Articles by: Carlo Di stanislao

  • Arte e Cultura

    In montagna con il Trento Film Festival



    Si concluderà a Bolzano il 7 maggio,  la 63° edizione del TrentoFilmFestival, apertasi il 25 aprile all’Auditorium S.Chiara, con “The epicf Everest”, film inglese realizzato con filmati original del capitanoJohn Noel, che documentanola tragica e tuttora misteriosascalata a di Mallory e Irvine del 1924.

    L’edizione di quest’anno ha visto un ricco programma ed un pubblico molto numeroso, che ha gremito non solo le tre sale del cinema Modena, ma annche quella ristrutturata del centralissimo cinema Vittoria, storica sala di proiezioni di Trento.

    L’edizione, poi, si è arricchita di un gran numero di incontri alpinistici, mostre, spettacoli ed altri eventi, come la rassegna MontagnaLibri, il Parco dei Mestieri per i più piccoli e gustosi angoli di gastronomia.

    Centrale la sezione “Destinazione”, dedicata al Messico, proprio nell’anno in cui Confindustria colloca questo Paese al primo posto nell’elenco dei mercati emergenti: “Anche la cultura è economia”, ha affermato in proposito Roberto De Martin, Presidente del Festival, “e la dimostrazione sta nel fatto che ogni euro investito nella nostra manifestazione ne produce altri tre di ricaduta”. Un tema caldo. In un momento in cui dal mondo dell’arte a quello del teatro, amministrazioni, fondazioni, kermesse e associazioni, stringono sui conti e ragionano sui dati dell’impatto economico territoriale, dell’indotto turistico e del tasso di sviluppo, connessi alla cultura.

    Tra i nomi di spicco di questa edizione: Alex Honnold, celebre arrampicatore e alpinista statunitense, special guest corteggiatissima, presente nel parterre della giuria; Reinhold Messner, forse l’alpinista ed esploratore italiano più noto, con cui si discuterà di alpinismo al femminile e Mauro Corona, anche lui scrittore e provetto scalatore.

    Fra i film presentati, una particolare menzione va a Beyond the Edge,  che ricostruisce la spedizione vittoriosa di Hillary e Tenzing del 1953; un film di montagna per il grande pubblico, High and Hallowed, sulla spedizione americana del 1963 ed  High Tension, che documenta le incredibili vicende capitate a Simone Moro e Ueli Steck la scorsa stagione nel loro campo base.

    Per quanto riguarda i premi, la giuria, composta da Jabi Baraizarra, direttore del MENDI Festival Internacional Cine Montaña di Bilbao, dalla scrittrice inglese di viaggi e montagna Maria Coffey, dal regista austriaco Nikolaus Geyrhalter, dal celebre climber statunitense Alex Honnold e dal regista italiano Andrea Pallaoro - dopo aver visionato i 27 film in programma ha assegnato, il 4 maggio, il premio più ambito, la Genziana d’oro, al regista tedesco Sebastian Mezper il film Metamorphosen, un'opera che mette in scena con rigore ed attraverso un linguaggio cinematografico impressionante e coerente, raccontando la vita della popolazione di una remota e vasta zona degli Urali contaminata alla metà degli anni '50 da un'esplosione nucleare, aAbbandonata a sé stessa lungo il fiume Techa, nel bel mezzo di un placido inferno radioattivo.


    Al regista polacco Bartek Swiderski è andata la Genziana d'oro del Club Alpino Italiano per il miglior film di alpinismo; Sati, film inusuale e toccante ricordo di Piotr Morawski, conquistatore di sei Ottomila, morto in Himalaya nel 2009.

     
    Invece, la Genziana d'Oro della Città di Bolzano per il miglior film di esplorazione e avventura è andata al documentario Janapar: love on bike del regista inglese James Newton, racconto di un lungo viaggio in bicicletta che diventa un'avventura di vita, mentre il premio della giuria se l’è aggiudicato Happiness del francese Tomas Balmès, storia di monaco bambino che vive con sua madre a Laya, un villaggio del Bhutan abbarbicato sulle alture himalayane. Un documentario che costituisce uno straordinario scorcio sulla società bhutanese e sui cambiamenti che sta affrontando, creato con rispetto e amore.


    Quanto alle Genziane d’argento, per il miglior documentario: Le lampeau beurre de yak, del regista Hu Wei e per il miglior contributo tecnico artistico al  documentario The creator ofthe jungledel regista spagnolo Jordi Morató,incen trato su un eccentrico personasggio, il signor Garrel, fedele alla sua visione artistica, malgrado ogni condizionamento.

     
    Vale la pena ricordare, in questa 62esima edizione, la proiezione, il 3 maggio e a conclusione di un percorso tra cinema, letteratura e fotografia, per commemorare il centenario della Prima Guerra l’anteprima internazionale,  del film: “La montagna silenziosa, ” del regista austriaco Ernst Gosser, ambientato all'epoca della Grande Guerra nelle Dolomiti, un racconto storico emozionante, incentrato intorno alla guerra che ha diviso il Tirolo, segnando la fine della monarchia austroungarica , ma al contempo, gettando le premesse per la seconda Guerra mondiale.

     
    Nel cast del film figurano Eugenia Costantini, William Moseley, star delle Cronache di Narnia, la leggendaria Claudia Cardinale, Fritz Karl e numerosi attori e attrici del Tirolo e dell’Alto Adige, per una splendida e riuscita operazione, sostenuta dalla Trentino Film Commission.
    Prima del film è stato presentato un altro progetto sostenuto dalla Trentino Film Commission: la prima italiana di Trento Symphonia del collettivo di artisti e filmmaker Flatform, attivo tra Milano e Berlino, le cui opere video sono state in grandi eventi come la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, oltre che in numerosi musei di arte contemporanea.


  • Arte e Cultura

    "La Sedia della Felicita" al cinema. E Carlo e Andy si mostrano

    Una lunga anteprima è andata ieri sera su Rai Movie, nel corso di una rassegna sul suo cinema, un cinema rigoroso e che parla di gente comune e minuta, capace però di esprimere i disagi del nostro difficile tempo.

    “La sedia della felicità” è l’ultimo film di Carlo Mazzacurati, girato tra diverse zone del Veneto, del Trentino e di Roma, ultima fatica del regista padovano scomparso il 22 gennaio scorso, un film dolce e garbato, che sarà nelle sale da domani.

    Presentato al Torino Film Festival nel 2013 (dove Mazzacurati ha ricevuto il premio alla carriera), ha per protagonisti Isabella Ragonese, Valerio Mastandrea e Giuseppe Battiston ed è una pellicola delicata ed ironica, piena di freschezza e di melanconia, con una marcata vena surreale, con personaggi e situazioni per raccontare l’inseguimento di un sogno, quello di un tesoro che ti cambia la vita, da parte di tre eterogenei personaggi, con il malloppo di una criminale (Katia Ricciarelli), che la donna stessa confida in punto di morte alla sua massaggiatrice Bruna (Isabella Ragonese) e, solo accidentalmente, a Weiner (Giuseppe Battiston) che le gli è venuto a dare l’estrema unzione.

    Alla ricerca di questa sedia africana molto chic con tanto di elefante intarsiato ci si metterà pure Dino, tatuatore romano (Valerio Mastandrea). Cosa unisce i tre in questa ricerca del tesoro? Più che l’ingordigia, il bisogno. Il prete è infatti un giocatore d’azzardo compulsivo, mentre Bruna e Dino hanno due attività sull’orlo del fallimento.

    Come dicevamo, a meno di tre mesi dalla scomparsa di Mazzacurati e in occasione dell’uscita di questo film, Rai Movie, dal 10 al 26 aprile, sta dedicando al regista un omaggio e giovedì scorso (con replica venerdì e sabato), Cinemag ha inaugurato la commemorazione con un magnifico servizio speciale.

    Sulla rete imperversano i video sul film, storia strampalata e divertente che è il volontario testamento di un uomo che credeva nel cinema e nella sua forma etica oltre che narrativa.

    Credeva come lui nella forza estetica e riflessiva dell’arte Andy Warhol, che dopo il grande successo di pubblico ottenuto a Milano, giunge finalmente a Roma, con le sue opere ospitate nelle sale del rinnovato Museo della Fondazione Roma, Palazzo Cipolla, dal 18 aprile al 28 settembre.

    L'esposizione presenta oltre 150 opere, tele, fotografie, sculture che fanno parte della Brant Foundation e raccontano una storia intensa ed uno scambio culturale unico fra il giovane collezionista e l'artista.

    Un incontro dal quale nascerà un sodalizio unico dal quale sfocerà la mitica e rivoluzionaria rivista Interview fondata da Warhol stesso nel 1969 e che Brant acquisterà con la sua casa editrice subito dopo la morte dell’artista, nel 1987.

    Warhol come Mazzacurati ha sostenuto e dimostrato che ogni occasione è buona per esprimere un giudizio attraverso la creatività e che l’arte, davvero, può cambiare in meglio il mondo e le cose.

    Nella mostra romana ci sono alcuni dei pezzi più rappresentativi di Warhol, tra cui una delle quattro Marilyn del 1964, la "Shot  Ligth Blue", ma anche i primi "Flowers" e "Campbell's Soup", "Ladies & Gentlemen", la serie dedicata alle Drag Queens di New York, "Oxidation Painting" realizzata nel 1978: una tela di circa due metri di lunghezza, dipinta non con i soliti colori fluorescenti, ma con pigmenti di rame e urina. C'e' spazio anche per un'insolita sezione interamente dedicata alle famose polaroid: qui si ritrovano proprio tutti i protagonisti di un'epoca, immortalati da vicino e nel pieno del loro successo, dal collezionista e gallerista Leo Castelli a cui Warhol scattò la foto nel 1972, allo stilista Yves Saint-Laurent ritratto nello stesso anno, sempre con la macchina fotografica istantanea. Nel 1975 Warhol non si fece sfuggire un Mick Jagger sbarbato e a torso nudo, a fine anni Settanta incluse nella sua galleria, tra i tanti nomi, Pelè e Liza Minelli.

    La scelta del termine pop art, vuole identificare un'arte che parla un linguaggio che tutti conoscono: quello dei mass media, della pubblicità, della televisione e del cinema, ovvero il linguaggio per immagini tipico della società dei consumi, entrando in gara con il linguaggio aggressivo e impersonale dei mass media, per sperimentare tecniche inedite, servendosi di fotografie ritoccate, di collage e assemblages, di sculture in gesso e persino di gesti teatrali per svelare luci e ombre del recente benessere e denunciare lo smarrimento dell'uomo di fronte a una civiltà che impone desideri sempre nuovi e sogni sempre più amplificati.

    In questo senso sia Warhol,  che Mazzacurati sono esponenti con diversa sensibilità. Parliamo del problema della riproducibilità dell'arte nell'epoca industriale e come, e se, mantenere il carattere esclusivo dell'opera d'arte, o se invece conciliare la realtà consumistica con il proprio linguaggio.

    E mentre Warhol Warhol trasforma l'opera d'arte da oggetto unico in un prodotto in serie, come nella celebre serie dei barattoli di minestra Campbell, con la quale egli confermò, di fatto, che il linguaggio della pubblicità era ormai diventato arte e che i gusti del pubblico si erano a esso uniformati e standardizzati; la risposta di Mazzacurati va in senso inverso.

    Ogni storia è unica, singola ed insieme universale, rappresentazione di una umanità che di disfa di fronte al consumismo e alla tecnologia e che, come una via d’uscita, non ha che il sogno venato di ironia.

  • Opinioni

    Pasqua per cambiare


    Ai crocefissi dalla crisi Papa Francesco dedica la Via Crucis con 400.000 persone sotto la luna del Colosseo, in una società in cui “il denaro governa, invece di servire” , dopo che già nella messa del pomeriggio   in San Pietro, padre Cantalamessa, prdicatore del Vaticano, aveva sottolineato come il denaro sia la rovina dei nostri tempi e come sia “scandaloso che alcuni percepiscono stipendi 50 o 100 volte maggiori di chi lavora alle loro dipendenze, serve una maggiore giustizia sociale”.

    Delle 14 stazioni della Passione di Cristo, dedicate alla crisi economica, nella seconda stazione la meditazione è sul peso della croce, Papa Bergoglio ha detto: “Pesa quel legno della croce (…) la corruzione, l’usura, l’ingiustizia che pesa sulle spalle dei lavoratori”.
    Un peso che, ha ricordato il pontefice, riguarda anche gli immigrati, e donne vittime di violenza, i carcerati, i malati.

     
    Ed una croce pesante come la notte grava sulle spalle degli ucraini, russofoni o filo-governativi, che celebrano una mesta Pasqua ortodossa,  quest’anno coincidente con quella cristiana, con l’esile speranza di una road map definita a Ginevra fra USA, Russia e Ue e con Obama che esclude ogni intervento militare, perché, ha detto, si tratta di una situazione per cui non esiste una ragionevole soluzione militare. "Non penso che possiamo essere sicuri di nulla a questo punto. Penso ci sia la possibilità, la prospettiva che la diplomazia possa riuscire ad allentare la tensione" ha aggiunto il presidente Usa ribadendo che "abbiamo già pronte ulteriori sanzioni che possiamo imporre alla Russia se non vedremo un'autentico miglioramento della situazione". Poco prima della conclusione del vertice di Ginevra il presidente americano aveva approvato l'invio di aiuti militari in Ucraina "non letali", cioè elmetti, materassini da campo, sistemi di purificazione d'acqua, tende e medicine da destinare all'esercito di Kiev. Le decisione assunte oggi non vanno lette come "minacce o provocazioni" contro Mosca, aveva detto il capo del Pentagono, Chuck Hagel, annunciando gli aiuti logistici inviati dagli Usa all'esercito di Kiev. 

     
    Ora il governo ucraino deve disarmare i russofoni armati e recuperare i luoghi-simbolo che loro hanno conquistato e deve farlo in fretta ma senza innescare una possibile reazione violenta.
    Ai confini l’esercito russo è pronto e schierato, mentre Putin, nel suo discorso alla nazione, ha denunciato il "grave crimine" dell'uso della forza contro i manifestanti russofoni nell'est e ha avvertito che le nuove autorità di Kiev stanno spingendo il Paese "verso l'abisso", pur lasciando lasciato aperta la porta al dialogo. Avvertendo che spera "molto sentitamente" di non dover mandare le truppe in Ucraina - pur avendone il "diritto", dopo il via libera ottenuto dal Senato a marzo - Putin ha ribadito che farà il possibile per aiutare la popolazione russofona a difendere i propri diritti. Putin ha attribuito "grande importanza" ai colloqui di Ginevra ma a suo avviso il compromesso necessario a uscire dalla crisi deve essere trovato "all'interno" del Paese e non all'esterno, "tra parti terze" come Mosca e Washington. Il primo passo, inoltre, deve essere una riforma costituzionale che preceda le elezioni presidenziali.

     
    Ed è cupa l’atmosfera in Corea del Sud, dove il vicepreside del liceo di Seoul da cui provenivano gli studenti morti o dispersi nel naufragio del traghetto che li doveva portare in vita, si è impaccato nei pressi del ginnasio dove sono riuniti i parenti delle vittime.
    In questo che ricorda la nostra, terribile “Concordia”, sono stati arrestati tre ufficiali, il capitano, il primo ufficiale ed il secondo, una ragazza di soli 26 anni, con appena uno di esperienza e che era al timone nel momento del disasstro.

     
    In queste ore le vittime sono salite a 28, mentre i dispersi sono 268. L'unità di crisi del governo di Seul ha reso noto che 16 corpi sono stati recuperati nelle operazioni notturne e di questa mattina e che circa 550 persone sono impegnate nelle attività di soccorso subacquee, rese difficili dalle condizioni meteo e dalle forti correnti.

     
    Le cause dell'incidente non sono ancora state chiarite e molti i passeggeri hanno detto di aver sentito un forte rumore, dopo il quale il traghetto si è fermato di colpo. Il capitano ha detto di non aver colpito uno scoglio. Sui media di Seul è comparso, tra le principali tragedie del mare, il riferimento al naufragio della Costa Concordia al largo dell'isola del Giglio, con qualcuno che fa spuntare il paragone con la condotta del suo comandante Francesco Schettino.
    La ricostruzione della tv pubblica, sposata da altri media, ha sottolineato che a gran parte dell'equipaggio è stato ordinato di abbandonare la nave malgrado le centinaia di passeggeri a bordo.

     
    La gestione dell'emergenza da parte dell'equipaggio è apparsa lacunosa. In base alle testimonianze e agli sms inviati dagli studenti ai familiari, l'ordine è stato di indossare i giubbotti salvagente, di restare calmi nelle cabine e di non uscire sui ponti, forse nella convinzione di poter salvare la nave o di stabilizzarla in vista di un affondamento più lento e regolare.
    L'inclinazione sul fianco sinistro ha accelerato il processo conclusosi in appena due ore, e molti passeggeri si sono trovati nell'impossibilità di vie di fuga mancando appigli per superare una pendenza sempre più ripida, avvalorando l'ipotesi che la maggior parte dei 268 passeggeri dispersi sia rimasta intrappolata nello scafo.


    “Sono davvero dispiaciuto e mi vergogno profondamente. Non so cosa dire”, ha ammesso, circondato da reporter e microfoni delle tv sudcoreane indossando una felpa grigia e nascondendosi nel suo cappuccio, Lee Jun-seok, 69 anni, capitano del traghetto ed esperto del settore, con oltre 30 anni d'esperienza. Prima degli interrogatori della guardia costiera, Lee si è rifiutato di dare dettagli sulla dinamica delle disposizioni sia sull'emergenza sia delle procedure di evacuazione. Il problema, rimarcato nella rabbia e nella disperazione dei parenti dei 286 ancora dispersi, in gran parte degli studenti in gita delle scuole superiori di Ansan, e espresso anche durante la visita della presidente Park Geun-hye, è che Lee si sarebbe messo in salvo, a 30 minuti dal lancio della richiesta d'aiuto, sulla prima imbarcazione di soccorso arrivata.
    Che fine hanno fatto i “Capitani coraggiosi” di Kipling e dove sono gli uomini capaci di riscatto descritti da Conrad?
    Il senso del dovere e l’umanità sembrano sparire dal nostro orizzonte, fatto di cinismo esasperato ed incline solo alle singole, egoistiche sopravvivenze.

     
    Dove è finito o si nasconde il capitano Tom Mac Whirr, comandande della nave Nan-Shan, solitario ed eroico protagonista di “Tifone”, esempio di dirittura morale non retorica, , imperturbabile e legato fino in fondo al proprio ruolo e alle proprie responsabilità.
    Segno di tempi decadenti, primitivi, rozzi e privi d cultura, egoisti ed omologati, dove quello che una volta si chiamava proletariato o sottoproletariato ha gli stessi comportamenti della borghesia caramellosa e fasulla: comportamenti tipici di ceti sociali falsificati e falsi per natura e storia, quelli della borghesia culturalmente intesa (“fatti i fatti tuoi e arraffa quel che puoi tramite parenti e politici”) si spostano dentro la giungla dell’ex proletariato o “popolo”, il che non ammorbidisce la giungla, né la coltiva, né funziona da lenitivo, ma aumenta soltanto la scissione dentro le persone e tra le persone.

     
    L'utilitarismo sostiene come criterio ultimo quello del principio di utilità, per cui il fine morale da ricercare in tutto quanto facciano, è la maggiore rimanenza possibile per noi stessi.
    Ed è questa l’idea dominante, anzi straripante, che impoverisce gli intelletti ed i cuori e svuota singoli e società di contenuti umani.

     
    Sul finire del XX secolo, Karl-Otto Apel, estende l'etica di Weber come modalità propria di tutti gli uomini, con la sua etica discorsiva che è una trasformazione dell'universalistica etica deontologica di Kant ed in base a ciò l'a priori da cui Kant faceva dipendere la possibilità della conoscenza e dell'universalità della scienza (per cui la ragione singola dell'individuo si chiede se il suo principio pratico può essere universalizzato), non è più struttura profonda della ragione, ma è il linguaggio, che a propria volta è retto da un a priori secondo cui tutti rispondono idealmente all'osservanza delle 4 pretese di validità di una comunicazione.
    Quindi l'etica discorsiva riflette su ciò che assieme, vogliamo riconoscere nell'argomentazione come moralmente obbligante.
    Da ciò discende la tendenza odierna di parlare molto di etica, ma di non applicare, in pratica, alcuna morale.
    Va riconosciuto quindi che abbiamo completamente smarrito il senso di un'etica della virtù che giudica le azioni e si fonda  sulle persone e sui loro motivi o tratti del carattere, per gesti di responsabile altruismo.

     
    Ha scritto tempo fa Bruno Forte che l’evento Pasqua è al vertice della storia umana solo se si accettano il senso di responsabilità e la capacità di aiuto.
    Gli abitanti delle Bermuda celebrano il Venerdì Santo facendo volare aquiloni fatti in casa, mangiando torte rustiche al baccalà, panini caldi a forma di croce e la tradizione, si dice, ha avuto origine da un insegnante locale dall'esercito britannico, per spiegare ai nativi l'ascensione di Cristo e far comprendere che ogni uomo può essere migliore, se si libera dal fango del suo egoismo, librandosi leggero, sostenuto dalla generosità.

     
    Pasqua viene dall’ebraico “Pesach” che signifa lasciare ed è una festività felice, fatta per ricordarci sempre di cambiare migliorando, ripulendoci, scrupolosamente, da ogni egoismo.
    Commentano i dottori di quella tradizione che Pesach è festa di Primavera, rinnovamento e pulizia e, soprattutto, insegna, ad andare d’accordo, ricordando che farlo con chi la pensa come noi, chi condivide la nostra cultura, chi ha i nostri stessi gusti ed opinioni non è difficile, perché è una auto-celebrazione di ciò che già conosciamo.

     
    Ma tollerare e rispettare che un altro individuo possa vedere il mondo con occhi diversi e non considerare il suo punto di vista come sbagliato, inferiore, o – peggio ancora – da correggere, è molto più complicato e spesso richiede un’empatia ed una compassione che accrescono l’esperienza umana oltre i limiti di ciò che è noto e che credevamo impossibile da raggiungere.


  • Fatti e Storie

    Riunirci al passato. La lezione “naturale” di Franco Cagnoli

    Partire da Esopo per farne altro, mescolando la favolistica apolegetica abbruzzese (la sua Regione), con una narrazione che ricorda gli autori “ underground” ed il “flusso di coscienza”.

    Questo ha fatto il giovane Franco Cagnoli nel suo “La cicala. (Sogno di una notte di pieno inverno)”, viaggio morale in una natura incontaminata e compresa attraverso le parole del nonno, che lo porta a parlare con cicale e formiche e con erba, alberi ed animali, che gli disvelano i segreti della vita.

    Al centro del racconto, dicevamo il nonno, l’avo, l’antenato, figura che impersona l’esperienza e la saggezza, come nella cultura tipica del Sud d’Italia, come nel “mos maiorum” latino, con una vicenda fatta di precetti normativi poiché investiti di un auctoritas capace di creare una personale visione del mondo e delle cose.

    Il racconto di Franco Cagnoli, sorprendende esempio di talento genuino e fascinoso, è un lungo viaggio alla ricerca delle origini, in una natura ricca di memorie, in cui si cerca l'essenza dei paesaggi e dei passaggi, un viaggio in un sapere antico, in una recuperata comunione con la natura, in cui si intravede l’ansia di chi comprende che solo il passato può restituire sostanza e centratura (soprattutto dopo un terremoto distruttivo) ed è anche il modo migliore per osservare il divenire delle cose.

    Nel giovane autore una sorta di pervasione manista, con l’Antenato elemento centrale di tutte le manifestazioni rituali e celebrative, lampada sempre accesa per illuminare il cammino, esso stesso sentiero da seguire e da vivere attimo dopo attimo, insegnamento dopo insegnamento.

    Franco Cagnoli, con questo libro, con la sua esperienza di poeta e musicista, ma anche di persona che è tornata a coltivare la terra, non limitandosi ad ammirarla da lontano, ci ricorda che questo lavoro, fatto di duro rispetto, è un’arte analoga come quella di coltivare le parole o le note musicali per suonare o raccontare, perché è adesso il momento di mettere insieme il lavoro della Formica con il canto della Cicala, che è anch'esso lavoro, e insieme formare un grande patrimonio comune, che sappia immagginare un futuro che sia in sintonia con il passato.

    Alla presentazione del libro, lo scorso 12 aprile, il meglio della intellettualità aquilana: Roberto Ciuffini, Liliana Biondi, Daniele Kihlgren e Tiziana Irti, con il Mupac di vbia Ficara che grondava emozioni e richiami continui alla letteratura di grandi legati alla cultura degli antenati: Calvino, Pavese, Rilke.

    Leggendo il libro mi sono tornati alla mente versi di un canto Navajo, che dicono:  

    Con il cuore colmo di vita e di amore camminerò.
    Felice seguirò la mia strada.
    Felice invocherò le grandi nuvole cariche d'acqua.
    Felice invocherò la pioggia che placa la sete.
    Felice invocherò i germogli sulle piante.
    Felice invocherò polline in abbondanza.
    Felice invocherò una coperta di rugiada.
    Voglio muovermi nella bellezza e nell'armonia.
    La bellezza e l'armonia siano davanti a me.
    La bellezza e l'armonia siano dietro di me.
    La bellezza e l'armonia siano sotto di me.
    La bellezza e l’armonia siano sopra di me.
    Che la bellezza e l’armonia siano ovunque,
    sul mio cammino.
    Nella bellezza e nell’armonia tutto si compie.

    Riflettendo ora sul testo, credo che da Esopo il giovane autore abbia preso (attraverso gli insegnamenti “naturali” del nonno) l’idea dell’origine della sofferenza, che nella mentalità più arcaica si definiva hýbris (in greco ὒβρις), 'accecamento mentale che impedisce all'uomo di riconoscere i propri limiti e di commisurare le proprie forze: chi ha ambizioni troppo elevate e osa oltrepassare il confine posto dagli dei pecca di hýbris e incorre in quella che viene chiamata “invidia degli dei” (in greco φθόνος θεῶν, fthònos theòn), una divinità “invidiosa” del potere umano e, come tale, determinata ad abbatterlo con prepotente capriccio.
    Da qui, la causa della sofferenza umana.

    Ma, nel suo racconto, solo in apparenza semplice e piano, Cagnoli guiunge a rinunciare a questa teoria e mostra invece come le azioni delle divinità (attraverso la natura) sugli uomini non sono prodotte da semplice invidia, ma sono conseguenze edificanti di una colpa umana, in quanto gli dei (la natura e gli antenati) sono assoluti garanti di giustizia e di ripristino dell’ordine, e dunque alla hýbris corrisponde sempre il saggio ammaestramento divino, attraverso la punizione.

    Giustizia (in greco δίκη, dìke), insomma, è la legge che gli dèi e la natura impongono al mondo e che spiega la casualità degli avvenimenti, apparentemente inesplicabile, regolando con bilance esattissime la colpa e la punizione, rivelandosi allora come un immanente ingranaggio che non lascia scampo a chi si è macchiato di una colpa o a chi eredita una colpa commessa per prima dai propri antenati.

    Ed è chiaro, così, che alla luce della funzione edificante della punizione attraverso il dolore, che ogni uomo è destinato a soffrire, egli matura la propria conoscenza (πάθει μάθος, pàthei màthos) e si rende conto, dell'esistenza di un ordine perfetto e immutabile che regge il mondo e si rifletev nella natura.

  • Fatti e Storie

    Quando c’era Berlinguer e quel tempo da ripiangere

    Esce oggi sugli schermi “Quando c’era Berlinguer”, docu-film diretto da Walter Veltroni che, da giornalista e cinefilo, ha voluto ripercorrere i contorni di una figura complessa per raccontare un pezzo di storia recente italiana e che  ieri sera, sempre nell’’Auditorium progettato da Renzo Piano, in anteprima assoluta, ha ricevuto una standing ovation, con commenti entusiastici da parte di operatori culturali ed appartenenti alla storia di quel partito che, appunto, Enrico Berlinguer, scomparso trenta anni fa ed oggi quasi dimenticato, avviò a cambiare da PCI a PDS.

    Come aquilano sono particolarmente fiero della colonna sonora, affidata alla nostra Sinfonica, registrata all’Auditorium Parco della Musica, con una esecuzione a cui ha preso parte anche lo stesso Veltroni.
     

    Il film è stato realizzato con rigore e, sebbene al centro abbia la figura di un uomo carismaticocon molti meriti e limiti, non parla solo di Berlinguer, ma anche degli eventi traumatici accaduti nella nostra storia recente (caduta del comunismo, fine dei partiti della prima repubblica, trionfo dei media, leaderizzazione della politica, depoliticizzazione dei cittadini), con un bilancio disinteressato e spassionato.

    Ma troviamo anche  un monito amaro: dopo trenta anni non solo le speranze di Berlinguer sono cadute e la situazione è ancora peggiorata. Anche il suo partito e quelli da esso derivati sono stati coinvolti in quelle grosse ruberie, che il moralismo di Enrico condannava aspramente. Troppe per essere elencate. Timido e cupo, impacciato e silente, per il popolo ancora rosso era una icona (un milione di persone al funerale) e, con tutti i suoi limiti, aveva ragione Montanelli quando diceva: “può anche aver commesso degli errori: mai disonestà o bassezze”.
     

    In verità, a guardarlo con oggettività adesso, tutta la sua attività fu paradossalmente ambivalente: da un lato gesti di fedeltà al comunismo, dall’altro prese di distanza dall’Urss. Anche se certo è una esagerazione parlare di “strappo”: il Pci lo fece solo dopo la caduta del comunismo, quando cioè non c’era più niente da strappare. È vero, tuttavia, che Berlinguer non era ben visto: nel 1973, in Bulgaria, un camion militare investì la sua macchina e si salvò per miracolo (incidente o Kgb?).
     

    Giustificò l’invasione dell’Ungheria, ma condannò quella della Cecoslovacchia; operò per un incontro tra operai e produttori, ma si schierò contro la marcia dei 40 mila a Torino; esaltò l’ombrello della Nato come difesa della libertà, ma santificò i Vietcong nonostante conoscesse i loro genocidi; nascose il terrorismo rosso degli anni Settanta, poi lo chiamò “fascista”; prese a lungo l’oro di Mosca, che rifiutò solo negli ultimi anni; parlava del “valore assoluto” della libertà di stampa, ma denunciò Forattini per una vignetta satirica.
     

    Queste contraddizioni si colgono nel docu-film di Veltroni, ma c’è anche il rimpianto per un modo migliore e per uomini migliori. Walter, con i filmini privati dell'autore, le immagini dei telegiornali e quelle delle Tribune Politiche, la biografia personale e politica, le interviste (dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, alla figlia Bianca Berlinguer, dal fondatore delle Br Alberto Franceschini al capo scorta Alberto Menichelli, passando per Eugenio Scalfari e Jovanotti), è riuscito a tratteggiare una figura mitica e complessa, molto più variegata di quanto affidato alla sbiadita memoria, resa più austera e credibile dalla voce affidata a Toni Servillo (mentre è Sergio Rubini a prestare la voce a Pier Paolo Pasolini), col il reperimento dei  luoghi della formazione di Berlinguer, le sue letture giovanili, le sue passioni, a cominciare dal mare della Sardegna, sua oasi di serenità.
     

    Veltroni ha usato il repertorio cercando le immagini meno conosciute e attingendo a quanto è stato prodotto, nell'immaginario, dalla sua figura, per costruire un racconto corretto storicamente, ma giocato sul filo lieve e persino dolce della memoria di quel tempo: non solo del suo lavoro, ma dei passaggi storici che hanno accompagnato la sua politica.
     

    Per quanto mi riguarda vi ho visto più che un filo di nostalgia per un periodo durante il quale buona parte della politica era finalizzata all'interesse comune. Quando non era ancora scaduta come lo sara' di li' a breve, a metodi tesi a far si che "se i conventi erano poveri, i frati erano ricchi")e che dopo la breve e speranzosa parentesi di tangentopoli, ebbe a proseguire in ancor piu' mala e privata gestione durante un ventennio.
     

    Vi ho trovato nello stile, quello stesso di Martone in “Noi credevamo”, con una scena politica eterodossa ed utopica, in certi momenti quasi soffocato dal bisogno di un didatticismo troppo incombente, che toglie passione e anima ai personaggi, ma, in fondo, riuscito nell’impeto nostalgino e nello slancio narrativo, con riuscita l’operazione di base: la grande ed encomiabile ambizione di affrontare i tanti nodi di una storia patria che coi tempi che corrono ha sempre più bisogno di essere conosciuta e divulgata.
     

    Veltroni decide di partire in maniera molto diretta nel suo documentario, girando per le città d’Italia e domandando chi sia Berlinguer: agghiacciante il livello delle risposte ottenute, che vanno dal più semplice “non lo so” ai peggiori “un cantante”, per arrivare ad ipotizzare un improbabile leader coreano o francese. Questa prima parte resta abbastanza sconcertante, ma è semplicemente lo specchio della realtà odierna, dove un politico come Berlinguer non esiste più, dove un uomo come Berlinguer nella politica di oggi non avrebbe spazio, e che, questo è vero, resta oscuro alle generazioni moderne perché i programmi scolastici dei licei si fermano ormai troppo presto per conoscere questi eventi di storia italiana.
     

    Ecco allora che Veltroni si serve di bellissime immagini di repertorio e di un montaggio stimolante per raccontare quegli anni, costellati da personalità importanti come Aldo Moro, dalla nascita delle Brigate Rosse e dalla morte del comunismo italiano l’11 giugno 1984, con la scomparsa di Enrico Berlinguer.
     

    Veltroni non ripercorre pedissequamente ogni tappa, ma cerca di raccontare gli eventi più significativi, anche attraverso le voci e le testimonianze di chi Berlinguer lo ha conosciuto, sostenuto e che ora lo ricorda con affetto estremo. Se c’è una critica che si più muovere nei confronti di questo prodotto è che forse è troppo emotivo, carico del sentimento di ammirazione che Veltroni nutre nei confronti di chi, per lui, è stato un esempio e un modello, perdendo a tratti la lucidità e soffermandosi forse troppo su alcuni eventi.
     

    In fondo è una dichiarazione d’amore, dove la razionalità e l’ordine hanno solo un ruolo marginale. E in cui, indipendentemente dal valore artistico, resta il  racconto di un modo di fare politica lontano anni luce dalla situazione attuale, e che varrebbe la pena di vedere, anche solo per conoscere e, probabilmente, rimpiangere.

  • Opinioni

    Risposta a Wikipedia che liquida le Medicine non Convenzionali


    “Ciarlatani pazzi”: è con questo epiteto che il fondatore di Wikipedia Jimmy Wales ha liquidato, a fine marzo scorso, la petizione arrivata via Change.org affinché l’enciclopedia online ammendi le sue voci che riguardano i trattamenti di cura olistica. I contenuti sono dettati da pregiudizio, sostengono gli ottomila firmatari, che negli ultimi cinque anni hanno provato senza successo a modificarli.


    E bollano Wikipedia come “guardiana dello status quo”.

    Il testo, di cui il link sotto, cita anche il co-fondatore di Wikipedia Larry Sanger, che ha lasciato l’organizzazione sollevando dubbi sulla sua integrità in alcuni campi dove gruppi di persone riescono a mantenere contenuti che riflettono punti di vista ideologici e faziosi e manca un meccanismo credibile per approvare le versioni degli articoli.


    Si tratterebbe di ciò che succede nel caso di alcuni trattamenti di cura olistica, secondo i firmatari. Gli scettici, in sostanza, riuscirebbero a censurare un’informazione più equilibrata su questi approcci alla cura della salute e del benessere umano. I campi incriminati sono in particolare quello della Psicologia Energetica, che coniuga una serie di tecniche psicoterapeutiche con i principi dell’agopuntura e della chinesiologia applicata; della Medicina Energetica, postulante una cooperazione sistemica di matrice energetica tra sistemi dell’organismo umano che viene utilizzata come risorsa principe di guarigione. O tecniche più specifiche, come quelle di libertà emozionale (EFT).


    E la stessa Agopuntura, la cui validità è stata dimostrata anche da vari studi scientifici occidentali negli ultimi anni. Il risultato sarebbe di dissuasione delle persone nei confronti di approcci che potrebbero invece essere di beneficio per la loro salute e benessere psicofisico.

     
    “Ogni singola persona che ha firmato questa petizione ha bisogno di… pensare meglio a ciò che vuol dire essere onesti, fattuali e veritieri” ha dichiarato Jimmy Wales, rigettando così la petizione, per poi difendere le politiche del gigante enciclopedico, sostenendo che Wikipedia fornisce solo informazioni provate scientificamente, pubblicate da riviste scientifiche rispettabili.

     
    “Ciò che non facciamo è fingere che il lavoro di ciarlatani pazzi sia l’equivalente di una “seria dissertazione scientifica”. Non lo è”. Il tenore dell’invettiva potrebbe dar peso alla posizione dei firmatari, quando sostengono che quelli di Wikipedia “rifiutano il confronto con esperti scienziati e clinici nella ricerca di punta, o se è per questo, con chiunque abbia un punto di vista diverso”.

     
    Vale qui la pena ricordare che, non esiste ad oggi un consenso univoco sulla definizione da adottare rispetto alla realtà socio-sanitaria delle discipline denominate Medicine non Convenzionali. Si è scelto di utilizzare questa espressione (preferendola ad altre diffuse sia in ambito nazionale che estero, come Medicina Complementare e Alternativa, Medicina Tradizionale, Medicina Naturale, ecc.) essendo quella prevalente nel contesto istituzionale europeo, adottata anche dal Parlamento Europeo (Parlamento Europeo, Risoluzione n.75/1997 del 29/05/1997).
     

    Circa le richiamate evidenze scientifiche essi ci sono e come e queste non devono essere considerate come un insulto alla vera scienza. Come scritto da Francesco Bottaccioli sugli Annalli dell'Istituto Superiore di Sanità già nel 1999, sarebbe oggi auspicabile, invece di levate reciproche di scudi, fra biomedicina e altri modelli medici, una visione allargata sulla complessità dei concetti di salute e malattia inerenti l’uomo. Questo affinché ci sia rispetto della libertà nella scelta terapeutica, tra l'altro garantita dalla nostra come da altre costituzioni.


    In buona sostanza, quando si dovrà scrivere la storia della medicina degli ultimi anni del XX secolo, sarà necessario dedicare un approfondimento al ruolo in continua evoluzione svolto dalle cosidette Medicine Alternative Complementari (CAM). Tuttavia lo sviluppo di questi sistemi diagnostici e medicali, da “medicina marginale” ad appendice tollerata dall’ortodossia medica, è stato rapido e relativamente privo di ostacoli.


    Essi meritano sicuramente un posto nella storia, non solo perchè rappresentano di per sè esempi del modo in cui idee inizialmente rifiutate riescono, infine, a guadagnarsi un posto nella tendenza dominante, ma perchè stanno esercitando gradualmente un’influenza sempre più decisiva sul nostro modo di concepire la malattia, la salute e la terapeutica.


    Il vero problema è che oggi la scienza è una sorta di sapere “divino”, nel senso che è un sapere spogliato dal punto di vista "umano", cioè dal punto di vista dell'esperienza quotidiana e pertanto è divenuta rigida ed oscurantista che da un lato proclama come paradigma il metodo ipotetico-deduttivo, ma poi si dimentica che in molti casi (vedi il DNA come esempio), la scoperta non si fece in laboratorio, ma attraverso un processo chiamato "mentale" o "ideale".


    Un esperimento cioè non realizzabile in laboratorio, ma solo a livello mentale, "immaginando" cioè condizioni non reali, ma "ideali", quelli stessi che però nega come autentici per molte scienze non matematiche né galileiane.


    La materia oscura esiste perché se ne vedono gli effetti gravitazionali. Non è stata scoperta in senso stretto, non c’è stato un eureka urlato in qualche sperduto laboratorio sotterraneo. Ma tutto è vero, mentre è falso parlare di un quid che chiama “Energia” ed informa in varia misura le Medicine non Convenzionali.


    Il positivismo viene definito da Nietzsche “malattia dello spirito” con l’avviso che la scienza non è mai un sapere oggettivo poiché la realtà non è oggettiva, ma composta da singole verità ed interpretazioni che cambiano a seconda delle circostanze e delle cose.


    Letture online consigliate

    Per approfondire l'argomento su Jimmy Wales, Larry Sanger e Wikipedia il testo è consultabile on-line sul sito di energypsych.org<<<

    PDF del Dr. Alfredo Vannacci sulle Medicine non Convenzionali ed Evidenze Scientifiche: <<< 

    Documento dell'Università di Bari Aldo Moro La scienza: un sapere "oggettivo" che va al di la' del "punto di vista" dell'uomo? <<<

    Letture bibliografiche consigliate

    AAVV: Conoscere la complessità. Viaggio tra le scienze, Ed. Bruno Mondadori, Milano, 2009.
    Bauer H. H.: Dogmatism in Science and Medicine, Ed. Europspan, Madrid, London, Paris, 2012.

    Cipolla C. - Roberti di Sarsina P.: Le peculiarità sociali delle medicine non convenzionali, Ed. Franco Angeli,. Milano, 2009.

    Di Stanislao C.: Argomenti di Medicina. Il dialogo e l’integrazione fra culture e modelli, Ed. Fondazione Silone, Roma-L’Aquila, 2007.

    Giarelli G., Roberti di Sarsina P., Silvestrini B. (a cura di): Le medicine non convenzionali in Italia. Storia, problemi e prospettive d'integrazione, Ed. Franco Angeli, Milano, 2007.
    Scarda A.M. (a cura di): Rapporto sul sistema scientifico e tecnologico, Ed. Franco Angeli, Milano, 2003.

    Tognetti Bordogna M. (a cura di): La formazione nelle medicine tradizionali e non convenzionali in Italia. Attualità, esigenze, criticità, prospettive, Edd. Franco Angeli, Milano, 2014. 

  • L'altra Italia

    Default in sanità: tagli e altro


    Ha un bel dire la riconfermata ministra Lorenzin che ciò che si risparmia si rinveste sempre in sanità, i fatti ci dicono che ancora tagli saranno erogati al già falcidiato SSN, per un ammontare di 3 miliardi quest’anno, 18 nel 2015 e 34 l’anno successivo. 

    Il Commissario per la spending review Carlo Corlarello, in audizione alla Commissione Bilancio del Senato, ha illustrato il suo pacchetto di misure per ridurre la spesa dello Stato, sottolineando l'assenza di tagli a istruzione e cultura, così come il fatto che le fasce di reddito più deboli saranno esentate da queste azioni e suddividendo il suo intervento in due macrogruppi: quelli di immediata applicabilità, che potranno portare risultati già dal 2014 e quelli che richiedono riforme strutturali della spesa che vanno iniziate ora ma che avranno effetti solo nel 2015 e 2016.

     
    Secondo lui sono ancora possibili risparmi in Sanità, intervenendo soprattutto sui ricoveri inappropriati e su una più diretta applicazione dei costi standar, il tutto realizzabile all'interno del Patto per la salute con le Regione, ma senza chiarire se i risparmi ottenuti resteranno alla sanità o andranno a sostenere le manovre fiscali del Governo.

     
    Certamente in Sanità vi sono sprechi e inappropriatezze e certamente inqueta la recente vicenda “Avastin/Lucentis”,  che al di là dei profili amministrativi e forse anche penali, secondo quanto argomerntato anche dal professor Umberto Tirelli, oncologo di fama dell’Istituto oncologico di Aviano, rischia di mettere in secondo piano la vera questione, che è quella del costo elevatissimo delle terapie innovative, anche quando l’innovazione, come nel campo oncologico, si misura spesso non in una sostanziale remissione della malattia, ma magari in un allungamento della sopravvivenza misurabile in poche settimane o qualche mese di vita in più.
    In proposito ricordiamo che lo stesso Avastin, se usato in oncologia (patologia per la quale è registrato e messo in commercio in Italia nella fascia H del prontuario), non costa poco ed il prezzo rimborsato dal Ssn varia  dai 305 euro per la confezione di 4ml ai 1.200 euro per quella da 16.

     
    La questione della sostenibilità economica della spesa farmaceutica è rilevante e va assolutamente affrontata da tutti gli attori in campo, partendo dal vero vulnus del problema e cioè riconoscere, una volta per tutte, che negli anni i progressi fatti sui farmaci hanno portato ad un allungamento della speranza di vita dei pazienti per molte patologie ma, allo stesso tempo, considerare che stiamo registrando un aumento della spesa esorbitante e spesso non giustificata dai benefici reali che certi medicinali hanno sui pazienti.

     
    Per fare alcuni esempi, mentre sull’Hiv/Aids i progressi scientifici ci hanno portato ad avere farmaci che di fatto hanno trasformato una malattia che fino a qualche decennio fa portava quasi alla morte del paziente, ad una patologia cronica che consente per esempio ad un quarantenne che scopre di avere il virus e usa i farmaci a disposizione, pur costosi, di vivere almeno altri 35 anni . In questo caso un costo elevato dei farmaci è giustificato da un adeguato vantaggio in termini di salute per il paziente e a un grande risparmio sanitario per l’assenza delle malattie infettive e non associate all’Hiv, nel caso, penso per esempio, di numerosi tumori solidi, dal progresso farmacologico non si sono ottenuti grandi risultati nel miglioramento della speranza di vita e spesso molti medicinali sono immessi sul mercato a prezzi elevatissimi pur garantendo minimi vantaggi.
    E se pensiamo che l’80-90% della spesa sanitaria avviene nell’ultimo mese di vita si capisce bene la natura del problema.

     
    Se poi si considera che nei prossimi anni avremo certamente un aumento di determinate patologie, possiamo facilmente immagginare che i costi sono destinati ad aumentare e, questi, asdsieme ai tagli, crearenno sempre meno risorse per degenza, manutenzione e personale sanitario.

     
    A queasto punto, da parte dei medici, serve una seria assunzione di responsabilità,  perché la coperta delle risorse è quella che è, per cui aumentare la spesa farmaceutica vorrebbe dire tagliare su personale e ricerca.

     
    Anche perché, anche l’American Society of Clinical Oncology (Asco) è intervenuta di recente sollecitando l’astensione o la riduzione dei trattamenti in certe fasi della malattia.
    Occorre in primis che le autorità nazionali ed internazionali del farmaco valutino molto più attentamente il rapporto costo-beneficio per la collettività di un nuovo farmaco prima di approvarlo e/o sanzionarne il prezzo. In Gran Bretagna per esempio un nuovo farmaco ormonale per il tumore alla prostata molto costoso non è stato approvato dall’agenzia regolatoria Nice  perché aveva vantaggi limitati e costi molto elevati. Successivamente dopo una trattativa rimasta molto riservata il farmaco è stato approvato ma a costi molto inferiori. In questo senso anche le aziende farmaceutiche hanno un ruolo dirimente. Se è vero che bisogna riconoscere a quest’ultime i costi della ricerca (1 farmaco su 1.000 sostanze testate entra alla fine sul mercato) è altrettanto vero che andrebbero ridotti i costi di promozione (ad esempio quei convegni troppo finalizzato alla singola molecola senza fornire un adeguato dibattito anche sui costi e sull’impatto per i servizi sanitari). Forse non ce lo possiamo più permettere e forse sarebbe più giusto che le aziende aprissero i loro mercati UE dove alcuni medicinali non ci sono perché troppo costosi. E poi, ogni volta che ci troviamo di fronte ad un nuovo farmaco devono essere chiaramente illustrati i reali benefici che esso apporta, senza dimenticare però le tossicità che non sono spesso ben indicate,  e soprattutto  bisognerebbe sempre specificare dopo la frase “vi è stato un miglioramento della sopravvivenza” anche di “quanto”. Troppo spesso quando si promuove un nuovo prodotto si pensa sempre che esso offra una soluzione definitiva al problema, e così spesso viene recepito dal paziente e dall’opinione pubblica, anche quando i vantaggi reali non sono rilevanti.

     
    Quanto a noi medici, infine, tutti abiamo una grande responsabilità, perché se è vero che è nostro compito seguire le linee guida su sicurezza, qualità e appropriatezza delle terapie è anche nostro compito valutare quando sia veramente necessario un farmaco, cioè dobbiamo usare anche ragionevolezza e buon senso. Non si può dire come fanno molti oncologi che :“il problema dei costi non ci riguarda”.

     
    Essi hanno invece un impatto negativo sul complesso dei nostri budget con ripercussioni anche pesanti sulla stessa qualità globale dell’assistenza, contriobuendo ad evitare quello che potrebbe diventare a breve un vero e proprio default economico e di salute del nostro Ssn.
     


  • Arte e Cultura

    Al Cinema in Italia. Commedie per ridere e pensare


     
    Prima romana di “Maldamore”, ennesima commedia italiana sul tradimento e la capacità di perdonare, ma con attori molto bravi (Luca Zingaretti, sua moglie nella vita, Luisa Ranieri, Ambra Angiolini, Alessio Boni e Claudia Gerini) ed un regista, Angelo Longoni, con mano buona e mente ispirata.


     
    Nelle sale il film esce giovedì 13 marzo e racconta ciò che succede dopo la scoperta del tradimento, fino ad una nuova ricomposizione dell’ordine familiare e lo fa con  occhio che ammicca sulle affezioni e le complicazioni amorose, così tanto che perfino la ricostruzione dell’ordine familiare passa attraverso (nuovi) tradimenti.


     
    Sicché questa divertente commedia è un saggio riuscito sulla inafferabilità dell’amore, che ci ricorda un passaggio del “Simposio” di Platone, in cui si dice che: “soltanto l’amante può giurare e avere il perdono degli dei se trasgredisce un giuramento, poiché si dice  che un giuramento d’amore non ha valore”.


     
    Bello e divertente anche “La mossa del pinguino”, esordio alla regia di Claudio Amendola, presentato con successo al Festival di Montecarlo, con Edoardo Leo, che imnfila, dopo “Smetto quando voglio” un film dopo l’altro e che qui firma anche la sceneggiatura che racconta il sogno di quattro appassionati di curling (nel cast, anche Ricky Memphis, Ennio Fantastichini, Antonello Fassari) che cercano il riscatto partecipando alle Olimpiadi di Torino del 2006.
    Il racconto e la costruzione ricondano Etttore Scola, mito assoluto tanto di Amendola che di Leo e le risate si alternano a momenti amari e pieni di acute considerazioni.
     
    Attorno ad un protagonista inguaribile sognatore di imprese sportive e business improbabili, Amendola orchestra una storia di derelitti con il piglio (ma non l'ironia) della commedia, con  un ristretto numero di persone, dalle poche virtù e sostanzialmente falliti, che si misura con qualcosa nettamente fuori dalla propria portata, cercando di barcamenarsi tra sogni di grandezza e realtà di pochezza, bollette, difficoltà e soprattutto quel muro da scavalcare costituito dal fatto che nessuno creda nell'impresa in questione.


     
    Spero che Gianni Volpe, regista del film-verità in lavorazione: “Una camera per due”,  sullo scandalo che ha coinvolto il governatore dell’Abruzzo Gianni Chiodi e numerosi esponenti della sua Giunta si guardi questi due film per capire che l’ironia può essere più tragica e forece dei toni cupi, riuscendo pure a meglio trasmettere un messagio di biasimo profondo.



     
    E spero che guardino mosse e toni degli attori delle due commedie i due protagonisti prescelti: Maurizio Sorge, il re dei Paparazzi che per anni ha coordinato i fotografi dell’agenzia di Fabrizio Corona e Miriam Loddo, modella, attrice ed ex “Meteorina” di Emilio Fede, balzata agli onori della cronaca per essere stata una delle principali protagoniste dello “scandalo Ruby”.
     
    Le riprese sono iniziate a Roma il 7 marzo e si dovrebbero concludere in 15 giorni, con una produzione tutta autarchica e a basso ma non bassissimo costo, pagata dallo stesso Gianni Volpe, autore del racconto surreale “L’uomo di marzo” dedicato a Lucio Battisti, uscito nel 2007 e presentato in anteprima a Sanremo per il Festival di quell’anno, uno splendido affresco di colori, suoni e ricordi, firmato in coppia con Gianfranco Marzicchi.
     
    Veramente consigliere (se ancora in tempo), di farsi aiutare da Francesco Piccolo, autore di Aegro occidentale, E se c’ero dormivo, Il tempo imperfetto e Storie di primogeniti e figli unici (tutti pubblicati da Feltrinelli), che ha prestato la sua penna già molte volte al cinema,  regalandoci diverse sceneggiature, tra cui ricordiamo “My name is Tanino”, “Paz!” e “Ovunque sei”, con una scrittura attraversata da toni comici, dove la leggerezza assume spesso il sapore acre, cosme si confà ad una storia tanto pietevole ed emblematica da segnare non solo una regione, ma addirirttura un “tempo”.



     
    D’altra parte, come ci ricordano esperti e storici, la commedia come genere cinematografico rimanda, necessariamente, a quella concepita per il teatro: non certo per un'equivalenza tra i due mezzi d'espressione, ma perché, essendo la tradizione teatrale vecchia di secoli, vanno cercate al suo interno le fonti di un genere filmico i cui inizi risalgono circa alla metà del secondo decennio del novecento. Se per Aristotele la commedia era imitazione degli aspetti interiori dell'umanità, ma imitazione serena e innocua, per Hegel questo aspetto di serenità diventa così importante che egli parla di "impassibilità degli dei trasferita agli uomini".


    Proprio questo carattere della commedia, rimasto costante nei secoli, può essere considerato alla base dell'elemento narrativo primario del genere, che è molto spesso la storia di un rapporto amoroso con correlata necessità dell'happy end, cioè con la conclusione del racconto in termini positivi o piuttosto quotidiani, "normali" (la normalità del matrimonio), opposta agli "amori impossibili" del melodramma. Ciò era già stato osservato del resto, per quanto concerne la commedia teatrale, dal critico formalista Tomasevskij, il quale aveva anche notato un differenziarsi della commedia in aspetti e forme molteplici nel corso del secolo XVIII: è allora, infatti, che nascono, secondo il teorico russo, la "commedia buffa italiana" (è già forse un embrione di commedia all'italiana?), il vaudeville, la parodia, la farsa (da cui poi, aggiungiamo, il film comico), l'operetta e la rivista (da cui poi il musical). Resta comunque costante il tema della serenità e della conclusione felice, tanto che per Northrop Frye la commedia è, nello schema stagionale della sua teoria letteraria, "mito della primavera" che tende a un amplesso fuori scena, storie di un ordine stabile e armonioso infranto da "orgoglio e pregiudizio" (e la citazione indiretta di Jane Austen è certo qui significativa) per arrivare infine alla restaurazione dell'ordine.



     
    Quanto alla commedia nostrane, neorealista e post.-neorealista, si è aggornata e variegata dalla fine degli annii ’70, quando si sono affacciati sulla scena nuovi attori (Troisi, Verdone, Nuti, Calà, Pozzetto, Moretti, Celentano) e sceneggiatori-registi (Castellano e Pipolo, Ferrini, Oldoini, Massaro, Carlo Vanzina) che hanno rilevato almeno in parte il ruolo dei loro predecessori al box-office, con alcuni che hanno imitato attori già affermati, come Verdone che ricorda il Sordi degli inizi (anche se mgraffiante e meno 'cattivo')  ed altri con imitazione del cabaret e dal teatro dialettale.
     
    Gli esiti sono stati per lo più dubbi, stucchevoli e scadenti, ma con alcune eccezzioni: Ecce Bombo (1978) di Nanni Moretti e Ricomincioda tre (1981) di Massimo Troisi,  con autori molto personali e capaci di sguardi nuovi, graffianti e divertiti, come hanno scritto alla voce:  "Commedia all'italiana" nel Dizionario Universale Cinema degli Editori Riuniti Fernaldo Di Giammatteo e  solo poche volte hanno fatto gli altri: Maurizio Ponzi, Salvatore Samperi, Ospetek, Veronesi e via dicendo. 
     

  • Arte e Cultura

    Addio, Manlio Sgalambro, intellettuale anche con le canzonette


    Manlio Sgalambro, scrittore e poeta, canzonettista e sceneggiatore, ma soprattutto filosofo nichilista con influenze di Nietzsche e Cioran, è morto a Catania giovedì scorso, ad 89 anni, lasciandoci una eredità davvero atipica nel panorama culturale italiano, esordendo in tarda età, nel 1982, con quella che probabilmente è la sua opera più rappresentativa: "La morte del sole", scrivendo e pubblicando poi altri volumi (alcuni dei quali tradotti in tedesco, francese e spagnolo), fra i quali "Trattato dell'empietà", "Del pensare breve", "Dell'indifferenza in materia di società", "La consolazione", "Trattato dell'età", "De mundo pessimo" e"Variazioni e capricci morali", l’ultimo, pubblicato nel 2013; ma soprattuto, dal 84, collaborando alla più parte dei progetti di Franco Battiato: cinque libretti d’opera e sette album musicali e la sceneggiatura di tre film: “Perduto amor”, “Musikanten” e “Niente è come sembra”; riproducendo, in questa variegata produzione, una sorta di percorso verso il grado zero dell’essenza della propria poetica, partendo da una scrittura tradizionale fino ad un viaggio antropologico ulle origini e il senso dell’umano agire che evapora fino alla dissoluzione.

     
    Spesso deriso o non preso sul serio, perché scriveva canzonette (anche per Patty Pravo, Alice, Fiorella Mannoia, Carmen Consoli, Milva e Adriano Celentano), egli resta un esempio di intellettuale coerente nei contenuti che ha reso fruibili a vari livelli e con mezzi differenti, partendo da una concezione beffarda dell’accademismo, scopritore di una nuova via doi comunicazione e trasmissione che lo aveva portato, nel 2002, ad essere il bislacco chansonnier, distaccato e senz’altro snob, interprete di un album che si intitolava “Fun Club”, con fior di musicisti e la voce strapazzata dalla vita ma assai espressiva: non solo “La mer” di Trenet o “Non dimenticar le mie parole” di D’Anzi, ma anche: “Me gustas tu”, autentico colpo di genio, apostrofo sorridente e un po’ beffardo che lo avvicinò ancor più alle masse giovanili a cui più di tutte intendeva rivolgersi, convinto che da loro e solo da loro poteva partire un vero rinnovamento.  


  • Fatti e Storie

    La bellezza di Roma secondo La Capria

    “La bellezza non è che il disvelamento di una tenebra caduta e della luce che ne è venuta fuori” 
                                                                                                                                                                      
    Alda Merini

    Sono in molti a consideralo il modello ispiratore del personaggio di Jep Gambardella ne “La grande bellezza” di Sorrentino e Contarello ed in tanti a ritenerlo fra i maggiori scrittori del nostro novecento. Ora Raffaele La Capria, napoletano di Roma, autore di oltre venti romanzi tra cui Ferito a morte, e grazie al quale, nel '61, ha vinto il Premio Strega e varie sceneggiature - in particolare quelle con Francesco Rosi, Le mani sulla città (1963), Uomini contro (1970) e Cristo si è fermato a Eboli (1979) - pubblica per Mondadori “La bellezza di Roma”, uscito in liberia a fine febbraio ed in cui, con gli occhi dello scrittore, la Capitale Eterna dispiega le sue mille contraddizioni, ma anche la sua intrinseca capacità di sedurre artisti e sviluppare idee, in un ritratto appassionato, ma anche un po' sarcastico, che si chiude con una “modesta proposta” per donare alla città più bella del mondo un nuovo splendore. Un viaggio che non si limita a Roma e ai romani, ma che ci riguarda tutti: perché “tutte le strade conducono a Roma e qui si perdono”.

    Partito da Napoli intorno a trent'anni per trovare lavoro alla Rai, Raffaele La Capria ha da quel momento scelto Roma come sua seconda patria. Ed anche i suoi libri su Napoli li ha scritti da lì, grazie al filtro della distanza ed influenzato dalla città de La Dolce Vita dalle sue infinite contraddizioni.

    A leggerlo ora, dopo il film di Sorrentino-Servillo-Contarello, il libro ci rivela più che mai un legame stretto tra film e ispirazione letteraria, senza parlare del look da dandy partenopeo di Jep Gambardella, del suo elegante disincanto ed il suo sguardo rassegnato sul degrado morale che lo circonda.

    “E’ vero – ha raccontato La Capria -, che tra me e Sorrentino esista un rapporto artistico. Venne a propormi l’idea di un film tratto da Ferito a morte. Ero d’accordo e nonostante avessi rifiutato tante offerte, quella volta ho subito pensato che lui potesse essere il regista adatto. Si mise a scrivere, insieme a qualcun’altro, ma poi, quando leggemmo la sceneggiatura finita, decidemmo insieme che non corrispondeva alle nostre aspettative. Non era quella che avevamo immaginato e veniva fuori un mondo diverso da quello descritto nel libro. A Napoli certi personaggi rischiavano di diventare macchiette”. Non ci fu tempo di riflettere sui possibili interpreti. “Non sarebbe stato facile trovare volti adatti, il protagonista del libro ha 25 anni, ci sarebbero voluti attori giovanissimi. Sorrentino aveva altri impegni, il progetto decadde”.

    Ma se l’impresa della trasposizione cinematografica è rimasta nel cassetto, l’esperienza della collaborazione ha lasciato un’eredità importante, “una congenialità che riguarda la particolare struttura narrativa di Ferito a Morte e quella dei film di Sorrentino”.

    Eppure, va detto, leggendo il libro di La Capria, è evidente quanto diversa sia la sua Roma, quella che l’accolse da giovane, arrivato da Napoli, come Jep Gambardella, sull’onda di un grande successo letterario (“Ferito a morte” era stato pubblicato nel 1961): “Quella che trovai io era una capitale ancora nello spirito degli Anni 50, simile a quella che Fellini raccontava nella Dolce vita. Una città tutta diversa da come è adesso, molto più vivace, culturalmente avanzata in tutti i settori: teatrale, cinematografico, letterario... Oggi Roma ha perso quei connotati, il livello si è abbassato. E il fenomeno non riguarda solo l’Italia ma in tutto il mondo scarseggiano le grandi personalità e le società hanno smesso di produrre quel tipo di fermento culturale”.

    Invece, ai nostri giorni, come racconta La grande bellezza, “la rassegnazione impera su tutto, viviamo in un mondo al di sotto delle nostre aspettative”. Il senso dominante, quello che attanaglia Jep Gambardella lungo il suo infinito girovagare, è quello dello spreco: “Sorrentino ha ragione a pensare che , dai fasti della dolce vita, si sia passati a una borghesia degradata, un consesso sociale che ha perso il suo splendore, diventando grigio, opaco. La Roma di oggi è questa, non quella che conobbi io. La vita non è più dolce, ma mediocre, e i personaggi che la abitano sono tutti come diminuiti”.

    Entrambi La Capria e Sorrentino sanno che ha ragione Pessoa nello scrivere: “Il poeta è un fingitore/ che finge così completamente/ che arriva a fingere che è dolore/ il dolore che davvero sente.” Ed entrambi, in misura e con mezzi diversi, sanno trtasmettere emozioni, poiché hanno imparato, nel loro cuore meridiano, nel calore di un Sud mai smemorato, che Ettore che saluta Andromaca prima di affrontare il combattimento mortale non è soltanto un personaggio, è un'emozione trasmessa, come Didone innamorata di Enea che l'abbandona e perciò cercherà la morte nel fuoco.

    Perché in fondo, tutta la storia dell’arte, letteratura, pittura, musica e via dicendo, fino al cinema, è la storia di emozioni trasmesse attraverso i secoli, l'unica scienza vera delle emozioni, cioè delle passioni, di ciò che gli uomini hanno sentito, amato, sofferto, sperato e sognato nel corso dei secoli.

    Ed edificato, talvolta, con spettacolari capolavori immortali, come accade, per esempio, e sorprendentemente più che altrove, a Roma.

Pages