Giovanna Taviani. Verso una nuova generazione di documentari

Benedetta Grasso (June 08, 2010)
L'11 Giugno 2010 al Calandra Institute ci sarà la presentazione del SalinaDocFest, fondato da Giovanna Taviani che ci ha concesso questa intervista.

Le Isole Eolie, piccoli paradisi un pò isolati dal resto della Sicilia e dell'Italia, così diverse l'una dall'altra e così' uniche nell'aver mantenuto vive antiche tradizioni e uno stile di vita spartano e affascinante, sono, nel nostro immaginario, da sempre connesse al cinema. Nanni Moretti,per esempio,  in Caro Diario, ce le ha presentate con diverse "personalità", ogni isola rappresentante di qualche stile di vita o di pensiero diverso e lui è uno dei tanti registi che hanno fatto omaggio a queste misteriose isole.

Non è un caso quindi che nell'isola di Salina da ormai quattro anni ci sia un festival che cattura lo spirito originario del cinema italiano, un festival di documentari che porta alla luce le diverse realtà dell'area del Mediterraneo, che ci fa ascoltare racconti di emigrati e emigranti, che omaggia il grande cinema italiano e cattura nei suoi fotogrammi spezzoni di vita vissuta. Questo è il Salinadocfest che si svolgerà questo Settembre (12-19/9/2010).

Anche se non avete la possibilità di visitare Salina a Settembre, quando i turisti hanno riposto gli ombrelloni e abbandonano le spiagge e se vi trovate a New York allora non potete perdervi la presentazione di questo festival al Calandra Institute, incontrando la regista e direttrice del festival Giovanna Taviani - che mostrerà' anche il suo primo documentario - e scoprendo chi collabora con il festival (I-Italy e ANFE-Associazione Nazionale Famiglie Emigranti) e quali progetti ci sono nel futuro ore collegare gli Stati Uniti e la Sicilia. Alla fine magari dopo questo incontro, prendere un biglietto per Salina, sembrerà' l'idea migliore per concludere l'estate... 

I-Italy ha incontrato Giovanna Taviani, una giovane regista piena di talento cresciuta circondata dai grandi maestri del cinema italiano e assorbendo l'ambiente e la storia cinematografica italiana mentre muoveva i suoi primi passi. Suo padre e suo zio sono i famosi Fratelli Taviani che con il loro stile realistico e letterario hanno lasciato un segno inequivocabile nella Storia del nostro paese.

Giovanna collabora con importanti riviste, è una studiosa, una saggista e una critica di cinema, ma la sua grande passione dove mostra tutto il suo talento sono i documentari. Giovanna ha fondato il Salinadocfest con una precisa filosofia di pensiero e un progetto concreto in mente, idee che ha condiviso con noi in questa intervista. 

Come e quando è nata l’idea per il SalinaDocFest?

L’idea è nata quasi per caso, in una estate di quattro anni fa, a Salina. Da anni gli albergatori dell’isola si lamentavano per una scarsa affluenza del turismo durante le stagioni più belle, come Settembre, il mese delle vendemmie. Così, una sera, un amico di vecchia data, Alberto Oliviero, presidente dell’Associazione SalinaIsolaVerde, mi chiese: - Giovanna, perché non ti inventi qualcosa per promuovere un turismo culturale destagionalizzato qui nelle isole? – Per quel che mi riguarda, da anni sognavo di portare il mestiere che amo nell’isola che amo. In più sapevo che le Eolie, oltre ad essere nel patrimonio dell’Unesco tra le isole più belle del mondo, erano state set di grandi film del passato, da Stromboli terra di Dio con Ingrid Bergman a Vulcano con Anna Magnani; dall’Avventura di Antonioni a Kaos dei fratelli Taviani, dove io stessa feci una parte quando ero bambina; fino al Postino di Troisi e a Caro diariodi Nanni Moretti. Per non dimenticare i grandi documentari di Vittorio De Seta, che a Stromboli girò uno dei suoi più bei film, Isole di fuoco, e i documentari subacquei del gruppo di Moncada, Maraini, D’Avanzo e Alliata, che proprio a Salina fondarono la mitica sede della “Panaria Film”. Allora mi son detta: facciamo un festival di documentari a Salina, un’idea un po’ folle, vista la difficoltà dei collegamenti con l’isola, quasi una scommessa. E cosi nel settembre 2007 è nata la prima edizione del Salinadocfest.  

Il Mediterraneo è sempre stato un melting pot di popoli che ha dato vita a grandi incontri di civiltà e che ha portato a grandi collaborazioni culturali e artistiche. E’ ancora oggi cosi’?

Il Mediterraneo, come tu dici, è stato sin dai tempi dell’antichità crocevia di scambi e incontri, andate e ritorni. Uno scrittore da noi molto noto, Vincenzo Consolo, premiato dal nostro Comitato di Onore nella edizione del 2008, pone questo movimento ininterrotto attraverso il Mediterraneo come il fulcro stesso della civiltà, quando afferma: “Siamo ciechi a voler scansare o eludere quell’incontro o incrocio di etnie, di lingue, di religioni, di memorie, di culture; incrocio che è stato da sempre il segno del cammino della civilità”. Oggi che quel mare si è trasformato in barriera di separazione, muro del pianto e del lutto, tradito nella sua vera essenza dalla politica italiana dei respingimenti, il concetto di civiltà e di identità rischiano di venire intaccati. Perché senza una cultura della differenza, non si può avere percezione di una identità; che è come dire: chi teme la conoscenza dell’altro, teme la conoscenza di se stesso. Al Mediterraneo e ai popoli che lo abitano è dedicato il “Salinadocfest. Immagini culture e realtà del Mediterraneo”.

L’isola di Salina e l’isola di Manhattan cos’hanno in comune?

Sono entrambe isole di lacrime e di speranze. Nel secolo scorso le isole Eolie conobbero il dolore dell’emigrazione e l’ansia della scoperta del nuovo mondo. Tra la fine dell’ottocento e l’inizio del Novecento quasi 6000 persone scapparono da Salina, che ne contava appena 7000, per fuggire alla crisi dei vigneti causata da un insetto velenoso. L’isola si spopolò e rimase per molto tempo vuota. Una delle rotte privilegiate dai salinari fu proprio Ellis Island, a Manhattan, come racconta in Nuovo Mondo il regista Emanuele Crialese, che si andò a documentare proprio a Salina, nel bellissimo museo dell’emigrazione di Malfa. In America i nostri emigrati si organizzarono con intelligenza, creando società di mutuo soccorso per i connazionali che arrivavano senza soldi e senza conoscenza della lingua. Ma dovettero faticare per farsi accettare dal nuovo mondo, che li guardava con sospetto e diffidenza, proprio come oggi “noi” italiani guardiamo ai nuovi immigrati provenienti dai paesi del terzo mondo.
Al ponte Sicilia-America il Salinadocfest dedica le prossime edizioni, in collaborazione con l’Anfe, Associazione Nazionale Famiglie Emigrate, nel ricordo del tempo in cui gli emigranti eravamo noi, costretti, ieri come oggi, ad emigrare lontano per cercare fortuna altrove.
 

All’interno del vasto genere del documentario, come definiresti i tuoi lavori?

Credo che oggi il documentario, rispetto al film di finizione, abbia il privilegio di restituirci la realtà  raccontando delle storie. Per questo abbiamo scelto come sottotitolo del Salinadocfest “Festival del documentario narrativo”. Io stessa come regista tendo sempre a partire dalla realtà - un’inchiesta, un articolo di giornale, un esperienza diretta vissuta sul campo - per reinventarla attraverso un punto di vista personale, la costruzione di un intreccio narrativo, la messa in scena di personaggi: vale a dire attraverso il linguaggio del cinema. Credo cioè che il documentario sia prima di tutto un film, con una propria sceneggiatura, una regia, un montaggio, una fotografia, con la differenza che non ricorre ad attori professionisti ma a persone reali incrociate lungo il corso della vita. In Italia è nata una ottima generazione di registi documentaristi che tornano al documentario della più alta tradizione (da Flaherty a De Seta) per reinventarlo in maniera soggettiva, personale, creativa.  

Sono molti gli emigrati dalla Sicilia in America. Pensi che questo festival può avere un significato particolare per queste persone?

Credo di sì e abbiamo avuto modo di sondarne l’interesse durante la scorsa edizione, nell’ambito della sezione “Superotto in famiglia”, organizzata dall’Anfe, dedicata alla memoria documentata dei nostri emigrati in America. All’interno di una Chiesa in una bellissima baia dell’isola, abbiamo proiettato dei superotto provenienti da siciliani che vivono in America da più generazioni e che avevano documentato la loro esperienza nel corso della loro vita. Al piano, di fronte allo schermo, un musicista siciliano commentava le immagini come negli antichi filmini muti. La gente dell’isola, che per ciascuna famiglia conta almeno uno o più emigrati, partecipava in silenzio commosso. A questi spettatori ci rivolgiamo con il nostro Festival, con la speranza, e con il progetto comune, di costruire nel tempo un archivio della memoria di tutti i migranti del mondo, per continuare a ricordare chi siamo e da dove veniamo.   
 

Cosa ti aspetti da questa presentazione newyorkese del festival?

Con la direttrice di I-Italy Letizia Airos, conosciuta attraverso la mediazione di Gaetano Calà, direttore dell’Anfe, il Salinadocfest ha in progetto un concorso web dedicato agli emigrati siciliani in America, che potrebbe aprire prospettive interessanti per il nostro Festival. Pochi giorni fa a Roma abbiamo incontrato la redazione di Studio Universal, un importante canale satellitario in Italia, dedicato al cinema americano, che si è detta disponibile a collaborare con il Salinadocfest per una sezione dedicata al cinema americano che trae le sue origini dal nostro paese: da Turturro a Coppola, da Vincent Schiavelli a Rober De Niro, fino a Martin Scorsese che vorremmo avere come nostro ospite di onore all’edizione 2011 del Salinadocfest. L’evento di New York è il primo e necessario passo.  
 

Che cosa accomuna gli artisti di questa edizione? Che novità ci sono?
Il tema che abbiamo scelto come filo rosso della prossima edizione è “Il mio paese: l’identità”. In un momento in cui, in Italia, in Europa, e più in generale nei paesi del Mediterraneo, il concetto stesso di identità, privata e pubblica, personale e sociale, femminile e maschile, sembra vacillare, ci è sembrato giusto dedicare il nostro Festival alla ricerca dell’identità in un tempo disgregato e frammentato. Credo che i registi, gli scrittori, gli artisti che parteciperanno alla quarta edizione del Festival si sentano accomunati da questa necessità: ridefinire un orizzonte comune di valori per domandarci chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo.   

Vedi gli Stati Uniti come un buon punto di lancio anche per future collaborazioni con le miriadi di festival di documentari che ci sono in questo paese?

Lo spero vivamente. Negli Stati Uniti il documentario è un genere in ascesa e i festival dei documentari sono una realtà importante. Il Tribeca film festival è solo uno dei molteplici esempi. Il Salinadocfest si è gemellato con uno dei più importanti Festival cinematografici del Brasile, la Mostra internazionale del cinema di San Paolo, diretto da Leon Kakoff. Speriamo ora, sbarcando come fecero i nostri nonni ad Ellis Island, di farci conoscere e apprezzare anche negli Stati Uniti.

Che cosa ti ha spinto a voler fare documentari? Qual è il primo che hai girato?

Credo che la mia generazione sia mossa da un’impellente “sete di realtà” che il monopolio della televisione ha offuscato e allontanato in una rappresentazione spettacolare, molto distante dalle cose che ci accadono veramente attorno. Viviamo in una bolla di sapone, senza riuscire a intravedere un orizzonte al di là dei vetri opachi. E’ forse per questo che ho cominciato a fare documentari e quando qualcuno mi chiede: - quando girerà un film “vero”? – io rispondo: - ma noi facciamo film! - Solo che raccontiamo la realtà, da quella partiamo e a quella torniamo, talvolta in modo persino visionario e surreale. La verità, come diceva Balzac, non è mai verosimile! Mi piace molto la possibilità che offre il documentario di lavorare con materiali di repertorio, con la memoria, e spesso utilizzo spezzoni di film del passato per raccontare il nostro presente. E’ quel che ho fatto con il mio documentario di esordio, I nostri 30 anni Generazioni a confronto, un viaggio nella memoria del cinema italiano, attraverso quattro generazioni di registi, per sapere come eravamo e come, forse, saremo.  

 

Parliamo di giovani. In America insegnano che l’età non conta per saper narrare una storia unica, pensi che si possa far arrivare questo messaggio anche in Italia?

Posso parlare della mia esperienza personale. Il mio primo documentario l’ho girato tardi, superati i 30 anni, forse per paura del confronto inevitabile con i padri da cui provengo. Volevo arrivarci preparata e con un’ identità  “mia” ben riconoscibile. Vengo dalla letteratura e da un percorso accademico, lungo e faticoso, pieno di battaglie e sconfitte, all’interno dell’università. Oggi credo che quella formazione abbia fatto bene a quel che sono oggi e ai miei documentari, che nascono sempre da una riflessione, da un’indagine attenta della realtà in cui viviamo.  Per questo dico spesso agli studenti che hanno l’ansia di esprimersi subito: non abbiate fretta, organizzate prima un vostro punto di vista sul mondo e poi le cose verranno da sole.

Puoi fare qualche accenno al film che presenti a New York?

E’ un viaggio in automobile per le strade di Roma, che ho compiuto allo scoccare dei miei 30 anni, attraverso quattro generazioni di registi, dai nonni ai padri ai figli, ai quali ho chiesto di raccontarmi cosa ha significato per loro essere giovani e avere una macchina da presa in mano per raccontare i giovani “del” loro tempo “nel” loro tempo. Ho cominciato dai trentenni “vitelloni” degli anni del boom di Dino Risi e Mario Monicelli (il Gassman del Sorpasso e dei Soliti Ignoti), per continuare con i giovani rivoluzionari del 68 (Bellocchio Bertolucci Taviani) per arrivare agli “anni dell’ansia” raccontati da Nanni Moretti inEcce Bombo, girato nel 78, anno del sequestro di Moro, e chiudere con la nuova generazione di trentenni italiani (oggi quarantenni) che ho riunito attorno al tavolo del Biondo Tevere, storica trattoria romana dove Visconti girò Bellissima. Ne viene fuori un viaggio in discesa, dai “furori e le utopie” dei nostri padri all’oblio del presente, contrassegnato dalla perdita delle ideologie e delle grandi speranze. Eppure non c’è rassegnazione: accanto all’esigenza di tornare a raccontare la realtà del nostro paese, come nella più alta tradizione del nostro cinema, è nata in Italia una nuova generazione di registi, da Garrone a Sorrentino, da Crialese a Munzi, da Marra a Vicari, che stanno reinventando il cinema italiano con un nuovo linguaggio e una nuova vitalità espressiva. 

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