della Global Alliance of Health and Pollution (GAHP). Questa è un'associazione che si occupa della lotta all'inquinamento e ai problemi ambientali nei Paesi in via di sviluppo, che ci dicono che decine di miliardi di dollari sono spesi ogni anno per combattere malattie infettive come malaria, HIV e tubercolosi.



    A questi dati vanno aggiunti gli oltre dieci miliardi spesi solo quest'anno dai Paesi industrializzati per aiutare i Paesi in via di sviluppo a contenere le emissioni di carbone e affrontare l'impatto dei cambiamenti climatici che, a fronte di tali mastodontiche cifre, una vittima su sette nel mondo continua a morire a causa degli effetti dell'inquinamento ed il 90% di essi si trova in Paesi in via di sviluppo.

     

    Viene spontaneo pensare che il problema è di modello e non di budget e dovremmo ripensare lo sviluppo economico su scala planetaria, ma nell’immediato è necessaria un'accurata campagna di informazione, in primis rivolta a Paesi ed organizzazioni in grado di fornire cospicui finanziamenti, spiegando loro, per esempio, i costi irrisori di un'efficace campagna di cura ed educazione, che nei villaggi più disagiati può arrivare a richiedere una spesa di appena venti dollari a persona.

     

    A differenza di quanto spiegato dall'ONU, che nei suoi "17 punti per uno sviluppo sostenibile" dedica al problema una posizione assolutamente marginale, dovremmo invece sollecitare il giusto atteggiamento da parte di chi è preposto a farlo.



    Avendo ben chiare in mente quali siano le priorità, a partire dal convincimento che la lotta all'inquinamento non è una priorità per i Paesi poveri, perché i sintomi dell’inquinamento restano spesso latenti a lungo e non manifestandosi esplicitamente, ne riducono la percezione di gravità, spingendo tali Paesi a sottovalutarne gli effetti locali e generali.



    L’uomo del nostro tempo comprende se stesso nella sua soggettività storica e libera; sperimenta se stesso come soggetto capace di determinare il corso degli avvenimenti, cioè di fare storia; ma i fatti ci dicono che la civiltà tecnologica, lungi dall'aver dato soluzione alle questioni fondamentali della vita, ha finito per acutizzarle e per sollevarne altre e ancora più drammatiche.

     

    La riduzione di una vera e non superficiale  conoscenza, ha determinato la nascita di un mondo disumano, dove non c'è più posto per le relazioni interpersonali e per lo sviluppo della creatività. 

    Le manipolazioni fisiche e biologiche rivelano, ai nostri giorni, la loro  strutturale ambiguità: le potenzialità di vita si sono trasformate in potenzialità di morte. 

     

    La maggiore disponibilità che è data all'uomo di programmare il mutamento individuale e collettivo non coincide, di fatto, con la produzione di una migliore qualità di vita. I processi di massificazione sociale e culturale, i rischi originati dalla scoperta e dall'utilizzazione di nuove energie, il ritmo incalzante della vita e  l'accentuarsi, a tutti i  livelli, della conflittualità suscitano un senso crescente di preoccupazione e di disagio, di frustrazione, insicurezza, negatività e alienazione. 

    Un mondo cupo e negativo, popolato da uomini spaventati e irati, simili al personaggio ricostruito sullo schermo in “Turner”, dove l’attore Timothy Spall da vita a un uomo che borbotta ed è crudele e rude, incapace di affetto e di solidarietà, mentre l’avvento della tecnologia (il treno, la macchina fotografica), acuisce i segni negativi dell’intera società. 

    So che per trasformare un pensiero negativo in uno positivo bisogna innanzitutto smettere di credere al pensiero negativo e formulare un nuovo pensiero, più vicino alla situazione reale.

     

    Ma nulla della situazione attuale mi aiuta a farlo e per riuscirvi, alla fine, dovrei affidarmi ad  illusioni percettive e fenomeni di depersonalizzazione e di de realizzazione che porterebbero ad un totale distacco dalla realtà.

     

    Una alternativa è la memoria, il ricordo di periodi migliori, una forma di tenace sopravvivenza che la speranza la coglie nel passato, un antidoto montaliano al “male di vivere” , una sorta di "fuite du temps" che divenga punto di partenza di una positività e di un sé (o senso) ritrovato. 

  • Arte e Cultura

    A Roma il cinema si prepara alla festa


    Una contaminazione che è propria del cinema, con premiazioni ad autori per cinefili come il giapponese Takeshi Miike, il brasiliano Walter Salles ed il russo Aleksei Fedorcenko e ad un'icona popolare come Tomas Milian, conosciuto da tutti come "Er Monnezza".

     
    Sul tappeto rosso Richard Gere, presenza ormai fissa a Roma e, ancora, Kevin Costner, Clive Owen e gli Spandau Ballet, ma anche Geraldine Chaplin che terrà una masdterclass e forse anche (si aspettano conferme) Jake Gyllenhaal (con Lo sciacallo), Salma Hayek (con il cartoon tratto da Il profeta di Gibran), Rooney Mara per accompagnare il film di Stephen Daldry Trash.
    Inoltre una mostraAsia Argento: la strega rossa, 'occasione di una chiacchierata con il pubblicodella regista ed ex attrice, come lei stessa si definisce, mentre Wim Wenders incontrerà i suoi ammiratori in occasione del documentario su Salgado: Il sale della terra.
    Nutrita, naturalmente, la presenza italiana con, in concorso nella sezione principale, Biagiodi Pasquale Scimeca dedicato al missionario palermitano Biagio Conte, La foresta di ghiaccio di Claudio Noce girato sulle Dolomiti con Ksenia Rappoport ed Emir Kusturica e il film di genere I milionari di Alessandro Piva.

     
    E ancora, Buoni a nulla,  la nuova commedia di Gianni Di Gregorio, il documentario sul liceoGiulio Cesare;  Tre tocchi, di Marco Risi,  dedicato alla squadra di calcio di attori fondata negli anni Settanta da Pasolini., oltre ad una sezione tutta dedicata alla produzione nostrana, denominata “Prospettive Italia”,  sulle nuove tendenze del cinema nazionale sia in materia di documentario che di fiction.

     
    Polemiche per la esclusione di Non escludo il ritorno, dedicato all'ultima parte della vita di Franco Califano, con tanto di manifestazione e striscioni durante la conferenza stampa di presentazione, con intonazione di "Tutto il resto è noia".

     
    A parte questo un denso ed interessante programma per cinefili, critica e pubblico, con Danze macabre, retrospettiva dedicata alla produzione che dal 1957 al 1966, in un crocevia di generi, peplum, spionistico e western all'italiana, con titoli molto ghiotti fra cui I vampiri di Riccardo Freda, La strega in amore di Damiano Damiani, La maschera del demonio di Mario Bava.
    Infine, dal 17 al 21 ottobre, torna il Mercato internazionale del film, come per le passate edizioni in via Veneto, con una doppia articolazione: The Business Street e New Cinema Network, dedicato agli operatori di settore, mentre al Maaxi, in collaborazione con Wired, si svolgerà una settimana di web series, pilot, lungometraggi, anteprime, documentari, video arte e cinema di sperimentazione, con autori di culto come Marco Bellocchio, Ettore Scola e Paolo Virzì ed altri emergenti come Maccio Capatonda, Salvatore Esposito, The Pills e The Jackal.
     


  • Arte e Cultura

    Aspettando Scola

    Spero di averlo ospite per “Cinema e Psichiatria” nella edizione 2015 , dedicata alla “immagine e al suo costo”, perchè lo considero uno degli autori italiani più interessanti di questi anni,  osservatore acuto del costume nazionale, nonché sottile umorista e protagonista di alcune delle più belle pagine del cinema nostrano.

    A lui, Ettore Scola,  il progetto Irpinia: un sistema fra cultura e memoria, dedica una mostra monografica intitolata: "Piacere, Ettore Scola",  dal 21 settembre al 12 ottobre 2014 nelle sale dell’Abbazia del Goleto a Sant’Angelo dei Lombardi (AV), testi, filmati, carteggi e disegni, che ne restituiscono il composito ritratto.

    Con l’infanzia in Irpinia, fino  alla sua ultima opera cinematografica “Che strano chiamarsi Federico”, omaggio all’amico e collega Federico Fellini, con in mezzo divagazioni sulla sua esperienza nella redazione del Marc’Aurelio e in Rai, sul suo periodo da sceneggiatore, sul rapporto con attori e collaboratori, nonché su quello con la politica.
     

    Filo conduttore è il disegno, grande passione ed elemento costante di tutta una vita, iniziata nel 1931 ed ancora fremente di progetti.
     

    Non per nulla a Roma, lo scorso 23 giugno, presso la libreria Borri Books della Stazione Termini, pubblicato da Bao Publishing, casa editrice specializzata in fumetti e graphic novel, è stata presentata la sua ultima fatica: “Un drago a forma di nuvola”, un albo a fumetti realizzato da Ivo Milazzo (celebre disegnatore di Ken Parker) sulla base di un suo trattamento per il cinema,  scritto, ma mai realizzato. 

    Il trattamento, con la figlia Silvia e Furio Scarpelli, doveva diventare un film prodotto da Medusa ma fu interrotto bruscamente per volontà di Scola a causa di vicissitudini politiche con Silvio Berlusconi. 

    Ora diviene un fumetto che è una vera e propria opera cinematografica in cui i protagonisti hanno i volti disegnati di attori come Gerard Depardieu, Massimo Troisi, NastassjaKinski e dove è presente anche l’apporto del direttore della fotografia Luciano Tovoli e una colonna sonora speciale.
     

    Quando sarà da noi e con noi, per “Cinema e Psichiatria”, lo inviteremo con l’amico Tovoli, per farli parlare del rapporto fra cinema e fumetto, forme di immagini diverse legate da una comune, fantastica, alchimia. 
     

    E, in conclusione, vorremo proiettare l’ultimo suo film, un tributo a Fellini e a un certo cinema di casa nostra, scritto ancora con la figlia Silvia, prodotto da Payper Moon, Palomar, Luce Cinecittà, con Rai Cinema e Cinecittà Studios.

    In collaborazione con Cubovision e con il contributo MiBAC-DG Cinema, che si compone di scene scritte, ricostruite e girate a Cinecittà, di materiali di repertorio, scelti dagli archivi delle Teche Rai e dell’Archivio Luce e di brani dei suoi film, da cui si estrae l’attenzione agli sguardi dei suoi personaggi, l’accurata ricostruzione del climax narrativo ed una profonda, irriducibile nostalgia che, da abruzzesi dell’ interno, ben conosciamo. 

  • Arte e Cultura

    Avati (ri)punta all’oro

    Pupi Avati ci riprova con "Un ragazzo d’oro", con  Scamarcio che è Davide Bias, un creativo pubblicitario col sogno di scrivere qualcosa di bello, ma che vive di ansia e insoddisfazione e che un giorno incontra la sensuale editrice Ludovica (Sharon Stone), interessata a pubblicare un libro autobiografico che suo padre, sceneggiatore di serie B,  ha lasciato a metà.
     

    Il libro, naturalmente,  lo scriverà lui, come se a farlo fosse suo padre e questo lo aiuterà a
    riconciliarsi finalmente con la figura paterna, ma non a risolvere le sue inquietudini.
     
    Il plot è banale, ma speriamo che Avati riservi delle sorprese, come era accaduto negli anni precedenti i ’90, con pellicole come in “Bordella”, “La casa dalle finestre che ridono”, “Cinema”, “Una gita scolastica”.
     
    Il  cast completo di “Un ragazzo d’oro” si compone di, otre a Riccardo Scamarcio e Sheron Stone, Cristiana Capotondi , Giovanna Ralli , Cristian Stelluti, Osvaldo Ruggieri, Tommaso Ragno, Sandro Dori,  Fabio Ferrari, Antonio Caracciolo, Fabrizio Amicucci, Vanni Fois, Michele, Viola e Patrizio Pelizzi e sarà nelle sale dal prossimo 18 settembre, con il 76enne regista bolognese che non è stato accolto a Venezia, ma non  ne ha fatto un dramma, sicuro dell’affetto e della stima che il pubblico italiano nutre nei suoi confronti.
     
    In attesa di vedere gli esiti, segnaliamo che è il primo film italiano della ancorta affascinante Sheron Stone che, pochi mesi fa, si era lamentata del caos che c’era sul set durante le riprese, tra giornalisti e fan.
     
    Il traler è visibile sul sito de La Repubblica.it
     
    Il film è stato girato contemporaneamente  a  "Il bambino cattivo", film tv con Donatella Finocchiaro e Luigi Lo Cascio sul tema della separazione visto da un figlio dodicenne, trasmesso in occasione della Giornata mondiale dei diritti dei bambini e a "Un matrimonio", altro film-tv che racconta l'Italia degli ultimi 60 anni attraverso l'amore tra Francesca (Micaela Ramazzotti) e Carlo (Flavio Parenti), affiancati nella narrazione da Christian De Sica, Katia Ricciarelli, Andrea Roncato e Valeria Fabrizi.
     
    Il livello di questi due prodotti non lascia devvero sperare in un risorgimento avatiano.
    Intanto, una mostra intitolata: “Pupi Avati. Parenti, amici e altri estranei”, curata dal giornalista e critico cinematografico Andrea Maioli per la Cineteca di Bologna,  si è tenuta  a palazzo D’Accursio dal 2 giugno al 14 agosto, ed ha fatto il punto sul cinema di Avati che ha il suo punto di forza e di debolezza fitto intreccio tra la vita autobiografica e la realtà inventata delle storie; proponendo una selezione di foto di scena dei raffrontate con alcune delle immagini personali, dell’archivio romano di famiglia, aperto al curatore da Pupi e dal fratello Antonio; tracciando così un percorso parallelo tra finzione cinematografica e momenti di vita vissuta in cui spesso le immagini si sovrappongono con volti e situazioni riemergono nella creazione filmica. Una pellicola srotolata ha guidato il visitatore tra film, fotografie, sogni e realtà, sulla linea di confine, ha detto Maioli, “tra reale e irreale, tra biografia e fanta-biografia, tra verità e bugia”.
     
    Ora sappiamo che l’autobiografismo dichiarato nasconde trappole e trabocchetti e sappiamo bene anche, che la memoria cinematografica e visionaria si compone di tasselli che vanno a formare un puzzle più complesso di quanto possa sembrare a una frettolosa e disattenta visione che smarrisce  i confini dell’autobiografia per attingere a quelli della fantasia, dando vita di volta in volta a una creatura di Frankenstein che si compone di frammenti di pelle e di vissuto.
     
    Del resto lo stesso Federico Fellini ci mette in guardia quando dice che il regista è un grande bugiardo, finendo poi per celare dietro le sue storie visionarie e oniriche  riferimenti privatissimi, come di ricente rivelato da Gianfranco Angelucci in “Segreti e bugie”.
     
    Ma Fellini è Fellini ed Avati, nonostante la buona partenza ed il lavoro come sceneggiatore con Pasolini, non è mai stato della stessa statura del grande conterraneo. 

  • Arte e Cultura

    La responsabilità fra Cesare e Dio

    Fin dal primo giorno di pontificato, papa Francesco ha dimostrato di voler cambiare in profondità una Chiesa che appariva “ridotta a una struttura sclerotica, incapace di cogliere i fermenti e le esigenze dei suoi stessi fedeli, spesso chiusa – quanto meno agli alti livelli gerarchici – nei privilegi di carriera e di casta”. 

    Ma sarà in grado di intervenire anche sul “potere temporale” della Chiesa che, dai Patti Lateranensi del 1929 a oggi, si è manifestato soprattutto sotto forma di influenza (e talvolta di ingerenza) sulla realtà sociale e politica dello Stato italiano?

    Riuscirà un vescovo “venuto dalla fine del mondo”, un alieno rispetto al potere curiale, a liberare il papato e l’Italia da questa rete di relazioni pericolose? Sono le domande cruciali di un laico attento ai fatti della chiesa, Corrado Augias, formulate nel libro “ Fra Cesare e Dio". 

    Come la rivoluzione di Papa Francesco cambierà gli italiani  l’attento giornalista e scrittore ripercorre  i momenti fondamentali del rapporto che la Chiesa ha intrattenuto con il potere politico. 

    Dalla cosiddetta “donazione di Costantino” al Sacro Romano Impero e alla lotta per le investiture, dalla Riforma e dalle guerre di religione a Napoleone, dal Risorgimento con la breccia di Porta Pia ai concordati con lo Stato italiano. 

    Come quello del 1929 voluto da Mussolini e Pio XI (e inserito nella Costituzione repubblicana grazie al voto favorevole di Togliatti) e quello firmato nel 1984 da Craxi. In novant'anni di storia, dal 1922 al 2011, abbiamo avuto il Ventennio fascista e il quasi-ventennio berlusconiano: per poco meno di metà della nostra vicenda nazionale abbiamo scelto di farci governare da uomini con una evidente, e dichiarata, vocazione autoritaria. Perché? 

    Una risposta possibile è che siamo un popolo incline all'arbitrio, ma nemico della libertà. Vantiamo record di evasione fiscale, abusi edilizi, scempi ambientali. Ma anche di compravendita di voti, qualunquismo. In poche parole una tendenza ad abdicare alle libertà civili su cui molti si sono interrogati. 

    “Ratzinger è stato un dotto teologo figlio del seminario. Francesco si muove velocemente ma con la dovuta cautela sia per garantire il risultato sia per evitare rischi” scrive Augias. E la politica italiana non potrà restare immobile di fronte alla sua rivoluzione. Una rivoluzione che anche Renzi promette a parole e minaccia chi vuole fermare le riforme che invece lui vuole fare. 

    Così aiutato dal suo supporter principlale, Giorgio Napolitano, che auspica siano le più condivise possibili attraverso il metodo del dialogo e della necessaria mediazione, ma soprattuto invita ad evitare allarmismi al limite della decenza, come quando si accusano i titolari del processo riformatore di tentazioni autoritarie.

    Nel ricevere la stampa parlamentare per la tradizionale cerimonia del Ventaglio, Napolitano lancia un ennesimo endorsement per chi è impegnato nelle riforme; non rinuncia a raccomandare a tutti, proprio tutti, la pazienza e la capacità di ascoltare; non si sottrae ad un avvertimento, anche questo lanciato erga omnes: quando lascio lo decido io e conclude chiedendo a tutti di piantarla con  le profezie a basso prezzo. 

    Di errate profezie eclesiali parla Augias nel suo libro e ricorda a quelli della mia generazione (di sessantenni suonati), il periodo degli anni 60, quando improvvisamente il clima nel mondo cattolico fu mutato dal superamento del conservatorismo ad ogni costo. Periodo nel quale, improvvisamente e dopo una prima feroce censura, “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini, fu definito dall’Osservatore Romano “il più bel film mai girato su Gesù”, ricordando sia l'efficacia di quel Cristo e di quella Madonna  -  impersonati da un sindacalista antifranchista e dalla amatissima madre dell’Autore  -  sia lo scabro sfondo dei Sassi di Matera, a fare da sfondo e cornice a grandi temi come la religiosità,  la povertà, la speranza, il dolore e l’amore.

    Di quel film ricordo il  Gesù carico di tristezza e di solitudine, in cui Pasolini riversava la sua "nostalgia del mitico, dell'epico, del tragico ", per usare le sue parole; 

    una nostalgia o una "resistenza" che si contrapponevano a quel che odiava di quel suo tempo: grigiore cinico e brutalità pratica, disponibilità al compromesso e al conformismo, come ebbe a scrivere alloro e anche dopo il sempre acutissimo Nico Naldini.

    Ed una figura analoga emerge nel papa Francesco che Augias racconta, una figura titanica in una lotta disperata, che non vuole preti ricchi, che girino con automobili ultimo modello e ha egli stesso modificato visibilmente il tenore di vita del pontefice, abbandonando gli appartamenti papali per una ben più modesta sistemazione a Santa Marta. 

    Risalendo per li rami Augias rievoca i versi di Dante in cui il poeta lamenta i gravi danni derivati dalla donazione di Costantino che, secondo una leggenda poi smentita, avrebbero reso ricco il Pontefice di allora, inaugurando il potere temporale dei papi. Dante non mandò giù le dimissioni di Celestino V che avevano aperto la strada ad un papa affarista e simoniaco come Bonifacio VIII, preoccupato soprattutto di ingrandire la potenza della sua famiglia (era un Caetani) a scapito dei suoi grandi nemici, i Colonna. Bonifacio VIII non esitò a far radere al suolo la città di Palestrina (feudo dei Colonna) e a farvi spargere sopra del sale, evocando in modo esplicito la distruzione di Cartagine.

    Papa Francesco vuole riportare la Chiesa per la strada, lo ha detto esplicitamente e in questo ha detto a tutti di recuperrare il servizio e non gli onori che vengono dai ruoli, perché è solo recuperando il senso di responsabilità e di ruolo che si possono auspicare veri cambiamenti e radicali riforme.

    La frase è celebre, riportata in tutti i Vangeli sinottici e seconndo un recente intervento di Emanuele Severino sugli scambi circa la “verità” tra papa Francesco ed Eugenio Scalfari e tra il papa emerito Benedetto e Piergiorgio Odifreddi, risultebbe che Gesù di Nazaeìreth non sapeva bene quello che diceva quando invitava a dare a Dio e a Cesare ciò che rispettivamente è di ciascuno, perché, secondo l’emionente filosofo, non è stato domandato a Gesù se a Cesare si possa dare qualcosa che sia contro Dio e cioè se lo Stato possa consentire ai cittadini di essere favorevoli o contrari a Dio o, ancora, se lo Stato possa essere libero da Dio.

    Sul Corriere della Sera il filosofo, fa capire che, secondo lui, Gesù non sapeva le conseguenze della sua distinzione tra religione e laicità o “voleva conciliare l'inconciliabile”.

    Ed aggiunge che per fortuna Gesù non era musulmano, perché – conclusione interrogativa – “l'estremismo islamico che massacra i cristiani non è forse la conseguenza ultima della convinzione che nella società non si debba consentire ciò che – come le altre fedi – è contro il Dio in cui si crede?”.

    Per una volta non siamo d’accordo con Severino a cui è sfuggito il fatto (invece sempre tenuto preente da Aigias che pure non è religioso) che se lo Stato fosse cristiano, Cesare tradirebbe se stesso e si approprierebbe di ciò che è di Dio, allo stesso modo di uno Stato che fosse contro Dio, perché anche questa, essendo una "religione" (vedi gli Stati comunisti, nazisti e fascisti) sarebbe competenza di Dio.  Di questo ne abbiamo un esempio attuale è vicino: il governo di Parigi che ciol programma didattico della sua “morale laic”», ha condotto la verso una religione statale dell'ateismo, dando di fatto a Cesare anche quello che è di Dio.

    “Reddite quae sunt Caesaris, Caesari et quae sunt Dei, Deo”, recita il  Vangelo di Matteo (cap.22 v.21) caro a Posolini, pronunciata da Gesù in risposta ai Farisei, i quali speravano di metterlo contro il governo romano in Palestina, per far capire in modo chiaro e senza infingimenti che è doveroso essere soggetti, onestamente, all' autorità, distinguendo però il potere temporale da quello spirituale ed assumendosi, in ogni caso, la responsabilità di ciò che si compie. 

  • Arte e Cultura

    Sin’ora a Cannes… ed altri racconti

    Anche quest'anno non mancano tuttavia i buoni film nonostante le critiche.

    Come “Le meraviglie” di Alice Rohrwacher che ha riscosso ieri un applauso di 12 minuti e mostratio che da noi, dopo i Moretti, Lucchetti, Mazzacurati, Martone, Virzì, Tornatore, Garrone, Ospetek, Daniele Vicari, Roberto Andò, ecc.,  vi è una nuova interessane leva di autori capaci di farsi valere. 

    Molto bello anche “Wild Tales” di Damián Szifron: uno spaccato multisfaccettato della nostra
    epoca assurda, della burocrazia che soffoca la ragione, dell’ingiustizia, del tradimento e infine dell’amore che su tutto trionfa, ma nel modo più autentico, istintivo e verace. 

    E, ancora, David Cronenberg, che con “Maps to The Stars”, parte di David Lynch e con perizia ne altera struttura e contenuti.

    Abel Ferrara che ci parla (ricevendo una querela per diffamazione) dello scandalo di Donique Strauss-Kahn, in un film, “Welcome to New York”, che sin’ora è stato, sulla Croisette, il più ricercato, contestasto, applaudito e fischiato, con il valore aggiunto di un Depardieu in grandissima forma.

    C’è poi Nuri Bilge Ceylan,  una di quelle personalità che hanno segnato un’epoca,  di quella categoria a cui appartengono i Bergman, i Fellini, i Mizoguchi, che presenta “Winter sleep”, che dura più di tre ore, senza che in sala nessuno accenni a distrarsi, nonostante si tratti di un cinema da camera, con dialoghi che hanno inclinazione teatrale, con tempi cechoviani e paesaggi d’immensa poesia, in una storia in cui  tutti cercano il loro posto nel mondo.

    Nemmeno il protagonista ci riesce, ma almeno ci prova. Prova a resistere e a reagire, mentre gli altri pieni di livore stanno a rinfacciargli la sua natura soffocante. Aydin non è autoritario, ma conosce abbastanza il mondo per ritirarsi a vita privata nella sua fortezza in Cappadocia.

    E mentre la sorella appena divorziata si aggira per casa senza meta accusando il fratello, i poveri si lamentano di essere sfortunati, qualcuno cerca di organizzare una beneficienza per lavarsi la coscienza, tutto sembra davvero com’è nella vita. Complesso e semplicemente incomprensibile.

    La capacità di giostrarsi in questa esistenza “ingiusta senza ragione”, la capacità di saper godere delle piccole cose senza essere ossessionati dalle proprie debolezze e dai propri fallimenti, in questo film diventano un manuale di vita tra il filosofico e lo shakespeariano, che accarezza con aggraziata tenerezza ed efficacia comunicativa lo spettatore. 

    La critica francese e non solo, parla ammirata anche di “Timbuktu” di Abderrahmane Sissoko, classico film engagé che fa impazzire le giurie e, in un momento di campagna internazionale per le ragazze nigeriane rapite da Boko Haram, potrebbe convincere tutti e portarsi a casa la Palma d’oro. 
     

    Per ora delude la Francia, con “La chambre bleu” di Mathieu Amalric, inserito in Un certain regard e il pazzerello, avanguardistico, anarcoide “FLA”,  che ha aperto ufficialmente la Semaine de la critique.

    Delusione anche per Mike Leigh con un inerte “Mr. Turner” e per “The Captive” di Atom Egoyan, regista, sceneggiatore e produttore canadese di origini armene. Il regista nel 1994 si è aggiudicato il Premio internazionale della critica proprio a Cannes per  “Exotica”, ambientato nel mondo dei peep-show ed ancora, tre anni dopo,  sempre a Cannes,  il Premio speciale della giura, oltre a due nomination agli Oscar, per “Il dolce domani”. 
     

    Delude alla seconda prova con un western lento e noioso Tom Lee Jones. “The Homesman”,  con lui stesso e Hillary Swan, andato domenica,  dimostra meno ispirazione de “Le tre sepolture".
     

    Mancano tuttavia ancora quattro giorni e molti film per tracciare un bilancio finale; come anche per vedere i premi che certamente ci sorpenderanno, dal momento che la giuria è prevalentente rosa quest’anno, con presidente Jane Champion e membri Carole Bouquet, Sofia Coppola, Leila Hatami, Jeon Do-yeon e  Jia Zhangke e unici maschi Willem Dafoe,  Nicolas Winding Refn e Gael Garcia Bernal. 
     

    Attendiamo curiosi il giudizio di giornalisti e pubblico per il terzo lungometraggio di Asia Argento: “Incompresa”, da “Ingannevole  il cuore più di ogni cosa” di J.T. Leroy, con Gabrel Garko e Charlotte Gainsbourg, nella sezione "Un certain regard", film ambientato nella prima metà degli anni ottanta.

    Nel cast anche Gian Marco Tognazzi e che ha per protagonista una bambina nove anni, interpretata dalla babystar Giulia Salerno, che sogna di essere amata da genitori tanto diastratti quanto egoisti e fuori di testa, coproduzione italo-francese della Wildside di Lorenzo Mieli e Mario Gianani, con la Paradis Films di Eric Heumann, realizzato come polemicamente ha detto l’autrice, senza il sostegno del Ministero che, secondo quanto ha scritto si twitter, aiuta solo quella solita 'classe' di registi che di aiuti statali non  avrebbe a bisogno. 
     

    “Sotto una buona stella” di Carlo Verdone; “Indovina chi viene a Natale?” di Fausto Brizzi; “Tutta colpa di Freud” di Paolo Genovese; “E fuori nevica” di Vincenzo Salemme; “Un matrimonio da favola” e “Sapore di te” di Carlo Vanzina; “Ti ricordi di me” di Rolando Ravello; “Il Pretore” di Giulio Base, sono lcuni dei titoli italiani che negli ultimi mesi hanno ricevuto l'ambito status di film “di interesse culturale”.

    Una 'pecetta' tutt'altro che secondaria e inutile e che per di più ricevono denaro pubblico mentre il più  delle volte non avrebbero bisogno di nessun aiuto economico, perché si fa faticare a credere che senza i 300.000 euro presi dallo Stato il buon Carlo Verdone non sarebbe riuscito a girare la sua ultima commedia. Di euro ne ha incassati 10 milioni e che invece sarebbero state meglio spese per meritevoli opere prime e seconde o per film indipendenti ed intelligenti, molto diversi da queli di Brizzi o dei Vanzina. 
     

    Riceve un contributo ministeriale irrisorio e la distribuzione di Luce e Cinecittà, “La moglie del sarto”,  di Masimo Scaglione, distruibuito due anni dopo la sua realizzazione ed in questi giorni nelle sale, con Maria Grazia Cucinotta, Marta Gastini, Alessio Vassallo, Ernesto Mahieux e Tony Sperandeo, opera di grande bellezza formale ed autentica poesia, numero due di un autore che dal suo esordio (nel 1992), intitolato “Angeli al sud”, non è più riuscito a farsi finanziare nulla. 

    Nel film di Scaglione (ignorato ingiustamente da Cannes e Venezia ma non dall’attentessimo  Montreal), c’è tutta la magia del sud, con storie tramandate, modi di dire e leggende, con donne fatali e madri amorevoli, con momenti di gioia e tratti melodrammatici che si combinano assieme.

    Molto bella anche la musica, composta da Rosaria Gaudio, capace di combinarsi alle immagini nel raccontare la storia di Rosetta, la bella moglie di un sarto del Sud d'Italia.

    Interpretata da Maria Grazia Cucinotta, che dopo la morte improvvisa del marito combatte, insieme alla sua giovane figlia Sofia (Marta Gastini) con tutto il paese per difendere il suo onore e la sartoria per soli 'uomini';  con l’'arrivo di un artista di strada (Tony Sperandeo) e l'improvvisa gravidanza di Rosetta, che cambia il corso della loro vita. 
     

    Il 3 settembre scorso il film è stato presentato a New York, in una proiezione privata per i distributori nordamericani, organizzata da Louis DiGiaimo, cast director di pellicole come 'Il Padrino', 'Thelma Luise', 'Il Gladiatore' e molte altre, ma senza alcun risultato. 

    Tornando a Cannes, ci onora la presenza sul poster ufficiale di Marcello Mastroianni, ritratto mentre si sfila gli occhiali da sole, in un celebre fotogramma del capolavoro di Federico Fellini 8 ½, rielaborato  per l'occasione dai grafici Hervé Chigioni e Gilles Frappier.

    A tal proposito hanno dichiarato:”Nello sguardo dietro gli occhiali abbiamo colto la promessa di una felicità cinematografica totale. La felicità di vivere Cannes insieme!”.

    E soprattutyo ci rende orgogliosi il comunicato ufficiale dei cugini francesi: “Con Marcello Mastroianni e Federico Fellini celebriamo il cinema che è libero ed aperto al mondo, riconoscendo ancora una volta l’importanza artistica del cinema italiano e europeo attraverso una delle sue figure più rappresentative”.

    Così fra questo e l’Oscar a Sorrentino, ci consoliamo di una politica per lo meno distratta. 

  • Arte e Cultura

    L’Italia parte bene a Cannes


    LCannes è piena di eventi, specchio rutilante della grandeur francese che non demorde, neanche in tempo di crisi. Arrivano divi e fotografi, da ogni dove e dovunque vi sono tappeti rossi su cui scivolare fra ali di folla festante.

     
    L’Italia parte bene, con un magnifico film alla “Semaine”: “Più buio di mezzannotte”, dell’esordiente Sebatastia Riso, storia di Davide, in arte “Fuxia”, ragazzo 14enne dalla magnifica voce, che si scopre “ragazza” nella Catania degli anni 80, dove frequenta la vivace comunità di trans e gay, fuggendo da un padre violento (Vincenzo Amato) e da una madre amorevole ed ipovedente (Miceala Ramazzotti).

     
    A Cannes è presente l’ispiratore della storia, Davide Cordova “Fuxia”, storico co-fondatore del locale romano Mucca Assassina e, naturalmentre, il regista ed il cast, composto da Amato, la Ramazzotti e Pippo Del Bono, ma soprattutto da un gruppo di giovani attori non noti, fra cui spicca il giovanissimo Davide Capone, selezionato tra 9mila candidati per il ruolo da protagonista.

     
    “Più buio di mezzannotte”, che esce oggi nelle sale distribuito da Luce, è piaciuto, nonostante sia duro, con le sue ombre notturne, i sorrisi malinconici e l’ironia di chi ha già patito abbastanza per essere triste.

     
    Un film che parla dei paradossi di oggi, quando la condizione di “diversità” nei gusti sessuali trova ancora difficoltà ad essere accettata, specie in Italia, dove ci sono ancora persone discriminate e che arrivano ad uccidersi dal dolore. 

     
    Dice Hillman che non vi sono né libri né film psicologici, ma solo letture psicologiche degli uni e degli altri. Ed allora va detto, ad esempio, che fucsia è il colore che viene da una pianta col medesimo nome, molto usato nella moda e nel cinema, chiamato non a caso  “ciliegia Hollywood”, identiificabile col rosso-magenta e che, in cromoterapia, è vigoroso e resistente e a cui si ricorre per le sue proprietà stimolanti, che infonde rispetto per se stessi, dignità e compostezza, favorendo la concentrazione ed anche l'amore spirituale,  scelto come nomignolo a fronte di immagini di sesso  vissuto con accoglienza, spensieratezza e giocosità, che genera una illusione povera e inevitabilmente squallida, che fa presupporre che l’amore, l’abbraccio e la sessualità autentica possano essere ottenute attraverso una mera  compravendita.
    Sullo sfondo del film Catania, col quartiere di Via delle Finanze, che è stato il primo quartiere a luci rosse d’Europa,  oggi bonificato e  murato e la sua comunità trans e gay,  molto dinamica, attiva e presente.

     
    Cannes è partita, dicevamo, in pompa mgna, con la Kidman presente alla premiere del suo “Grace” che non delude indossando un etereo abito azzurro finemente decorato, firmato Armani Privé.

     
    Le fanno da  corollario Zoe Saldana in un candito abito Victoria Beckham, che scivola delicatamente sulle forme, e, anche lei in bianco ma con volumi più importanti, LaetitiaCasta,  firmata Dior.

    Jane Fonda sfila in Elie Saab, BlakeLively stretta in un abito Gucci che le calza a pennello.
    Stessa tonalità perKarlie Kloss, che sceglie un peplum dress Valentino ampio, in pizzo con dettagli grigio-blu che rendono l'insieme ancora più scenografico e fiabesco.
    Il cinema celebra i suoi riti e le sue frivolezze ma, di tanto in tanto, sulla scorta di ciò che ci insegna Haward Gardner, riflettere sulla importanza di lustrini e frivolezze, ricordando ciò che dise Alda Merini sulla frivoleza femminile, legata ad una “intelligenza ad oltranza”, sarebbe importante.

     
    Il cinema è meglio della realtà; molto meglio, perché fa convivere serietè e frivolezza: due mondi paralleli che non si vogliono incontrare, tenedendo a lasciare ciò che è frivolo alla sottocultura e ciò che è serio alla riflessione.

     
    Così applichiamo ad ogni espressione frivola il senso insulso di quella televisiva, dei frizzi da sabato sera, dei vari Ballando sotto le stelle o delle cronache dei matrimoni reali, lontani anni luce dalla levità che è invece leggerezza, sommo guadagno dell’animo umano,  come scrivono Kundera e molti altri.

     
    A proposito di scritti vale la pena citare questo frammento di Angeles Mastretta, scrittrice messicana fra le maggiori di oggi, nel suo splendido “Mal de amores”: “Avrebbe voluto che suo marito le dicesse che era bella e che il suo amante le dicesse che l’amava. Impossibile. Stando così le cose, li lasciò entrambi e si comprò un grande specchio e le opere complete di Mozart. Non fu mai tanto felice come in quell’estate azzurra.”

     
    Fosse stato meno scabroso e duro avrei proposto “Più buio di mezzannotte” per il Roseto Film Festival opera, prima, perché vi si racconta l’arte di sopravvivere in un mondo che senti diverso.

     
    Un film appassionante, scritto bene (dal regista, da Davide-Fuxia e da Stefano Grasso) e con magnifiche musiche di Franco Battiato ad incorniciare di emozioni la storia di un gruppo di ragazzi che a Catania, in Via Etnea e a Villa Bellini, il loro giardino segreto, negli anni '80 facevano dei loro travestimenti una cultura, una comitiva che durante il giorno veniva additata come "I Puppi"(i froci) ma che durante la notte si riscattava; lì, mentre inscenavano i loro spettacolini, aspettavano il "Principe Azzurro" sotto le vesti di militari, padri di famiglia, piccoli criminali e mafiosi.

    Un film in cui è la vita reale a diventare racconto e le immagini forniscono, senza giudizi, il paradigma della didfferenza.
     
     
     


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