Roma. Dentro quel corteo che voleva urlare all'umanità

Doriana Vari (October 16, 2011)
La testimonianza, il fresco entusiasmo, la partecipazione e la delusione in pochissime ore. Scrive una studentessa della Sapienza di Roma. Riceviamo e pubblichiamo. Seguirla nei sue passi dentro la manifestazione, attraverso le sue descrizioni, è forse il modo migliore per cercare di capire. Fino alle sue ultime tristissime due righe: "Quella sera sono andata a dormire con le parole urlate all’unanimità durante la protesta ancora nelle orecchie, e con quell’odiosa sensazione di amarezza e di sconfitta."

Da giorni ormai, lungo i corridoi della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università la Sapienza, e in particolare sulle pareti dell’aula VI, quell’aula quasi perennemente occupata dagli studenti che organizzano assemblee e manifestazioni, erano affissi decine di cartelloni in bianco e nero su cui si leggeva “15 OTTOBRE – RISE UP”.

Non c’era bisogno di ulteriori spiegazioni, perché alla vista di quei cartelloni tutti immediatamente ne comprendevano il significato: ci si dava appuntamento, al giorno  15 Ottobre a Piazza della Repubblica, per manifestare l’indignazione nei confronti delle ultime manovre politiche. Impossibile non parteciparvi!
 

Il corteo sarebbe partito dalla piazza alle 14:00. Al mio arrivo, circa mezz’ora prima, l’intero piazzale era talmente colmo di manifestanti che molti, non trovandovi spazio, avevano deciso di attendere all’interno dei bar attigui l’inizio della manifestazione: era come se quella piazza, che non avevo mai visto tanto viva e rumorosa, stesse per scoppiare!

Alle 14:00 un primo, foltissimo, gruppo di manifestanti aveva lasciato la piazza e si muoveva,  colorato e innocuo verso via Cavour lasciando, a chi era rimasto costretto nei bar, lo spazio per poterne uscire. Quando la prima parte del corteo marciava già verso il Colosseo, io insieme a un’innumerevole folla ero ancora ferma al punto iniziale e aspettavo che, via via, il corteo fluisse e iniziasse a sgomberare la piazza.

Dopo circa mezz’ora ero riuscita a lasciare Piazza della Repubblica trascinata da un fiume di manifestanti più animati che mai. Seguivo un corteo che non aveva un target d’età o di occupazione: studenti, precari, disoccupati, ma anche lavoratori e bambini seduti sulle spalle dei genitori, marciavano tutti insieme. Sui loro volti potevo leggere non solo l’indignazione ma soprattutto la fermezza degli ideali che in quelle ore volevano manifestare, e sui loro cartelli potevo leggere l’espressione di quell’indignazione e di quella fermezza: “non staremo zitti”, “non siamo merce nelle mani di politici e banchieri”, “sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più”, “indignato per ‘sto mondo speculato”, e il più popolare “noi il debito non lo paghiamo”. Tra i fischi e gli slogan urlati a squarciagola quella folla innumerevole si muoveva lentamente e a fatica, sicura e compatta, tenuta insieme dalla voglia e dalla speranza di poter cambiare le cose.
 

Non avevo ancora imboccato via Cavour quando i fischi di protesta si placano per dare spazio a una voce secondo cui, lungo il tragitto, erano state date alle fiamme delle automobili ed erano stati infranti i vetri di alcune banche. “Chi è stato?”, “Perché l’hanno fatto?”, “Sono stati fermati dalla polizia?” ci chiedevamo tutti sconcertati. In realtà, personalmente mi rifiutavo di credere a quelle voci, soprattutto perché, la zona che stavo attraversando non recava segni di violenza, e i cordoni che la polizia aveva formato sembravano efficaci ed efficienti.
 

Il corteo, comunque, anche se molto a rilento, continuava a muoversi, ma il tam tam di notizie non si arrestava: ora sentivo dire che la testa del corteo era già arrivata a Piazza San Giovanni, e poco dopo arrivava voce che un gruppo di ragazzi, aveva dato origine a una guerriglia proprio davanti alla Basilica di San Giovanni e che la polizia era già intervenuta, ma che per questo motivo la destinazione finale del corteo era stata deviata al Circo Massimo: “non è possibile, era stato precisato più volte che la manifestazione si sarebbe svolta nella calma e nella tranquillità”, “che senso ha una guerriglia a San Giovanni considerando che quello sarebbe dovuto essere il punto d’arrivo del corteo e considerando che proprio lì avrebbe dovuto svolgersi un’assemblea?” ci si chiedeva incerti.
 

Ho continuato a seguire il corteo che conservava tutta la sua mole di partecipanti. Improvvisamente, lungo la strada, ho sentito le sirene spiegate della polizia e immediatamente dopo degli scoppi: si diceva che si trattava di petardi e bombe carta… quelle voci cominciavano allora a diventare concrete, e pian piano si spargeva la paura. Le persone che avevano deciso di prendere parte alla manifestazione insieme alla propria famiglia iniziavano a staccarsi dal corteo, ma la maggior parte dei manifestanti decidevano di rimanere, e di continuare a dimostrare quanto fossero “indignados”, e anch’io, un po’ meno serena di prima, ho continuato a seguire la marcia.
 

Lungo il corteo, tra i fischi e le urla, si sentivano continuamente notizie frammentarie circa gli avvenimenti di Piazza San Giovanni; all’altezza del Colosseo, però, ho alzato lo sguardo sopra la folla, ed è stato quello il momento in cui ho capito che stava succedendo qualcosa di grave: non molto lontano, proprio in direzione di Porta Maggiore, una colonna di fumo nero si stava alzando lentamente al cielo: di cosa poteva trattarsi? Nessuno ne aveva idea, ma si ipotizzava veramente qualunque caso.
 

Stanca, preoccupata e incuriosita, ho deciso così di tornare a casa. Nell’attesa che il mio computer si avviasse ho acceso la televisione nell’impazienza di avere notizie: quasi tutte le maggiori reti televisive trasmettevano scene spaventose: Piazza San Giovanni era invasa da un gruppo di ragazzi che, coi caschi in testa e il volto coperto da sciarpe, l’avevano presa d’assedio: i giornalisti in tv spiegavano che si trattava di ragazzi tra i quindici e i vent’anni che si erano infiltrati nel corteo e fin da subito avevano agito in maniera violenta dando fuoco ad automobili, distruggendo vetrine, deturpando i muri con bombolette spray. Erano poi arrivati nei pressi della Basilica dove le forze dell’ordine avevano tentato di farli disperdere, ma anche qui, avevano perseverato nel vandalismo: vedevo in tv ragazzi col volto coperto sradicare i sanpietrini da terra e scagliarli contro i poliziotti, li vedevo lanciare fumogeni, li vedevo armati di spranghe (probabilmente cartelli stradali distrutti) rivolgersi con fare arrogante e provocatorio ai caschi blu, e vedevo questi ultimi caricare senza violenza su chi aveva provocato tutto quel caos. Vedevo immagini di auto che bruciavano, e vedevo esplodere una camionetta dei carabinieri data alle fiamme: purtroppo le voci che avevano percorso il corteo pacifico di cui avevo fatto parte fino a poco prima erano veritiere!
 

Anche la rete era piena di articoli, testimonianze, fotografie, video che riportavano i disordini che si erano verificati a Piazza San Giovanni…ma perché nessuno spendeva una parola per quella parte, la maggior parte, dei manifestanti che pacificamente avevano camminato lungo le vie del centro della città armati solo di fischietti, cartelloni, e coscienza sociale e politica? Per un momento ho avuto la sensazione di essere stata fraintesa, o peggio, di non essere stata considerata: sapevo di aver partecipato a qualcosa di importante e valido, ma adesso i media davano spazio solo a quella colonna di fumo nero che aveva offuscato i colori della manifestazione dei veri indignados! Pur essendo consapevole che mediaticamente il suono dei vetri rotti fa più rumore delle urla di migliaia e migliaia di persone non capivo come fosse possibile che le intenzioni di un corteo tanto numeroso fossero scavalcate e celate da quei sintomi di ignoranza e pusillanimità.
 

Quella sera sono andata a dormire con le parole urlate all’unanimità durante la protesta ancora nelle orecchie, e con quell’odiosa sensazione di amarezza e di sconfitta.

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