Articles by: Emilia Ferrara

  • Fatti e Storie

    Servi al lavoro in Italia. Libro reportage sui clandestini lavoratori

    Abbiamo incontrato ed intervistato a Napoli, presso la Fondazione Sudd, Marco Rovelli autore del libro inchiesta; “Servi. Il paese sommerso dei clandestini al lavoro” edito da  Feltrinelli. Attraverso le tante storie raccolte, Rovelli racconta un’Italia poco conosciuta, o meglio che di rado compare sui quotidiani locali, eppure sono tantissime storie. Esiste quest’universo di sfruttatori che approfitta della ricattabilità dei clandestini, rendendoli cittadini ombra senza alcun diritto, calpestati ed umiliati quotidianamente. Rovelli, con il suo “reportage narrativo”, ci mostra senza mezzi termini l’altra faccia della medaglia degli italiani brava gente. Marco è anche professore di storia nei licei, musicista, fa parte della redazione della rivista online “Nazione Indiana” e collabora con Transeuropa Edizioni. Le sue inchieste sono state pubblicate sulla rivista Nuovi argomenti e su quotidiani nazionali; l’Unità e il Manifesto.

    "Servi" è il tuo primo libro?
    No, ho scritto altri libri di poesia e varia. Ma Servi è il terzo reportage di narrativa sociale che conduco in giro per l’Italia. Preferisco chiamarli narrativi sociali, perché utilizzano gli strumenti della lingua  per raccontare la società.

    Abbiamo letto che hai realizzato una rappresentazione teatrale, ci puoi raccontare in cosa consiste e, come è nata l’dea?
    La rappresentazione teatrale è nata sulla scorta del libro, dato che sono anche musicista, avevamo voglia di provare a fare due ore di ibridazione con la musica e rappresentazione teatrale. L’idea principale era quella di arrivare alle persone, tramite un nuovo linguaggio, forse, più diretto. Ma  soprattutto, rivolto a quella fetta di pubblico che non legge libri. Abbiamo avuto un buon riscontro a Milano, penso che il messaggio lanciato sia stato percepito molto chiaramente dai presenti in sala.

    Pensi di farla anche in altre città questa rappresentazione?

    Si, certo. Quando ci chiamano andiamo volentieri, come è già successo. Ma oggi i circuiti teatrali sono molto bloccati.

    Come mai hai deciso di fare questa inchiesta?
    Questo reportage lo considero una continuazione del mio primo libro “Lager italiani”. Raccontavo la storia dei clandestini in Italia reclusi nei centri di accoglienza temporanei (Cpt); oggi denominati centri di identificazione ed espulsione (Cie). In Servi racconto il perché sono recluse queste persone e private dei loro diritti. A cosa serve introdurre i clandestini in Italia. Un ingranaggio di un’enorme macchina economica, che utilizza in svariate maniere, questo immenso bacino di manodopera, ad ottimo mercato.

    Hai incontrato difficoltà nel condurre questo tipo di indagine?

    Difficoltà non se ne incontrano perché l’Italia è piena di queste situazioni; dalle profonde campagne del sud alle metropoli del nord. I ganci ci sono. Piuttosto penso vada a detrimento di un sistema dei mass media, che in Italia non svolge questo tipo di lavoro. Non perché è difficile farlo, basta andare e voler vedere; è alla portata d tutti.

    Trovi che gli atteggiamenti  di xenofobia siano di mera natura razzista, oppure si nascondano altri motivi?
    Questo dipende dall’accezione che si da alla parola razzismo. Penso che il razzismo sia un sistema di esclusione che da una parte appartiene costitutivamente alla razza umana, facendo leva sulla differenza tra noi e gli altri, ma nel sistema capitalistico assume un’altra dimensione ed un’altra connotazione che in qualche modo è finalizzata ad una segregazione a fini produttivi. Il mito degli italiani “brava gente” e che non sono razzisti, non regge molto. Non sono razzisti fino a quando l’altro non si manifesta con la sua presenza nel territorio. Nella misura in cui lo straniero è chiamato nel territorio a dare il proprio contributo in manodopera, avvengono le contraddizioni alla suddetta accezione. Quando queste contraddizioni esplodono, succedono questi attacchi xenofobi che sono poi “razzisti”, perché producono davvero una segregazione tra la gente. Esempio significativo è la rivolta di Rosarno (provincia di Crotone - Calabria) dove gli immigrati hanno manifestato contro i soprusi. A Rosarno si sono manifestate delle contraddizioni in maniera esplosiva, ma queste contraddizioni appartengono a tutto il territorio italiano.

    Col supporto di statistiche, affermi, che gli immigrati in possesso del permesso di soggiorno non commettono più crimini degli italiani nativi. Ma le carceri sono piene di stranieri che, però sono i c.d. clandestini. Come si potrebbe a tuo parere fermare questa criminalità?

    È vero che nelle carceri c’è una soprarappresentazione dei clandestini rispetto agli altri segmenti di persone; un terzo dei detenuti è costituito da clandestini. Ma penso che questo dato in se non dica nulla, se non si va ad analizzarlo e scorporarlo; cosa che ho fatto in un capitolo del libro. Moltissimi clandestini sono in carcere per reati connessi all’immigrazione stessa, questo già con la legge Bossi-Fini. La legge consiste nell’applicare la sanzione di sei mesi di carcere se non si ottemperava al decreto di espulsione. Nonostante tutte le proteste, anche da parte della magistratura, questa situazione continua imperterrita. I clandestini non usufruiscono di tutte le misure di cui godono i cittadini regolari, come per esempio attendono il processo in carcere, cosa che non accade per chi è cittadino regolare; non usufruiscono del patrocinio gratuito della difesa e quindi gli viene concesso un avvocato d’ufficio che non li segue, da li ne consegue condanna certa. Non beneficiano di misure alternative alla detenzione come gli arresti domiciliari. Parte dei clandestini è stato in prigione per reati quali lo spaccio. Nel momento in cui una persona è dichiarata illegale, è già dichiarata “criminale”. Quindi, cosa si perde a commettere reato? Perché si è già nella posizione di illegalità. Ma, invece, quando viene concessa la sanatoria e quindi il passaggio dalla clandestinità alla regolarità, il numero dei reclusi, anche per spaccio, diminuisce drasticamente.

    Affermi che hai utilizzato il concetto di immigrati ”illegali” o ”senza documenti”, ma in realtà vorresti usare la parola italiana “clandestini” (che significa “segreti” e “nascosti”), forse anche “svedesizzandola” in “klandestiner”, potresti spiegarci meglio
quest’affermazione?
    Io parlo di clandestini e non di illegali, che è la denominazione politically incorrect, mentre clandestino designa una realtà constatata negativamente. Mi interessa rovesciare lo stereotipo di clandestino come “uomo nero”, come uomo nascosto (etimologicamente clandestino vuol dire questo). Spesso alla parola clandestino si associa quella di “clandestino – criminale”,  ma preferisco smontare quest’idea preconcetta  con il binomio “clandestino – lavoratore”. 
     
    Per ipotesi, se gli uomini-ombra, venissero cacciati tutti, che danno sarebbe per la società economica Italiana?
    Qui parlo di immigrati regolari ed irregolari insieme. È importante far capire che il regolare non è altro che un clandestino potenziale. L’immigrato regolare è una persona a cui se perde il lavoro e scade il permesso di soggiorno,  ritorna clandestino, quindi lo spettro della clandestinità gli sta sempre addosso… è la sua verità. In questo senso, la presenza di questi clandestini attuali e potenziali è fortemente determinata dai fattori produttivi nella nostra società; dall’edilizia all’agricoltura, ai servizi alla persona, al piccolo commercio, alla ristorazione, e così via. L’idea dello sciopero del 1 marzo poggiava su questa base; cioè se tutti gli immigrati per un giorno avessero smesso di lavorare si sarebbe paralizzata tutta l’economia. Questo dato è assolutamente indubitabile.

    Come far capire, questa importante risorsa che sono gli “uomini ombra”, alle istituzioni ed ai cittadini?
    Non ci sono in Italia risorse per una buona cultura politica; per far capire che il clandestino può avere una funzione anche come merce elettorale. Questa è la grande differenza per esempio con i “clandestini interni” che erano gli immigrati al nord nell’Italia degli anni ’60, erano cittadini italiani ma non potevano però fungere da merce nella competizione elettorale. Nel tempo poi c’è stata un’integrazione, nonostante la differenza abissale tra il cittadino metropolitano del nord e un contadino del sud. Erano due ambienti sostanzialmente molto diversi ma si è verificata l’integrazione anche perché la politica non ha giocato sulla pelle degli immigrati, così invece fa oggi. Non c’è la volontà e non ci sono interessi per restituire dignità umana al clandestino. L’unica possibilità è di esercitare pratiche solidali dal basso. Nel tempo, credo che qualcosa si ottenga, sono oramai centinaia i ragazzi che rivendicano i loro diritti di persona, tramite scontri, conflitti etc.  Arriveranno a mutare oggettivamente le loro condizioni. Prima o poi l’Italia dovrà prendere atto che non può trattate queste persone come non persone, rientra nella logica delle cose.

  • Fatti e Storie

    "E se parlassimo di calcio?". La grande passione degli uomini in un blog tutto al femminile

    E se parlassimo di calcio? Questa è la traccia dei racconti tutti al femminile per raccontare la passione calcistica dei maschi pubblicati durante lo svolgimento dei Mondiali sul blog di Laura e Lory. Due grandi amiche che, nonostante percorsi di vita e scelte lavorative differenti, Laura Costantini è giornalista della Rai mentre Loredana Falcone è un’impiegata, condividono la passione per la scrittura.

    Questa volta l’ispirazione è venuta a Laura Costantini, che ha invitato scrittrici di tutta Italia a raccontare come la passione calcistica degli uomini viene vissuta e a volte anche subita dalle donne.

    I racconti raccolti, spesso autobiografici, rappresentano con una buona dose d’ironia , a tratti comicità esilarante, un universo che chiedeva solo di essere scoperto.
     

    Alcune autrici, come Mariagiovanna Luini, hanno preso spunto dai Mondiali per raccontare i loro ricordi. La dottoressa con la passione per la scrittura, narra:
     Correva l’anno millenovecentonovanta qualcosa, studiavo per l’esame di oncologia e c’erano i mondiali (…) ho una passione indicibile per le partite dei Mondiali commentate alla radio da un gruppo di comici piuttosto famoso: per questo ricordo quell’anno, quello della preparazione dell’esame di oncologia (…). Però mi piaceva l’idea di studiare per l’esame, e di farlo con qualche pausa a piedi in avanti sulla scrivania. Le partite dei Mondiali erano l’occasione: spingevo indietro la poltrona, tiravo su i piedi e allontanavo ai lati fogli, matite, libro e appunti.
    Altre pur riconoscendosi inesperte di calcio, si lasciano guidare dall’istinto come nel caso di Mavie Parisi .
    Italia-Polonia, (…)  La partita fu veramente mediocre. Non che io me ne intendessi, ma credo esista un pulsante, un qualche gene regolatore che nelle donne si attiva solo ogni quattro anni, giusto in occasione dei mondiali e rende il loro cervello recettivo a informazioni che  normalmente sono oscure
    Le storie per quanto differenti e originali rappresentano nell’insieme un interessante excursus nella storia calcistica del nostro Paese, tradizionalmente molto legato a questo sport. L’intreccio della vita personale delle autrici con il mondo del calcio ci mette in condizione di spiare dal buco della serratura quello che avviene un pò in tutte le case degli Italiani in occasione delle competizioni nazionali ed internazionali.
     
    In qualche racconto il tema si sposta dai Mondiali al calcio in generale. E’ questo il caso di Vincenza Alfano.
     Sono cresciuta in un gineceo, un universo femminile ermeticamente  chiuso ad ogni contaminazione maschile. In casa eravamo praticamente tutte donne (…) Un mondo che conosceva un solo colore: il rosa. (…) E’ dura la convivenza con tre maschi per i quali il calcio è una  fissazione,  una mania, una ragione di vita. Ci siamo arresi a ogni sorta di diavoleria: decoder analogico, tv via cavo, parabola satellitare, televisione digitale. Grazie a Sky Sport 24, siamo in grado di seguire ogni evento e tutti gli eventuali retroscena,  se Mou  è nervoso per sua moglie o Ibrahimovic  ha il mal di pancia; se Lavezzi non parte perché ha smarrito il passaporto e il Dela è molto arrabbiato con lui. Gossip, pettegolezzi, anticipazioni vere o false … Sono rassegnata: il tempo della mia vita ormai non è più quello ciclico delle stagioni ma quello scandito dal calendario di campionato, Champions League, Coppa Italia e quest’anno (mio dio!) ci sono anche i Mondiali. 

    Ma poi la passione calcistica ad un certo punto viene anche compresa e condivisa….sempre Enza scrive: Io non avevo mai capito quanto fosse importante. Tutte queste storie, vincere, perdere, stare incollati davanti allo schermo dal lunedì alla domenica, tutti i giorni. Un’invasione di alieni nella mia vita ormai tinta di azzurro, di nero e di blu. Dov’è finito il mio mondo tutto rosa? Ma poi l’altra sera ho capito(…) perché certe cose piovono dal cielo e sono un’illuminazione improvvisa che a voler fare il percorso a ritroso non ti raccapezzi più. Mio figlio, il più piccolo, piangeva (…) << Fabrizio>> gli dico accarezzandogli i capelli e incollandogli un bacio << E’ solo una partita, lo scudetto è ancora vostro>>. << Lo so, mamma>> e sembra davvero convinto << ma domani , a scuola, mi prenderanno in giro tutti, anche Francesco, anche Michele. Io non voglio essere sempre un perdente>> . (…) “Alcuni pensano che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono d’accordo. Posso assicurarvi che è molto, molto di più.” (Bill Shankly). 

    Partendo dallo stesso tema, Sandra Giammaruto esplora i problemi legati alle relazioni sentimentali , intessendo una relazione tra calcio e crisi della coppia.

    L'ha lasciata un mese fa, sapessi i pianti che si è fatta poverina. (…) Ho sentito Mauro dire a Gianni che la richiama dopo i Mondiali. Voleva godersi il torneo in pace e non aveva voglia di isterismi femminili.
    La pubblicazione dei “racconti mondiali” è in corso d’opera. Qualche scrittrice ancora manca all’appello.

     << Una bella opportunità soprattutto di conoscere scrittrici di altre città>> ci spiega Vincenza Alfano, una delle autrici che ha contribuito al progetto.
     

    Le autrici non escludono una successiva pubblicazione cartacea, se il materiale raccolto e un editore benpensante lo consentiranno. L’idea potrebbe avere una sua valenza commerciale considerando il numero delle autrici e la loro diversa provenienza e, quindi, la possibilità di diffondere l’antologia attraverso una serie di presentazioni in tutta Italia. Le scrittrici sono valide e il loro nome è quasi sempre riconducibile già ad una pubblicazione.
     

     Laura e Lory hanno ideato vari blog e scritto libri a quattro mani. Sono abituate a scrivere in rete, generalmente questa è la metodologia adottata per le loro pubblicazioni.
     

    In una recente intervista hanno raccontato che il rapporto con i lettori è cambiato totalmente, più diretto grazie ai blog. Ma spesso si corre il rischio che non ci sia abbastanza senso critico dato che la maggior parte dei lettori sono a loro volta scrittori e si entra in un circolo vizioso di complimenti reciproci. Raccontano che una grande influenza sulla loro formazione è stata esercitata dalla letteratura nord-americana del Novecento.

    Non possiamo che augurare un grosso in bocca al lupo alle scrittrici dei “racconti mondiali”, sperando di vedere presto approdare la loro antologia nelle librerie italiane.

  • Ritornando a Baghdad. Intervista con Giuliana Sgrena

    Giuliana Sgrena ha vissuto un’esperienza davvero drammatica. Rapita a Baghdad il 4 febbraio del 2005, da una che forniva notizie diventò lei stessa notizia. Poi—trauma nel trauma—la morte dell’agente del Sismi Nicola Calipari, ucciso dal “fuoco amico” di un posto di blocco americano mentre la portava in salvo.

    In seguito, come lei stessa ricorda, ebbe un totale rifiuto nei confronti dell’Iraq e del suo popolo. Poi il graduale riavvicinamento: riaffiorano i primi contatti, che via via divengono più frequenti, fino a quando un suo interprete le invia dei limoncini secchi di Bassora, che si usano per preparare un gustoso tè di cui la Sgrena usava fare ampie scorte. Questo gesto affettuoso la convince definitivamente a tornare in quei luoghi. Per scoprire la verità sull’Iraq odierno, per ritrovare parte di se stessa, e per non abbandonare chi ha visto soffrire. “Baghdad è cambiata ma anch’io sono diversa” – ci dice.

    Oggi è in giro per l’Italia per presentare il suo ultimo libro Il ritorno, pubblicato da Feltrinelli. L’abbiamo incontrata a Napoli, ad un dibattito presso la Fondazione Sudd.

    Nel suo libro lei nota che, nonostante lo stillicidio di attentati sanguinari, la vita sembra riprendere “i ritmi del periodo di Saddam Hussein”. Detta in questo modo, lei sembra suggerire che la guerra al terrore sia stata un'inutile strage e che "si stava meglio quando si stava peggio"...

    Non tocca a me dire se si stava meglio o peggio ai tempi di Saddam. Baghdad è devastata dalla guerra, non solo nelle infrastrutture e servizi, ma anche nel tessuto sociale. A Falluja si vedono gli effetti devastanti causati dalle armi chimiche che hanno segnato per sempre la vita di molte persone. Nascono bambini con gravi malformazioni e con malattie terribili. Ci sono due milioni di profughi all’estero e due milioni di sfollati all’interno del paese; la situazione è veramente terribile.

    Per togliere spazio politico alla propaganda armata del fondamentalismo islamista, la nuova strategia americana ha puntato sull'accordo con gli anziani dei villaggi sunniti. Come si misura la distanza tra l' “idealismo belligerante” dell'esportazione della democrazia e il realismo pragmatico dell'accordo con le forze locali, perfino tradizionali, del paese? Gli americani hanno imparato una lezione?

    Gli americani hanno fatto l’accordo con i Sunniti e con il Consiglio del risveglio per una questione di pragmatismo, nel senso che si sono resi conto degli errori fatti e quindi hanno deciso che l’unico modo per cercare di eliminare al Qaeda era accordarsi con delle forze locali che conoscevano bene il terreno e quindi avrebbero potuto portare avanti questa battaglia. Non penso che sia un cambiamento fondamentale nella strategia degli americani, e non penso che con la guerra si possa esportare in alcun modo la democrazia. Penso piuttosto che la guerra in Iraq sia stata fatta per motivi di controllo sul petrolio e per dominare la regione, dato che l’Iraq ha una posizione geografica strategica. Il fondamentalismo non esisteva in Iraq prima della caduta di Saddam, è arrivato subito dopo la sconfitta di Saddam. Da questo punto di vista quindi è stata un’operazione in perdita da parte degli americani.

    Lei nota che le donne stanno riconquistando una visibilità sociale e politica, tanto da abbandonare il velo. Puo' dirci qualcosa di più sul ruolo delle donne nel "nuovo Iraq"?

    Il codice della famiglia irachena, quello che regola i rapporti interpersonali, viene considerato uno dei più progressisti nel mondo arabo-musulmano, risale agli anni ’50 ed è ancora in vigore nonostante i tentativi di sostituirlo con la legge coranica. Prima, ai tempi di Saddam, esisteva una federazione di donne che era molto forte e molto potente. Caduto Saddam, si sono formate organizzazioni femminili che per un periodo hanno dovuto agire clandestinamente, per sfuggire alle milizie armate islamiche. Adesso queste organizzazioni sono molto attive, c’è una rete che ne comprende un centinaio, si stanno battendo per una presenza più attiva all’interno delle istituzioni.
    Nel parlamento iracheno c’è il 25% di “quote rosa”, ma spesso i partiti fanno eleggere donne che non mostrano poi un grande potere politico. Sarebbe auspicabile trasformare questa presenza istituzionale, formale, in una partecipazione femminile molto più attiva e che si batta davvero per i diritti delle donne.
    Per quanto riguarda il velo, prima le donne non lo portavano, tranne che nelle zone popolari sciite; poi con l’arrivo dei partiti religiosi e delle milizie islamiche alle donne furono fatte varie imposizioni: indossare il velo, non guidare, non uscire, non mandare le bambine a scuola… Oggi queste imposizioni non sono più in vigore perché le milizie islamiche sono entrate a far parte dell’esercito, e quindi la situazione è un po’ cambiata. Le donne si sono liberate del velo, e se lo indossano lo fanno in maniera diversa, sono per lo più veli colorati; e vestono con jeans aderenti e camicette scollate; insomma vestono come le donne degli atri paesi.

    Nell’Iraq odierno esiste una “sinistra”? che ruolo svolge in Iraq e in generale nel mondo musulmano?

    In Iraq è difficile adesso distinguere. Esiste una sinistra ed esiste anche un partito comunista, ma nella situazione odierna non è più quel partito comunista che c’era una volta e che aveva una grande forza. Adesso ha una presenza molto minoritaria perché prevalgono altri schemi. I partiti iracheni si dividono tra partiti laici e partiti di ispirazione religiosa, più che tra destra e sinistra. Quindi è difficile riportare la loro politica agli schemi che abbiamo a livello europeo ed a livello internazionale. Attualmente la popolazione sta soprattutto riorganizzandosi; cercano di ricostruire un tessuto sociale per avere un ruolo anche sul piano politico, e prevalentemente per conquistare i diritti fondamentali, come il diritto alla salute. Questa è la situazione attuale dell’Iraq, come succede in molti paesi musulmani.

    Pensa che, alla vigilia del "disimpegno" americano, sia possibile reinnescare un processo di secolarizzazione dell' Islam, che ostacoli l'uso politico della religione da parte dei fondamentalisti?

    Questo ritorno alla laicità l’avevo già notato, si è visto anche alle ultime elezioni, dove il partito che ha vinto è non solo per la laicità ma anche per l’unità dell’Iraq. Infatti, il problema è anche di chi vuole una separazione tra gli sciiti, il centro sunnita e i curdi. Quindi ritornare ad un Iraq laico è molto importante per disinnescare le forze centrifughe che puntano alla separazione tra sciiti e sunniti. Questa prospettiva è molto auspicabile.

    Che giudizio da' sulle politiche europee nell'area e in particolare sull'approccio della sinistra europea?

    La sinistra europea non ha giocato nessun ruolo rispetto all’Iraq e questo penso sia molto grave perché invece potrebbe aiutare l’Iraq ad uscire dalla situazione in cui si trova e potrebbe essere un interlocutore importante soprattutto quando gli americani, almeno teoricamente, si ritireranno. L’Europa potrebbe svolgere un ruolo rilevante di mediazione e di stabilizzazione rispetto allo scontro tra Iraq e Usa.
    Per ora il paese continua ad essere diviso tra zona rossa e verde, quest’ultima controllata da check-point gestiti in minima parte da iracheni, il resto sono affidati ai contractor, mercenari provenienti da tutti i paesi del mondo. La presenza degli americani non si avverte per strada, ma ci sono, controllano gli aeroporti e si vedono volare i loro aerei.

    Cosa l’ha colpita di più nel suo ritorno?

    La reazione della sua gente, che ha ripreso a vivere con dignità.

  • 'Comics for Africa'. Arte e aiuti umanitari

    Tutti gli artisti rispondono IO CI STO! agli inviti di Roberto. Ed ecco Franco Battiato, Ron, Fiorella Mannoia, Sal da Vinci, Marina Rei, Nino Buonocore, Mariella Nava, Lighea, Walter Nudo, Fabrizio Moro e Justine Mattera solo per citarne alcuni.

    Ma di chi stiamo parlando?  Di Roberto Riccio,  classe ’73. Un giovane architetto di Amorosi, un paesino in provincia di Benevento, che nel tempo libero anziché giocare a golf, raccoglie fondi e realizza progetti in Africa.

    Grazie alla sua associazione “Arts X World Onlus ” è riuscito a mobilitare intorno ai suoi

    concretissimi obiettivi nomi di primissimo livello del mondo della canzone, dello sport, della tv, del cinema e del teatro.

    Lo abbiamo intervistato perchè la sua oltre ad essere una storia interessante e positiva è anche incoraggiante per tutti coloro che sentono di dover aiutare il prossimo.
     

    Come e da quanto tempo hai iniziato a interessarti di aiuti umanitari?

    Mi sono sempre occupato di aiuti umanitari, il mio servizio civile lo feci presso un centro di malati mentali. Poi ho iniziato a sfruttare la mia passione per la pittura e la scultura, impegnandomi a vendere le mie opere, e con i fondi che racimolavo fornivo aiuti destinati alla Thailandia e alla Birmania. Ero solo. Oggi sono contento di avere al mio fianco numerose persone che credono in ciò che sto facendo per questo popolo.

    Dalla tua storia si evince soprattutto una tua grande forza e determinazione nell’aiutare queste popolazioni, come anche la tua profonda onestà e trasparenza dei progetti. Come mai ti sei spostato in Africa?

    Sempre per la mia passione per la pittura, scelsi un viaggio in Tanzania nel 2000 e durante questo viaggio toccai con mano uno dei problemi che ogni giorno affrontano queste persone; l’acqua. Per raggiungere quei pochi pozzi, devono  fare un lungo cammino più volte al giorno. Decisi che non potevo rimanere indifferente a tutto questo.
     

    Sono ormai dieci anni che mi vedo impegnato in questo progetto di solidarietà per l’Africa. Ma per non disperdere i fondi che raccolgo, vado in prima persona sul posto e vivo nei villaggi, con loro, per dirigere i lavori. I miei viaggi in questi luoghi mi hanno fatto capire la necessità di queste popolazioni, che ogni giorno sopravvivono e lottano per beni indispensabili come l’acqua, il cibo ed i medicinali.

    Quante volte l’anno ti rechi in Tanzania e per quanto tempo resti?

    I miei viaggi in Tanzania diventano sempre più frequenti, vado quattro o cinque volte l’anno e dirigo i lavori per 30-40 giorni, quindi si può dire che vivo sei mesi in Tanzania e altri sei ad Amorosi.

    Ormai le popolazioni locali ti aspettano. Ma quando sei in Africa che lingua parli?

    Non solo mi aspettano, ma oramai mi hanno anche soprannominato Rain Man….perché porto l’acqua. Per comunicare con la popolazione ho imparato lo swahili ed altri dialetti locali, ma con le istituzioni parlo inglese.

    Come raccogli i fondi?

    Ho fondato una onlus “Arts X World” e cerco di recuperare i fondi attraverso le adesioni come soci sostenitori o donazioni. Dal 2005 organizzo una manifestazione dedicata al fumetto “ComicsxAfrica”, ed anche quest’anno come tutte le edizioni, precedenti l’evento si svolgerà nel parco termale di Telese, con una piccola offerta che va dai 5 ai 15 euro all’ingresso. Le serate sono ricche di eventi di piacevole intrattenimento; si susseguono cantanti, attori e artisti della televisione che a titolo assolutamente gratuito, partecipano alla manifestazione e da anni mi sostengono. Non manca un’intera sezione dedicata alle mostre di sculture e di  tavole  originali degli artisti messe a disposizione dei visitatori. Inoltre come ogni anno saranno presenti fumettisti, che a richiesta disegnano per il pubblico. Si crea un vera e propria atmosfera familiare.

    Si infatti, l’anno scorso ho visto ragazzi bravi in disegno affiancare gli artisti per puro divertimento. Quest’anno la manifestazione quindi giunge alla sua V edizione, in che periodo si farà?

    Sempre nel mese di Luglio dal 15 al 18 compresi, ma l’intera programmazione è in fase di definizione.

    Come hai fatto a "riuscirci"? 

    La Mostra è patrocinata dalla Regione Campania, Provincia di Benevento, Comune di Telese e l’Ordine degli Architetti di Benevento, che si sono impegnati a sostenere moralmente l'iniziativa.
    Aiuto organizzativo e coordinamento : Stefania Sgueglia, Stefano Aitoro, Patrizia Bove, Enzo Neri, Dott. Filippone, Rosanna Guarino, Rachele Iavanone e tanti altri.

    Come è nata l’idea originale del comicsxafrica e artsxworld? Come mai proprio il comics?

    L’idea di comics che sono i fumetti, è il modo più semplice di comunicazione dal bambino all’adulto, quindi è il più efficace mezzo per appassionare tutti. Ho chiesto la collaborazione a disegnatori italiani e internazionali che mi hanno gentilmente donato delle pagine originali delle loro opere che vengono vendute all’asta oppure durante le serate alle Terme di Telese.

    Numerosi nomi importanti stranieri hanno aderito; per citarne alcuni: Kevin Grevioux, Tony De Zuniga, Sergio Cariello, Stan Lee, Sho Murase, Ryan Benjamin, Rodney Buchemi, Philippe Briones, Mark McKenna, Michael Gaydos, Leinil Francis Yu, Joe Benitez, Jason Shawn Alexander, Jon Haward, David Lloyd, Eri Jimenez, Darick Robertson, Danny Miki, Carlos D'Anda, Carlos Pacecho, Billy Tan. Ma anche gli italiani sono davvero moltissimi, come Milo Manara, Giovanna Casotto, Ivo Milazzo, Giorgio Cavazzano, Giuseppe Palumbo, Andrea Mutti, Bruno Bozzetto, Corrado Mastantuono, Donald Soffritti, Leo Ortolani, Simone Bianchi, Fabrizio Fiorentino e tanti altri. Sul sito www.comicsxafrica si può trovare una lunga lista e spero crescerà sempre.

    Con chi altro  porti avanti i tuoi progetti?

    I progetti li dirigo solo, ma gli artisti mi affiancano nella loro realizzazione, oramai sono diventati veri e propri amici.

    A proposito di amici, ricordo che due anni fa eravamo tutti in ansia per te, tornasti dall’Africa con la Malaria…

    Si, la fase critica è ormai passata,per fortuna. In quel periodo ero molto seccato, mi vietarono di andare in Tanzania e per poco più di sei mesi i progetti che mi ero prefissato slittarono terribilmente…avevo il mal d’Africa…

    L’importante è che ora stai bene.

    Hai sedi solo in Italia o in altri paesi “occidentali”?

    In Italia al momento è l’unica sede che abbiamo, ma conto di aprirne in Tanzania il prossimo dicembre nell’ospedale che ho costruito.

    Poi in futuro chissà… con il crescere dei progetti e delle collaborazioni volontarie sto pensando di aprire una sede negli Usa, dato che molti artisti che mi seguono e appoggiano con i loro contributi sono americani.

    Cosa ne pensi delle politiche di accoglienza italiane? Hai esperienze o contatti nel campo dell'immigrazione africana in Italia?

    Di politica non mi occupo e non mi sono mai interessato. Non mi desta interesse, anzi cerco di lasciare la politica lontana dai miei progetti. Ho collaborato con molte associazioni che si occupano di immigrazione e stiamo cercando si creare una sorta di gemellaggio di persone da formare in Africa e che poi facciano esperienza in Italia e viceversa.

    Progetti futuri…

    Voglio allargare i miei aiuti in altri stati dell’Africa: Etiopia, Somalia e Zimbabwe. In Tanzania ho costruito e continuerò a costruire pozzi su tutto il territorio, ove ci sarà necessità, dal nord al sud. Ad oggi più di 40 pozzi sono stati realizzati. Sempre nel centro della Tanzania ho progettato e fatto costruire una scuola primaria attualmente in funzione. Ho collaborato alla costruzione di quattro case famiglie, dove al momento ci sono ben 110 bambini orfani recuperati in tutto il territorio della Tanzania che continuo a seguire con aiuti periodici.

    Attualmente  sto realizzando un grandissimo ospedale per l’assistenza alle donne incinte ad ai bambini, a cui ho dedicato il nome di mia figlia che ha due anni Jua Africa, con la speranza di vederlo crescere insieme a lei e che possa un giorno sostituirmi. L’ospedale è in espansione dato che ho a disposizione ancora molto spazio. Gli abitanti del luogo potranno attingere alle visite specialistiche ed ai medicinali gratis; tutti sevizi a mie spese.

    Hai già il personale?

    Molte persone le prendo sul posto, poi ho la disponibilità di un’ostetrica francese ed una ginecologa inglese che mi aiuteranno nella gestione dei vari reparti.

    Come si può contribuire ai tuoi progetti?

    Ci sono varie opzioni. Economicamente attraverso bonifici o donazioni online sul conto dell’associazione “arts x world” tramite il sito www.comicsxafrica.org . Oppure diventando soci dell’associazione, richiedendo all’indirizzo email [email protected] la tessera Internazionale di Arts x world con un contributo mensile o annuo. Per chi invece preferisce  Aiuti sul posto, può richiedere di partecipare ai campi di lavoro che l’associazione organizza annualmente.

    Dal sito inoltre c’è la possibilità di acquistare tutti i gadget come cappellini e magliette dell’associazione ed il libro-raccolta di fotografie edito da Lavieri “Quest’acqua è solo veleno”.

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