Intervista. Odifreddi, il "Matematico Star" che si definisce "Stella Nana"

Flavia Bagni (March 18, 2009)
"Salvare il mondo, questo mi sembra eccessivo, però certamente i numeri possono servire ad affrontarlo. L’analfabetizzazione matematica è come l’analfabetizzazione letteraria: si può vivere anche da analfabeti, si può vivere anche da analfabeti ho scoperto, però si vive in maniera meno consapevole"

 Intanto, grazie.

Inizio così questa intervista a Piergiorgio Odifreddi, matematico, logico e saggista italiano (questa la definizione che ne dà l’enciclopedia libera più famosa del mondo), con un ringraziamento sentito e molto poco professionale per l’emozione regalata durante la lettura de Intervista immaginaria a Galileo Galileo all’Istituto Italiano di Cultura lo scorso 10 marzo.
Il professore torinese è a New York per la terza edizione del Festival della Matematica, che quest’anno ha previsto il gemellaggio Roma – New York: due date nella Grande Mela, 10 e 11 marzo, e dal 19 al 22 marzo a Roma.
Odifreddi è il curatore del Festival, ma soprattutto è personaggio dalle mille anime, “matematico impertinente”, ateo, di sinistra, scrittore, saggista, uomo politicamente impegnato.
 
Intanto grazie per la sua intervista impossibile a Galileo Galilei.
Sono parole forti, ma sono parole sue. Io ho aggiunto le domande, ma il resto, sono parole di Galileo. La parte più dura da sentire è l’abiura: un uomo che si inginocchia e dice quelle cose… vengono subito in mente parallelismi con quello che succede anche oggi.
 
Già, sembrano parole molto attuali.
Oggi a New York si conclude la prima parte del Festival della Matematica che poi andrà a Roma. Ci fa un primo bilancio di questa esperienza newyorkese?
Mi sembra che sia andata molto bene; certo non c’erano le folle che ci sono a Roma; ma in Italia abbiamo maggiori possibilità di essere sui media e di ottenere visibilità. Inoltre Roma, per quanto sia una città grande, non è New York: qui possono esserci centinaia di eventi in contemporanea.
Se a tutto questo ci aggiungi che l’idea di un Festival di Matematica rimane un’offerta strana anche per l’America, direi che è andata molto bene.
Stamattina all’Italian
 
Academy per la conferenza con John Nash e Harold Kuhn sulla Teoria dei Giochi c’era addirittura gente fuori che non è potuta entrare. Anche per gli altri eventi le sale sono state sempre piene. Sia l’Istituto di Cultura, sia l’Italian Academy, che hanno organizzato il Festival qui a New York, ci hanno già chiesto di ritornare, quindi insomma vuol dire che anche dal loro punto di vista è andata bene.
 
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Programmate di replicare il prossimo anno?
Questo non lo so, perché tornare subito diventerebbe un’abitudine, e come diceva de La Rochefoucauld “Ogni abitudine diventa una cattiva abitudine”. Però, certo, prima o poi torneremo, magari tra due anni; si potrebbe alternare NY con qualche altra grande città e provare l’Oriente; a me piacerebbe molto Tokyo per esempio, che ha una scuola di matematica che è storicamente molto legata a quella italiana.
I giapponesi hanno una grande tradizione in questo campo. Hanno preso 3 medaglie fields, che sono l’analogo del Nobel per la matematica. Una addirittura è molto antica, risale agli anni 50. Gli altri due premiati invece sono vivi e in particolare uno è molto giovane, ha una quarantina d’anni, è venuto in Italia e l’ho conosciuto. Ci sarebbe anche Kenzaburo Ōe, che ha preso il premio Nobel per la letteratura e che ha studiato da giovane matematica. Come vedi potrebbe essere interessante provare a fare un Festival a Tokyo.

 
Lei sta guardando con qualche curiosità in questo momento al mondo orientale?
 Si, il mondo orientale mi interessa molto. Sono stato quattro volte in Cina e dodici volte in India; sommando le permanenze direi che ci ho passato più o meno due anni. Sono stato anche in molti paesi della cosiddetta Indocina, cioè Thailandia, Birmania, Cambogia, Malesia.

 
Quando si parla di lei, e delle cose che fa, l’aspetto che stupisce più di tutti è la voglia e la capacità di connettere campi diversi. Mi può spiegare un po’ qual è la sua visione?
Io credo che nasca tutto solo dalla costatazione che la cultura è unitaria, è olistica. Le divisioni sono artificiali, siamo noi che le mettiamo, e spesso le mettono coloro che conoscono solo una parte. Lo dico senza nessuna volontà di provocazione.
Per gli umanisti è più difficile conoscere la cultura scientifica in generale, e quella matematica in particolare; se ci pensi, è molto raro trovare un umanista che si mette a leggere un libro di matematica, o anche solo di divulgazione, mentre invece il contrario è frequente, rientra nella normalità. Leggere romanzi, andare a vedere film, le mostre, la musica è parte della cultura, e quindi anche noi, che siamo studiosi di scienza e di matematica, ne usufruiamo; invece il contrario non accade.
 
Gli umanisti non pensano che in fondo è una loro perdita non conoscere quello che succede nell’altra parte del mondo intellettuale. Per me è sempre stato naturale avere un approccio olistico: ho suonato il pianoforte, mi piace scrivere e mi piace la pittura; mio fratello per esempio è un restauratore di chiese e di sinagoghe, quindi per noi l’arte, la letteratura, la musica, sono sempre state parte della vita.
Allora il fatto che mi sia interessato di scienza e abbia fatto in particolare matematica diventa soltanto un’estensione. Per me è come se fosse un tutto unico.
Seguendo la stessa logica provo a divulgare la matematica: se parli di letteratura o di musica, la gente si incuriosisce e magari viene a vedere di cosa si tratta, ma se gli dici “adesso ti faccio un teorema”, va beh , lasciamo perdere… E allora questo diventa anche un modo indiretto di “accattivarsi” le simpatie, o per lo meno l’attenzione del pubblico. Cioè riuscire a ammannire la matematica, ma in maniera indiretta.
 
Al Festival in parte lo facciamo, ma cerchiamo di non allontanarci troppo dal campo scientifico, perché altrimenti corri il rischio di sminuire l’interesse della matematica in sé se cerchi sempre qualcosa che non sia direttamente matematica.
Al Festival abbiamo grossi matematici, premi Nobel nella scienza a cui chiediamo di spiegare il loro universo; oggi per esempio c’era un premio Nobel dell’economia, ieri un premio Nobel della fisica e hanno parlato di cose tecniche. Ma accanto a questi eventi puoi trovare la presentazione di un film per esempio, che è un modo indiretto per parlare dello spazio quadridimensionale, o la lettura di un’intervista impossibile.

 
Che risposte ha dalle persone che poi vengono a seguire questi eventi?
In parte la risposta è data dai numeri.
A Roma vengano 60 mila persone, e questi sono numeri da sport, da stadio, non da matematica! Il primo anno è stata una sorpresa effettivamente perché non ci aspettavamo quella folla; non avevamo neanche predisposto un sistema di filtri: non si pensava che la gente sarebbe venuta.
Anzi dicevamo: speriamo che non sia tutto vuoto. E invece è stato un successo. Come evento conclusivo della prima edizione del festival due anni fa c’era Nash, che per la prima volta faceva un’intervista da solo; abbiamo fatto vedere degli spezzoni del film Beautiful Mind, la cerimonia della premiazione del premio Nobel, e lui ha raccontato anche della sua malattia e dei suoi problemi. Eravamo nella sala Santa Cecilia a Roma, e c’erano 2800 persone dentro e altrettante fuori con i maxischermi; quindi 5000 persone a seguire una intervista con un premio Nobel dell’Economia. È vero che molti pensavano di venire a sentire Russell Crowe probabilmente, ma anche il secondo anno, per esempio, quando abbiamo avuto ancora Nash con un altro premio Nobel dell’economia, Daniel Kahneman, era pieno ugualmente.

Quindi probabilmente c’è anche un interesse diretto, io credo. Per paura all’inizio io avevo detto: facciamo tante cose a lato, da mostre a concerti a spettacoli, ma le conversazioni, le lezioni di queste mente geniali, in realtà dimostrano che c’è anche un interesse direttamente legato alla matematica.

 
Come si diventa “geni” secondo lei? Ci si nasce, ci si diventa, dipende da quanto lavoro e impegno ci si mette?
Ma questo bisognerebbe chiederlo a loro; io ti posso dire quello che ho visto. In America dicono genius is 10% inspiration, 90% perspiration e io credo che quella più o meno è la proporzione giusta.
Anzitutto bisogna non confondere le due cose; cioè, l’alfabetizzazione matematica, i conti e le formule, sono una cosa che tutti possiamo e dobbiamo saper fare, così come camminare: per esserne capaci non dobbiamo essere degli atleti. Certo se uno vuol correre i cento metri in 10 secondi, allora diventa più complicato.
Con la matematica è la stessa cosa. Molti si fermano per la paura di non riuscire. Ma è una paura che si può superare; spesso è soltanto una questione psicologica e anche in parte di cattivo insegnamento, con mezzi, programmi, metodi che non sono adeguati.
Nell’essere campioni ci sarà sicuramente una parte di attitudine, ma la grossa differenza la fa l’allenamento e il lavoro. Lo puoi vedere anche in queste giornate di Festival. Nash per esempio è sempre in prima fila, e viene a seguire tutte le conferenze e le lectio, e gli altri fanno la stessa cosa: vengono e non soltanto per fare le domande o per parlare; vengono e stanno a sentire gli altri, discutono. È un continuo acquisire nozioni.

 
Durante queste due prime giornate i protagonisti del Festival erano sempre presenti, manifestando la voglia di condividere e di confrontarsi. Oggi per esempio si parlava di gruppi di lavoro; mi sembra una attitudine difficile da trovare altrove.
È vero, perché la matematica e la scienza in generale sono scienze non individuali. Per la scrittura per esempio è diverso: se uno scrive una poesia o un romanzo è difficile che lo faccia con altri. Invece la scienza e la matematica si imparano spesso parlando. È difficile impararle soltanto sui libri di testo; studiare da soli si può, ma il modo più proficuo è quello di studiare con altri e questa impostazione la puoi verificare anche nelle interazioni che ci sono in questi giorni tra queste persone.

 
Il sottotesto e ambizione di questo festival è “salvare il mondo con i numeri”.
Salvare il mondo, quello mi sembra eccessivo, però certamente i numeri servono ad affrontare il mondo con più consapevolezza.
A volte vengono presentati dei numeri senza che si dica che sono numeri inutili. Per esempio, se un giornale riporta nel titolo: “Si è scoperto che il 50% degli italiani ha un intelligenza inferiore alla media”, sembra un’informazione negativa sugli italiani. Poi però se ci pensi metà degli italiani sta sopra e metà sta sotto questa media; si è dato un numero che non spiegava nulla; è solo un modo

per mascherare una banalità che viene presentata come un’informazione.
Spesso i numeri da noi vengono dati così, cioè si tenta di far sembrare un’affermazione banale tecnica e scientifica. Bisogna saper leggere i numeri e le percentuali. L’analfabetizzazione matematica è come l’analfabetizzazione letteraria: si può vivere anche da analfabeti ho scoperto, però si vive in maniera meno consapevole. E si può vivere anche da analfabeti matematici o scientifici, ma si perde capacità di lettura, soprattutto nel nostro mondo che è un mondo tecnologico, basato quindi sulla scienza e in particolare sulla matematica.
Il rischio è quello di finire con l’essere “condotto” dove qualcun altro vuole, ma senza essere consapevole.

 
Lei passava una parte dell’anno qui in America, è ancora così?
Lo facevo fino al 2003, poi ho smesso perché come diceva un grande matematico: la matematica è uno sport per giovani. Adesso mi diverto di più a fare il divulgatore, a scrivere libri, a organizzare festival, anche perché è giusto che siano i giovani a fare ricerca.

 
Come vede adesso il mondo della ricerca in Italia?
Io dal primo gennaio del 2008 sono in pensione dall’università, proprio per potermi dedicare di più a conferenze, festival, divulgazione. Avevo poco tempo per insegnare e seguire gli studenti, quindi ho preferito lasciare campo ai giovani. In Italia si tende a stare attaccati alla poltrona fino alla fine; per esempio adesso c’è una rivolta dei professori che non vogliono essere mandati in pensione a 70 anni….. va beh, se vogliono stare lì… io me ne sono andato a 58 e faccio altro.
La ricerca la seguo meno, però so che ci sono molte difficoltà, in primis difficoltà di finanziamento. Questo governo taglia fondi, in parte perché la crisi esiste ed è reale, in parte perché si prende l’occasione, la scusa, per tagliare a pioggia da una parte e dall’altra tutto ciò che non porta quattrini, e in particolare la scuola e la ricerca.
Questo mi sembra un atteggiamento molto miope: sarà anche vero che la ricerca non produce quattrini immediatamente, però è il capitale che si mette in banca per il futuro. E se non si investe nella ricerca, si diventa schiavi di altri, dell’America e dell’Oriente per esempio, per quanto riguarda l’informatica.

 
Quando la definiscono “matematico star” che impressione le fa?
Stella nana direi.
Le star sono altre, e poi le star fanno parte di attività che non sono culturali; sono le star dello sport, della musica, gli attori o le star del cinema; stranamente anche, perché in fondo le stelle del cinema sono l’ultima ruota del carro, nel senso che sono l’ultima cosa che si vede. Il film più che altro è il prodotto del regista, dello sceneggiatore, e l’attore in fondo è una specie di contenitore vuoto che ogni volta si riempie di cose diverse. Io poi tra l’altro facendo adesso un po’ di conferenze e anche un po’ di spettacoli ho cominciato a conoscerne vari, ed è interessante vedere come spesso sono deludenti. Non tutti per fortuna. Benigni e Silvio Orlando, che ho conosciuto un po’ meglio, sono il contrario; Benigni per esempio è una forza della natura e anzi non credo che ci sia differenza da quando è sul palcoscenico a quando è nel salotto di casa sua, lui è sempre in spettacolo. E quando esci da una cena con Benigni hai bisogno di riposo per 2 ore perché è sempre molto intenso. Silvio Orlando anche è un tipo molto interessante: uno se lo immagina molto tragico come tutti i suoi film e invece è una persona molto sensibile. Quindi ci sono attori e attori ovviamente, però ne ho conosciuti altri, di cui ovviamente non faccio i nomi, ma soprattutto attrici che magari ti attraevano molto, e poi dici toh, che delusione. Però quelle sono le star vere, io non sono certo una star.
Ci sono tre motivi per cui la gente spesso si secca di me ed ha reazioni negative: sono un matematico, e in genere non si capisce che cos’è (un letterato è un’altra cosa, più semplice da definire); sono ateo, e anche quello dà fastidio a quelli che credono; e poi sono di sinistra in un mondo che va a destra.

 
Lei si deve divertire un sacco nella vita...
Io mi diverto un mondo.
Non so se hai seguito questo scandalo del Grinzane Cavour: mi hanno chiesto di sostituire la vecchia gestione che è finita sotto inchiesta e c’è stata tutta una polemica legata alla mia nomina. Quelli sono piccoli personaggi che hanno i loro feudi e si preoccupano della nomina di un premio letterario, che è anche un matematico, in un premio che è sempre stato democristiano, e io sono di sinistra e ateo. Persino il cardinale di Torino ha fatto sapere che non ero gradito, ma per me va benissimo, sono tutti motivi di apprezzamento. Se se ne parla tanto forse vuol dire che hanno fatto la scelta giusta. Però certo è difficile quando ce l’hai tutti contro.

 
Lei ha molti nemici, ma mi pare, a giudicare dalle adesioni ai festival che organizza, ha anche molti amici...
La cosa divertente guardando sul sito dell’Ibs, che riporta le recensioni e le reazioni dei lettori ai miei libri, è che sono equamente distribuite: c’è chi dice che sono un completo deficiente, e chi dice che sono un genio. E si sbagliano tutti.
 

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