That’s Schifezza! Anche se…

Giovanna Landolfi (June 19, 2008)
Ma si sa, i reality sono figli dei nostri tempi, ed ogni tempo ha i divertimenti, i piaceri e i passatempi che si merita. Questo è il tempo dell’estremo voyeurismo mediatico, il tempo di chi, invece di costruirsi un’esistenza sociale, preferisce prenderne una in prestito da una pay per view, perché l’investimento monetario gli permette di spendere nulla in intraprendenza, faccia tosta e coraggio, necessari nel momento in cui si supera la soglia di casa.


L'iter è ormai sempre lo stesso: va in onda un nuovo reality show ed ecco piovere dalla bocca di tutti – nessuno escluso - un insieme di critiche negative sia sul conto del format che sui protagonisti. Ma si sa, i reality sono figli dei nostri tempi, ed ogni tempo ha i divertimenti, i piaceri e i passatempi che si merita. Questo è il tempo dell’estremo voyeurismo mediatico, il tempo di chi, invece di costruirsi un’esistenza sociale, preferisce prenderne una in prestito da una pay per view, perché l’investimento monetario gli permette di spendere nulla in intraprendenza, faccia tosta e coraggio, necessari nel momento in cui si supera la soglia di casa. Fermiamoci un attimo. Quale profonda motivazione può avere una persona mediamente intelligente nel guardare un reality? Solo una: sesso. Perché è tutta lì la questione: si cercano le tresche, i tradimenti, scene hot più o meno velate e così via. La cosa in sé è normalissima, non fosse altro che la componente biologica fondamentale della nostra natura è appunto il sesso con tutte le sue varianti e particolarità. Però, quando da lassù o da laggiù, Qualcuno decise di miscelare tutti gli elementi chimici che ci dettero vita modellando anche i nostri istinti, aveva previsto che le nostre reazioni chimiche dovessero verificarsi face to face, non semplificarsi drasticamente attraverso la tv via cavo o una rete cablata.

E devo anche aggiungere che con quel Qualcuno ci facciamo anche una pessima figura.

Siccome io sono il ‘nessuno escluso’ che non risparmia critiche, e visto che per anche io per trend devo biasimare i reality, ecco la mia insana, inutile ma pragmatica critica: quei soldi che si spendono per la pay per view, non si possono investire in un essere umano (o più esseri umani) in carne ed ossa? Quantitativamente parlando il piacere sarebbe molto più intenso, ma poi chissà, la mente umana è così intricata che magari uno studio serio potrebbe dimostrare che gli esseri umani hanno più bisogno di un televisore al plasma per risvegliare la loro libido che persone in carne ed ossa… mai escludere niente quando si parla di mente umana.



Uno dei reality più angoscianti è sicuramente That’s Amore, i cui telespettatori sono l’emblema del fallimento del disegno divino che prevedeva reazioni chimiche in comunità. Il telespettatore è talmente catturato dal protagonista alle prese con le ragazze che forse dimentica che fuori ce ne sono a migliaia; e dal canto suo la telespettatrice, infatuandosi del pollastro di turno, crea in qualche ripostiglio della sua mente quello che teoricamente risponderebbe al modello del suo ‘tipo ideale’, credendo che nel corso della propria vita non troverà mai un uomo “gagliardo” come quello della tv.



Il contenuto del reality è noto a tutti, per cui tralasciamo. Che i luoghi comuni sugli italiani abbondino è dir poco, ormai siamo abituati, ed è inutile sprecarci in parole che contrastino questo modo di utilizzare l’italianità. C’è solo una cosa da notare: se nelle pubblicità e film (almeno quelli recenti) l’italiano dipinto non è mai davvero un italiano, in questo caso l’attore è drammaticamente italiano e di importazione. E su questo punto inviterei a riflettere.



E poi, insomma, take it easy un po’ tutta la faccenda. Che sia stato utilizzato lo stereotipo dell’italiano è probabilmente solo un caso. La produzione avrà fatto le sue indagini di mercato ed avrà dedotto che l’italiano è una risorsa economica da poter sfruttare, e il successo dello show ne è la dimostrazione. Lo stereotipo a volte non è solo negativo, ma anzi, se si prendesse la questione con uno spirito diverso, potremmo anche ipotizzare che potrebbe apportare qualcosa di positivo, almeno dal punto di vista economico. Esempio: acquisto di prodotti italiani; tutti quei prodotti della cucina italiana che fanno da scenografia trash al set del reality vi sembrano poco? Inoltre c’è un episodio del reality in cui il gregge femminile va a pascolare nel paesino natale del Nesci; assistendo a tutto ciò di sicuro sarà scattato nella mente di qualche spettatore l’idea di organizzare un pellegrinaggio nel paese del proprio idolo, trasformandolo magari in tour del nostro paese. Queste cose accadono spesso e sono la nostra fortuna. Dunque, se qualcuno dall’estero viene ad incrementare le vendite dei nostri prodotti o viene a casa nostra a trovarci perché ha visto un reality, a noi cosa interessa? L’importante è che ci porti le sue risorse economiche. Inutile essere moralisti e moralizzatori, in quanto in qualche modo dobbiamo pure campare e sopravvivere. E se con lo stereotipo dell’italiano ci mangia tutto il mondo perché non ci dovrebbe mangiare anche l’Italia?



Dunque, bravo Nesci che si è creato una posizione economica con questo lavoro perché d’altra parte un giovane che voglia cimentarsi nel mondo dello spettacolo può fare ben poco pure con tante capacità innate; buon per lui che si diverte (ed insomma, ammettiamo anche che la maggior parte degli uomini vorrebbe trovarsi al suo posto anche se lo nega: anche se il programma è trash quindici donne sono sempre quindici donne!). L’unica cosa di cui lo pregherei è di evitare inutili paragoni con il signor Marcello Mastroianni. Perché si parla di persone diverse, vite diverse, personalità diverse, tempi diversi. Non esiste nessun punto in comune con il signor Mastroianni, assolutamente nulla, ed anzi, il paragone mi sembra ridicolo ancora prima che vergognoso.

E comunque - adesso una nota estremamente personale - se ‘il nostro’ Domenico Nesci si paragona a questo grande e meraviglioso uomo del passato – e i più gli danno anche ragione - la mia autoconvinzione di essere nata nella decade sbagliata si alimenta sempre più.

 

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