Abbiamo incontrato ed intervistato a Napoli, presso la Fondazione Sudd, Marco Rovelli autore del libro inchiesta; “Servi. Il paese sommerso dei clandestini al lavoro” edito da Feltrinelli. Attraverso le tante storie raccolte, Rovelli racconta un’Italia poco conosciuta, o meglio che di rado compare sui quotidiani locali, eppure sono tantissime storie. Esiste quest’universo di sfruttatori che approfitta della ricattabilità dei clandestini, rendendoli cittadini ombra senza alcun diritto, calpestati ed umiliati quotidianamente. Rovelli, con il suo “reportage narrativo”, ci mostra senza mezzi termini l’altra faccia della medaglia degli italiani brava gente. Marco è anche professore di storia nei licei, musicista, fa parte della redazione della rivista online “Nazione Indiana” e collabora con Transeuropa Edizioni. Le sue inchieste sono state pubblicate sulla rivista Nuovi argomenti e su quotidiani nazionali; l’Unità e il Manifesto.
"Servi" è il tuo primo libro?
No, ho scritto altri libri di poesia e varia. Ma Servi è il terzo reportage di narrativa sociale che conduco in giro per l’Italia. Preferisco chiamarli narrativi sociali, perché utilizzano gli strumenti della lingua per raccontare la società.
Abbiamo letto che hai realizzato una rappresentazione teatrale, ci puoi raccontare in cosa consiste e, come è nata l’dea?
La rappresentazione teatrale è nata sulla scorta del libro, dato che sono anche musicista, avevamo voglia di provare a fare due ore di ibridazione con la musica e rappresentazione teatrale. L’idea principale era quella di arrivare alle persone, tramite un nuovo linguaggio, forse, più diretto. Ma soprattutto, rivolto a quella fetta di pubblico che non legge libri. Abbiamo avuto un buon riscontro a Milano, penso che il messaggio lanciato sia stato percepito molto chiaramente dai presenti in sala.
Pensi di farla anche in altre città questa rappresentazione?
Si, certo. Quando ci chiamano andiamo volentieri, come è già successo. Ma oggi i circuiti teatrali sono molto bloccati.
Come mai hai deciso di fare questa inchiesta?
Questo reportage lo considero una continuazione del mio primo libro “Lager italiani”. Raccontavo la storia dei clandestini in Italia reclusi nei centri di accoglienza temporanei (Cpt); oggi denominati centri di identificazione ed espulsione (Cie). In Servi racconto il perché sono recluse queste persone e private dei loro diritti. A cosa serve introdurre i clandestini in Italia. Un ingranaggio di un’enorme macchina economica, che utilizza in svariate maniere, questo immenso bacino di manodopera, ad ottimo mercato.
Hai incontrato difficoltà nel condurre questo tipo di indagine?
Difficoltà non se ne incontrano perché l’Italia è piena di queste situazioni; dalle profonde campagne del sud alle metropoli del nord. I ganci ci sono. Piuttosto penso vada a detrimento di un sistema dei mass media, che in Italia non svolge questo tipo di lavoro. Non perché è difficile farlo, basta andare e voler vedere; è alla portata d tutti.
Trovi che gli atteggiamenti di xenofobia siano di mera natura razzista, oppure si nascondano altri motivi?
Questo dipende dall’accezione che si da alla parola razzismo. Penso che il razzismo sia un sistema di esclusione che da una parte appartiene costitutivamente alla razza umana, facendo leva sulla differenza tra noi e gli altri, ma nel sistema capitalistico assume un’altra dimensione ed un’altra connotazione che in qualche modo è finalizzata ad una segregazione a fini produttivi. Il mito degli italiani “brava gente” e che non sono razzisti, non regge molto. Non sono razzisti fino a quando l’altro non si manifesta con la sua presenza nel territorio. Nella misura in cui lo straniero è chiamato nel territorio a dare il proprio contributo in manodopera, avvengono le contraddizioni alla suddetta accezione. Quando queste contraddizioni esplodono, succedono questi attacchi xenofobi che sono poi “razzisti”, perché producono davvero una segregazione tra la gente. Esempio significativo è la rivolta di Rosarno (provincia di Crotone - Calabria) dove gli immigrati hanno manifestato contro i soprusi. A Rosarno si sono manifestate delle contraddizioni in maniera esplosiva, ma queste contraddizioni appartengono a tutto il territorio italiano.
Col supporto di statistiche, affermi, che gli immigrati in possesso del permesso di soggiorno non commettono più crimini degli italiani nativi. Ma le carceri sono piene di stranieri che, però sono i c.d. clandestini. Come si potrebbe a tuo parere fermare questa criminalità?
È vero che nelle carceri c’è una soprarappresentazione dei clandestini rispetto agli altri segmenti di persone; un terzo dei detenuti è costituito da clandestini. Ma penso che questo dato in se non dica nulla, se non si va ad analizzarlo e scorporarlo; cosa che ho fatto in un capitolo del libro. Moltissimi clandestini sono in carcere per reati connessi all’immigrazione stessa, questo già con la legge Bossi-Fini. La legge consiste nell’applicare la sanzione di sei mesi di carcere se non si ottemperava al decreto di espulsione. Nonostante tutte le proteste, anche da parte della magistratura, questa situazione continua imperterrita. I clandestini non usufruiscono di tutte le misure di cui godono i cittadini regolari, come per esempio attendono il processo in carcere, cosa che non accade per chi è cittadino regolare; non usufruiscono del patrocinio gratuito della difesa e quindi gli viene concesso un avvocato d’ufficio che non li segue, da li ne consegue condanna certa. Non beneficiano di misure alternative alla detenzione come gli arresti domiciliari. Parte dei clandestini è stato in prigione per reati quali lo spaccio. Nel momento in cui una persona è dichiarata illegale, è già dichiarata “criminale”. Quindi, cosa si perde a commettere reato? Perché si è già nella posizione di illegalità. Ma, invece, quando viene concessa la sanatoria e quindi il passaggio dalla clandestinità alla regolarità, il numero dei reclusi, anche per spaccio, diminuisce drasticamente.
Affermi che hai utilizzato il concetto di immigrati ”illegali” o ”senza documenti”, ma in realtà vorresti usare la parola italiana “clandestini” (che significa “segreti” e “nascosti”), forse anche “svedesizzandola” in “klandestiner”, potresti spiegarci meglio
quest’affermazione?
Io parlo di clandestini e non di illegali, che è la denominazione politically incorrect, mentre clandestino designa una realtà constatata negativamente. Mi interessa rovesciare lo stereotipo di clandestino come “uomo nero”, come uomo nascosto (etimologicamente clandestino vuol dire questo). Spesso alla parola clandestino si associa quella di “clandestino – criminale”, ma preferisco smontare quest’idea preconcetta con il binomio “clandestino – lavoratore”.
Per ipotesi, se gli uomini-ombra, venissero cacciati tutti, che danno sarebbe per la società economica Italiana?
Qui parlo di immigrati regolari ed irregolari insieme. È importante far capire che il regolare non è altro che un clandestino potenziale. L’immigrato regolare è una persona a cui se perde il lavoro e scade il permesso di soggiorno, ritorna clandestino, quindi lo spettro della clandestinità gli sta sempre addosso… è la sua verità. In questo senso, la presenza di questi clandestini attuali e potenziali è fortemente determinata dai fattori produttivi nella nostra società; dall’edilizia all’agricoltura, ai servizi alla persona, al piccolo commercio, alla ristorazione, e così via. L’idea dello sciopero del 1 marzo poggiava su questa base; cioè se tutti gli immigrati per un giorno avessero smesso di lavorare si sarebbe paralizzata tutta l’economia. Questo dato è assolutamente indubitabile.
Come far capire, questa importante risorsa che sono gli “uomini ombra”, alle istituzioni ed ai cittadini?
Non ci sono in Italia risorse per una buona cultura politica; per far capire che il clandestino può avere una funzione anche come merce elettorale. Questa è la grande differenza per esempio con i “clandestini interni” che erano gli immigrati al nord nell’Italia degli anni ’60, erano cittadini italiani ma non potevano però fungere da merce nella competizione elettorale. Nel tempo poi c’è stata un’integrazione, nonostante la differenza abissale tra il cittadino metropolitano del nord e un contadino del sud. Erano due ambienti sostanzialmente molto diversi ma si è verificata l’integrazione anche perché la politica non ha giocato sulla pelle degli immigrati, così invece fa oggi. Non c’è la volontà e non ci sono interessi per restituire dignità umana al clandestino. L’unica possibilità è di esercitare pratiche solidali dal basso. Nel tempo, credo che qualcosa si ottenga, sono oramai centinaia i ragazzi che rivendicano i loro diritti di persona, tramite scontri, conflitti etc. Arriveranno a mutare oggettivamente le loro condizioni. Prima o poi l’Italia dovrà prendere atto che non può trattate queste persone come non persone, rientra nella logica delle cose.