Articles by: Monica Straniero

  • Fatti e Storie

    La Linea del colore, intervista a Igiaba Scego

    Nata in Italia nel 1974, Scego è figlia di profughi somali fuggiti dalla dittatura di Siad Barre. Cresciuta in Italia, è tornata in Somalia per brevi periodi durante l’adolescenza. Spesso ha dichiarato di non sentirsi né somala, né italiana ma di appartenere ad entrambe le culture. Scego rappresenta una figura della diaspora somala nel mondo, un'appartenenza, di cui la scrittrice è conscia e che la spinge ad analizzare le varie situazioni subite dai somali, costretti a fuggire dal proprio paese per stabilirsi altrove. Nei suo romanzi c'è un doppio sguardo, italiano e somalo, attraverso il quale la scrittrice mette in luce i riverberi razzisti e sessisti di un paese segnato da una crisi sociale e politica che si traducono poi in ricadute importanti sulla situazione odierna dell’immigrazione in Italia.

    Altro elemento sono le donne da sempre collocate in una posizione subalterna per il loro genere e per la loro appartenenza di classe. I rapporti di razzismo e patriarcalismo tra le donne bianche e nere. La prospettiva postcoloniale e quella femminista nella narrativa della Scego passano così attraverso il corpo, nero, delle donne e dei migranti. Tutti temi che emergono nell'ultimo romanzo "La Linea del colore" Bompiani 2019, è in corso di traduzione negli Stati Uniti. Pubblicato a distanza di quattro anni da Adua (Giunti 2015), è un romanzo storico tutto al femminile che si muove su più livelli narrativi. Ambientato tra Italia, Somalia e Stati Uniti, si focalizza su Lafanu Brown, pittrice nera americana che a metà ’800 sogna di poter studiare i classici romani dal vivo, e su Leila, storica dell’arte contemporanea che vive nella Roma di oggi ed impegnata sia su una mostra dedicata a Lafanu Brown stessa sia nel cercare di supportare la cugina Binti, che compie il lungo e pericoloso viaggio verso l’Italia, avvvicinando il lettore alla quotidianità dei migranti e delle loro famiglie.

    Igiaba Scego, perchè questo titolo?

    Omaggia l’intellettuale afroamericano W.E.B Du Bois che indicava in quella linea, il confine costruito dal suprematismo bianco che definisce il mondo come diviso in due razze, separate. Quelle barriere che i bianchi costruiscono intorno a sè per e le persone nere. Ma è anche la linea del segno pittorico. La protagonista ottocentesca Lafanu Brown, una scultrice che lotta per affermarsi in un mondo dell'arte dove i neri non hanno diritti, decide di trasformare quella linea divisoria in un rivendicazione della sua libertà a realizzare il sogno e ad affrontare il Grand Tour per conoscere una cultura essenzaile per la sua maturità artistica.

    Come mai a scelto di ambientare la storia nell'Ottocento?

    E' un periodo storico a cui sento di appartenere. Sono laureata in letteratura spagnola e amo la letteratura dell'Ottocento, a partire da quella russa, inglese per arrivare agli autori spegnoli, poco conosciuti, e francesi. Nel corso di questi studi mi sono imbattuta in due personaggi femminili realmente esistiti. Nel personaggio di Lafanu Brown coesistono infatti due donne, entrambe afroamericane, che hanno vissuto a Roma, allora da poco capitale d’Italia, sul finire del XIX secolo. La prima è Sarah Parker Remond, ostetrica, attivista per i diritti umani e femminista nera. La seconda è Edmonia Lewis, scultrice nera statunitense. Due donne straordinare che hanno scelto di lasciare l'America razzista per trovare rifugio a Roma. Parlare di loro mi ha dato l'occasione di creare un racconto sul viaggio. Oggi viviamo una situazione per cui il viaggio è negato a coloro che non hanno un passaporto “forte” e non sono liberi di muoversi. Mi riferisco a chi vive al Sud del Mondo che non ha la possibilità di entrare legalmente in Europa e mette la propria vita in mano a trafficanti senza scrupoli per sfuggire ad un destino già segnato. La mobilità è un diritto umano e in tempi di quarantena, la Linea del colore può aprire le porte a forme di viaggio più meditativo rispetto a quello mordi e fuggi a cui siamo stati abiuati finora.

    Leila è un ponte tra il passato coloniale dell'Italia e il presente in cui è negata la libertà di circolazione e che costringe sua cugina Binti a tentare un pericoloso viaggio dalla Somalia verso l'Europa. Quanto di Igiaba vive nel personaggio di Leila?

    Leila è molto diversa da me ma condividiamo lo stesso destino, apparteniamo entrambe alla seconda generazione di migranti. Una generazione di genitori e in alcuni casi anche nonni che continua a non essere accettata da un paese dove ancora non esiste una legge sulla cittadinanza basata sullo ius soli. Siamo italianissimi ma non ci considerano tali. E chi come me si è affacciato all'arte della scrittura è stata ingabbiata nell'etichetta di scrittrice migrante che assoggetta il racconto degli afrodiscedenti a logiche esperienziali ed identitarie. Sono una raccoglitrice di storie e ho scritto un romanzo storico a cavallo tra l'Ottocento e il presente per rivendicare il nostro diritto all'immaginazione che ci è stato negato. Scrittori con il mio colore sono ancora collocati tra i titoli della letteratura migrante, non siamo considerati/e letteratura italiana. Ma qualcosa sta cambiando e lo dimostra il fatto che la Linea del colore è stato inserito tra i titoli della narrativa italiana.

    La linea del colore si muove tra l’America schiavista e abolizionista e Roma, una città dapprima papalina, poi italiana per arrivare a quella attuale.

    Noi afrodicendenti in Italia abbiamo sempre guardato all’America o meglio agli afroamericani. Loro sono stati i nostri modelli di vita e mi riferisco a Rosa Parks, James Baldwin, Malcolm X, Martin Luther King, Toni Morrison. La mia libertà viene dalla loro lotta in tempi in cui i non trovavamo le parole per descriverci. Ma ad un certo punto è arrivata la consapevolezza che non ero afroamericana, la mia identità è afroitaliana. Con Lafanu ho fatto un viaggio al contrario. Raccontare di una donna afroamericana che abbandona gli Stati Uniti per inseguire la sua passione in Italia, a Roma. Ma scopre anche in Italia la presenza di schiavi africani incatenati in tante opere d'arte. Il persomaggio di Lafanua è anche un'occasione per riflettere su un'Italia che fa ancora fatica a fare i conti con il suo passato coloniale che tanto ha a che fare con la realtà attuale dove assistiamo al crescere di xenofobia e razzismo.

  • Art & Culture

    Something is Moving in Italy, New Quality Cinema

    The first edition of an event set to become a fixed appointment in the calendar of national and international cinematographic initiatives, will debut on March 13, 2020 in Poggio a Caiano (Po). CineAtelier evenings will take place weekly and will be free of charge. Each film selected for the review will receive a recognition from Cinemaitaliano.info, which will be given to the director before the screening of his or her movie.  

     

    This initiative, which aims to reward the creativity and courage of young italian auteurs and involve students from decentralized areas with encounters and classes dedicated to those who want to work in film, will last through April 5th. It will not simply propose movie screenings, but actually present the idea that, through film, we can create a long-term project with the potential to not only generate interest and attract people to these locations but also develop new forms of visibility that go beyond specific territories. 

    Because, especially in this phase, films made by young generations can be an added value, a cultural resource that will spearhead Italy towards broader environments and open up to different spaces, worlds, cultures. 

     

    But that’s not all. This encounter between directors and students wants to promote the birth of a new cinematographic citizenship for the auteurs of the future without renouncing their own.

     

    The first appointment is with Alessandro Capitani and his beautiful road movie “In Viaggio con Adele,” starring Sara Serraiocco as a ‘special’ girl who only wears a pair of pink pajamas with bunny years. A father-daughter journey which raises a deeper reflection on what is considered normal and on the fear of difference. It will then be the turn of “Short Skin” by Duccio Chiarini, a tale about the sexless microcosm of a young man suffering from a malformation of his foreskin, which renders him insecure and awkward around girls. 

     

    A young generation of filmmakers selected for their autorial perspective and for their highly personal research process, which also includes Federico Bondi with “Dafne,” the story of an exuberant and charming 30-year-old woman with Down syndrome, who can run her own life but still lives with her parents, and Manfredi Lucibello, who closes the review with “All my Nights,” a story of lies and fears, which uncovers two women’s deepest secrets. 

  • Art & Culture

    The D’Innocenzo Brothers, New Italian Cinema Goes Forward

    Alongside the twins are auteurs such as Marco Proserpio, whose documentary “The Man Who Stole Banksy,” narrated by Iggy Pop, was featured in the world’s major festivals, the director of “Twin Flower” Laura Luchetti, Michela Occhipinti whose “Flesh Out,” filmed in Mauritania, tells of “gavage,” the practice of force-feeding women in order for them to gain weight, usually before their wedding. And let’s not forget Jonas Carpignano, the Italian-American who grew up in New York to then return to Gioia Tauro, where “A ciambra” was set, and Alice Rohrwacher, a frequent Berlinale participant.

     

    Now is the D’Innocenzo Brothers' moment. The two young filmmakers who came out of the Roman periphery had already made themselves known with “Boys Cry,” presented during the 68th edition of the Berlin Festival. The protagonists are two imaginary criminals who embody the natives of an outer city neighoborhood, a grey and claustrophobic reality that lives in the shared imaginary. An experiment in “suburban neorealism,” contaminated by the lessons of Wes Anderson and David Lynch. 

     

    In “Bad Tales,” the periphery is once again the protagonist, no longer saved by the clichés that identify it, often even cinematographically, but as the last line of defense of humanity or community. A dark tale inspired by Italo Calvino and Gianni Rodari and set somewhere in the Roman province. A world made up of rows of houses, seemingly normal and quietly joyful, where families live tangled between the sadism of the parents and the rage of the diligent, desperate children. 

     

    The adults’ inability to assume any responsibility for their own children is borderline grotesque. Behind a facade of circumstance, we find sterile human beings, like the two protagonists, Bruno (Elio Germano) and Dalila (Barbara Nicchiarelli), a married couple who lives with their two prepubescent children, surrounded by other adults frustrated by the lives they don’t feel belong to them. The children’s play-time screams become a silent scream. They observe the adults in their every move. They don’t understand them. They look at porn on their fathers’ phones and harbor anger and resentment. 

     

    Tales have a moral. So does “Bad Tales” bring bad omens? The film doesn’t look for a culprit. Social misery isn’t a consequence of the hypocrisy of the middle class. Pornography goes beyond desire. The malaise is simply there, inexplicable but very present, at times reminiscent of the inability to comunicate in Michelangelo Antonioni’s works. The carefully calculated sarcasm communicated by every gesture and word, is therefore a tool to keep from giving into desperation. So there isn’t a moral, at least not in the sense of a message, it’s more of a diagnosis, a snapshot of our society. 

  • Arte e Cultura

    In Italia qualcosa si muove, il giovane cinema di qualità

    La prima edizione di un evento che ha tutte le carte in regola per diventare un appuntamento fisso nel calendario delle iniziative cinematografiche nazionali ed internazionali, prenderà il via il 13 marzo 2020 a Poggio a Caiano (Po). 

    Le serate di CineAtelier avranno cadenza settimanale e saranno ad ingresso libero fino ad esaurimento posti. Ad ogni film selezionato per la rassegna verrà conferito un riconoscimento da Cinemaitaliano.info, che sarà consegnato all’autore prima della proiezione del suo film. 

    Fino al 5 aprile andrà in scena una manifestazione che vuole premiare la creatività e l’audacia di giovani autori italiani e coinvolgere gli studenti dei territori decentrati con incontri e masterclass dedicati a chi vuole fare cinema. L’evento non propone semplici proiezioni e visioni di film, ma al contrario sviluppa l’idea che attraverso il cinema si può creare un progetto più lungo nel tempo che abbia la forza e la capacità generare non solo una grande attrazione ai luoghi, ma anche nuove visibilità comunicative oltre i confini dei singoli territori. 

    Perché proprio in questa fase il cinema fatto dai giovani può essere un valore aggiunto, un giacimento e una risorsa culturale destinato a traghettare l’Italia verso atmosfere di più ampia gittata e possa soprattutto andare all’incontro con altri spazi, altri mondi, altre culture.

    Ma non è finita qui. L’incontro tra registi e studenti vuole promuovere la nascita di una cittadinanza cinematografica degli autori del futuro senza rinnegare la propria.

    Il primo appuntamento è con Alessandro Capitani, e il suo bel road-movie “In Viaggio con Adele” che vede protagonisti l’attrice Sara Serraiocco nei panni una ragazza ‘speciale’ che indossa solo un pigiama rosa con le orecchie da coniglio. Un viaggio tra un padre e una figlia, ma che sottende una profonda riflessione su ciò che è considerato normale e sulla paura della diversità.

    Sarà poi il turno di Shortskin, di Duccio Chiarini, per raccontare il microcosmo asessuato di un giovane che soffre di una malformazione al prepuzio che lo rende insicuro ed impacciato con le ragazze. Una nuova generazione di autori selezionati per lo sguardo autoriale e per il percorso di ricerca molto personale tra cui anche Federico Bondi con Dafne, storia di una trentenne portatrice di sindrome di Down, esuberante e trascinatrice, che sa organizzare da sola la sua vita ma vive ancora insieme ai genitori, e Manfredi Lucibello che chiude la rassegna con Tutte le mie notti, una storia che tra segreti, bugie, paure che ci porterà a conoscere le verità più nascoste delle due donne.

  • Arte e Cultura

    I Fratelli D'Innocenzo, il nuovo cinema italiano che avanza

    A fare compagnia ai due gemelli, autori come Marco Proserpio, che con il documentario “L’uomo che rubò Banksy”, voce narrante Iggy Pop, ha partecipato con successo ai maggiori festival del mondo. Laura Luchetti regista di “Fiore gemello”, Michela Occhipinti con “Il corpo della sposa - Flesh out” girato in Mauritania ha raccontato il gavage, la pratica di alimentazione forzata che serve a far prendere peso alle ragazze alle soglie delle nozze. Senza dimenticare Jonas Carpignano, italo-americano cresciuto a New York e poi tornato a vivere a Gioia Tauro, dove ha ambientato “A ciambra”, e Alice Rohrwacher, assidua frequentatrice della Berlinale.

    Ora è il momento dei fratelli D’Innocenzo. I due giovani cineasti, germogliati dalla periferia romana si erano già fatti notare con La Terra dell’Abbastanza, presentato alla 68esima edizione del Festival di Berlino. I protagonisti sono due criminali immaginari che incarnano i nativi di un quartiere di periferia, realtà grigia e claustrofobica che alberga nell’immaginario. Un esperimento di "neorealismo suburbano" contaminata dalle lezioni di Wes Anderson e David Lynch.

    Nel film Favolacce, la periferia torna protagonista nella forma di borgata non più salvata dal cliché che la identifica, spesso anche cinematograficamente, ma come ultimo baluardo di umanità o di comunità possibile. Una favola nera ispirata a Italo Calvino e Gianni Rodari e ambientata da qualche parte nella provincia romana. Un mondo fatto di villette a schiera, apparentemente normale e silenziosamente festoso dove vivono famiglie in un groviglio oscuro tra il sadismo dei genitori e la rabbia di bambini diligenti e disperati.

    L’incapacità degli adulti di assumersi qualsiasi responsabilità nei confronti dei propri figli sfiora il grottesco. Dietro una facciata di circostanza, si muovono esseri umani sterili, come i due protagonisti, Elio Germano, Bruno, e Barbara Nicchiarelli, Dalila, una coppia sposata che vive con i due figli preadolescenti. Tra loro altri adulti frustrati da vite a cui sentono di non appartenere. Le urla dei bambini mentre giocano diventano un urlo silenzioso. Osservano gli adulti in ogni loro mossa. Non li comprendono. Guardano il porno sul cellulare dei loro padri e covano rabbia e risentimento. 

    Le favole hanno una morale. Quindi le Favolacce contiene un cattivo presagio? Il film non cerca alcun colpevole. La miseria sociale non è una conseguenza dell’ipocrisia della borghesia. La pornografia va oltre il desiderio. Il “malessere” è semplicemente lì, inspiegabile, ma molto presente, e ricorda a tratti l’incomunicabilità dei lavori di Michelangelo Antonioni. Il sarcasmo che comunica ogni gesto e ogni parola, tutto soppesato finemente, è quindi il mezzo per non cedere alla disperazione. Non c’è insomma una morale, almeno non nel senso di un messaggio da dare, ma una diagnosi, un'istantanea della nostra società.

  • Art & Culture

    Verdone Returns to the Big Screen with Optimism

    As the images of Carlo Verdone’s new film “You Only Live Once” appear on the screen, you can’t help but think of the great Italian cinematic tradition of bittersweet comedies that range from “Amici Miei,” to Pietro Germi, passing through Pietrangeli and reaching its highest point with Dino Risi’s “Sorpasso,” an insurmountable masterpiece. 

     

    Here, writer and director Verdone tries to give this tradition a modern spin relying on the incredible talent of his real-life friends Max Tortora, Anna Foglietta and Rocco Papaleo, with whom he even shares a residence in the beautiful Roman neighborhood of Monteverde Vecchio.

     

    The chemistry between the four is undeniable, they look and work well together, as if they were at the theatre. But that’s it. The movie’s plot is weak and very predictable, the jokes soon get heavy and boring and even the erotic and sensual intervention of Mariana Falace who plays Verdone’s peculiar and somewhat slutty daughter feels out of place. In order to keep watching this film we need more than to see the lady’s perfect lower back being paraded all over the place under the guise of criticizing it. 

     

    Verdone and his impeccable surgeons are serious and esteemed professionals, who can even count the Pope amongst their clients. But they’re as capable in their jobs as they are inept, clumsy, and even unlucky in their personal lives. Beyond medicine, they share a passion for jokes that they have been carrying out for years and of which they are themselves the targets. The anesthesiologist Amedeo Lasalandra (Rocco Papaleo) is the preferred victim. The other three manage to ruin everything for him, from a romantic evening up to a job interview.

     

    These are cruel, useless jokes. Though needed in order to break the tension in the operating room where the team continuously opens up and stiches back bodies, they still feel pathetic and immature. Can these 50-something-year-olds really find no other way to amuse themselves? Even Amedeo realizes this and lases out, sending his friends to hell. Verdone himself realizes it and abruptly shifts the screenplay as one of the character's situation changes. From this point forward, the jokes end and friendship becomes once more that refuge, that support that we all look for in a friend. Up until the predictable final twist, which we naturally won’t reveal. 

     

    It isn’t much for the fans of Verdone, who have come to expect more refined, less gimicky comedy, jokes filled with malincholy, irony and painful truths which you have to laugh off in order not to cry, well-constructed characters, provocative and at times serious reflections.  

     

    Finally, I can’t go without mentioning a pretty aggressive product placement, worthy of a James Bond film. If the purpose was to make us go to Puglia, where most of the action takes place, then at least this goal was met. Not only does Puglia never betray you, it also never plays tricks. 

  • Arte e Cultura

    Carlo Verdone torna al cinema con ottimismo

    Mentre scorrono sullo schermo le immagini del nuovo film Si vive una volta sola di Carlo Verdone non si può non pensare alla grande tradizione del cinema italiano della commedia dolceamara che va da Amici Miei, tocca Pietro Germi, passa per Pietrangeli e ha la sua vetta più alta in quel Sorpasso di Dino Risi, per me un capolavoro inarrivabile.

     

    Il regista e sceneggiatore Verdone cerca in questo caso di trovare la quadra in chiave moderna affidandosi alla straordinaria professionalità dei suoi amici, anche nella vita, Max Tortora, Anna Foglietta e Rocco Papaleo con i quali divide anche la residenza a Roma nel bel quartiere di Monteverde Vecchio.

     

    L'interazione fra i quattro è innegabile, stanno bene insieme e si trovano a meraviglia come fossero a teatro. Ma è tutto qui. Il film ha una trama fragilissima e abbastanza scontata, le gag dopo un po' diventano pesanti e noiose e anche l'intervento erotico sensuale di Mariana Falace nei panni della figlia discinta e un po' zoccola di Verdone appare fuori luogo. Per continuare a guardare questo film non ci basta vedere il perfetto lato b della signorina, sventagliato a destra e a manca con la scusa di criticarlo.

     

    Verdone e i suoi sono impeccabili chirurghi, professionisti stimati e seri sotto le cui mani anche il Papa è tranquillo ad affidarsi. Ma tanto sono bravi nel lavoro, tanto sono pasticcioni, imbranati e anche sfortunati nella vita privata. In comune hanno, oltre alla medicina, una passione per gli scherzi che si tramandano da anni e di cui sono vittima loro stessi. In particolare l'anestesista Amedeo Lasalandra (Rocco Papaleo) è il bersaglio preferito. Gli altri tre riescono a rovinargli qualunque cosa, da una serata romantica finanche ad un'intervista di lavoro. 

    Sono scherzi feroci che lasciano il tempo che trovano, comprensibili che servano per stemperare la tensione di una sala operatoria dove l'equipe apre e chiude corpi di continuo, ma non per questo non cogliamo una buona dose di patetismo e anche immaturità. Possibile che a 50 anni suonati riescano a divertirsi solo così? Se ne accorge anche Amedeo che sbotta e manda a quel paese gli amici, se ne accorge anche lo stesso Verdone che, ad un certo punto, cambia di colpo la sceneggiatura date le mutate circostanze che riguardano uno dei protagonisti. Da qui gli scherzi finiscono e l'amicizia ridiventa quel rifugio, quel sostegno che ognuno di noi va cercando in un volto amico. Fino al prevedibile colpo di scena finale che naturalmente non sveliamo.

    Non è molto per gli affezionati fan di Verdone, abituati da anni ad una comicità più raffinata, a siparietti meno dozzinali, a battute cariche di malinconia, ironia e verità dolorose sulle quali riderci sopra per non morire, a personaggi meglio costruiti, a riflessioni provocate anche in modo serio.

    Infine, non va taciuto, manco fossimo in un film di James Bond, un product placement abbastanza brutale. Se lo scopo era comunque farci andare in Puglia, dove si svolge parte dell'azione, almeno quell'obbiettivo è stato raggiunto. La Puglia non solo non tradisce mai, ma non fa scherzi.

  • Art & Culture

    Parasitism Wins the 2020 Oscars

    Bong Joon-ho’s film about a working class family who infiltrates a wealthy one also took home the award for Best Screenplay, Best Director and Best International Feature. “After winning Best International Feature, I thought I was done for the day and was ready to relax,” said the director, visibly surprised. “When I was young and studying cinema, there was a saying that I carved deep into my heart which is: The most personal is the most creative. That quote was from our great Martin Scorsese. And when people in the US were not familiar with my film, Quentin always put my films on his list. I would like to get a Texas Chainsaw, split the Oscar trophy into five, and share it with all of you.”

     

    The Academy wanted to signal a change this way, by awarding a foreign language film for the first time and taking a step towards inclusivity. Parasite’s dystopic reality, composed of a poor and run-down city on one side, made of dirty alleys which house, inside a basement, the ragged Kim family, while on the other lies the lavishly modern Park home, shows the effects of the diffusion of capitalism in terms of social separation and pronounced inequality. A universal tale, which apparently convinced the reluctant members of the Academy to take note of the current global situation, where in the desperate attempt to get a slice of the social product, the most immediate solution is parasitism, a transversally immoral culture, which involves the poor as much as the rich. 

     

    The film, which features Gianni Morandi’s song “In ginocchio da te,” beat Ford v Ferrari, The Irishman, Marriage Story, Little Women, 1917, Once Upon a Time in Hollywood, Jojo Rabbit and crowd favorite Joker. Todd Phillips’ film made it to the Oscars with 11 nominations, the results of a democratic choice that the jury had to make, unable to ignore the fact that Arthur Fleck’s descent into madness leading to his transformation into a blood-thirsty clown reached the highest numbers in box office history. 

     

    Because Joker is a disturbing, violent film. Someone from the Academy even said it incited and celebrated homicide. Giving it Best Picture would have meant making America face the most perverse elements of its society. The fact remains that Joker was the first DC comics film to receive a Best Picture nomination. And Joaquin Phoenix won the well-deserved title of Best Actor for his interpretation of Arthur Fleck. In his speach, Phoenix called the audience to fight for “rights” and against “gender inequality or racism or lgbt descrimination.”

     

    “We've become very disconnected from the natural world and many of us are guilty of an egocentric worldview. We go into the natural world, and we plunder it for its resources. We fear the idea of personal change because we think that we have to sacrifice something. But when we use love and compassion as our guiding principles, we can create, develop and implement systems of change that are beneficial to all sentient beings and to the environment.”

     

    Renée Zellweger won Best Actress for Judy. 1917, favored on the eve of the show, received three Oscars (Cinematography, Sound Mixing, and Visual Effects). Joker took home two awards (besides Phoenix, Hildur Guðnadóttir won Best Soundtrack). The same goes for Once Upon a Time in Hollywood (Best Supporting Actor, Brad Pitt, and Best Production Design) and for James Mangold’s Ford vs. Ferrari (Film and Sound Editing). One Oscar went to Noah Baumbach’s Marriage Story (Best Supporting Actress, Laura Dern), to Little Women (Costume Design), and Bombshell (Makeup).

  • Arte e Cultura

    Il parassitismo vince agli Oscar 2020

    Il film di Bong Joon-ho su una famiglia a basso reddito che si infiltra in una benestante, si è portato a casa anche il premio come Miglior sceneggiatura, Miglior regia e Miglior film straniero. “Pensavo che, dopo aver vinto come miglior film internazionale, la serata fosse finita”, ha detto il regista visibilmente sorpreso ed emozionato. “Mi stavo rilassando, grazie mille. Quando ero giovane si diceva: più si è personali, più si è creativi. Una citazione del grande Martin Scorsese. E quando qui negli Stati Uniti mi dicevano di non conoscere i miei film, Quentin Tarantino li metteva tra i suoi preferiti. Vorrei avere una motosega e condividere questo Oscar con tutti voi".

    L’Academy ha voluto così inaugurare un cambio di rotta premiando per la prima volta un film non in lingua inglese e compiendo un ulteriore passo avanti verso l'inclusività. La realtà distopica di Parasite, dove da una parte c’è la città povera e fatiscente, attraversata da vicoli sporchi nei quali, in un seminterrato, vive la povera e sgarrupata famiglia Kim, dall’altra, invece, l’avveniristica casa dei Park, mostra abbondantemente gli effetti della diffusione del capitalismo in termini di disgregazione sociale e forti disuguaglianze. Una storia universale che sembra aver convinto i recalcitranti membri dell’Academy a prendere coscienza dell’attuale situazione globale dove nel disperato tentativo di accaparrarsi una fetta del prodotto sociale la soluzione più immediata è quella del parassitismo, una cultura immorale di tipo trasversale che coinvolge i poveri quanto i ricchi.

    Parasite, nel film c'è la canzone di Gianni Morandi, "In ginocchio da te", ha battuto, Ford v Ferrari, The Irishman, Marriage Story, Little Women, 1917, C'era una volta a Hollywood, Jojo Rabbit e il grande favorito Joker. Il film di Todd Phillips è arrivato agli Oscar con ben 11 candidature, frutto di una scelta democratica che i giurati hanno dovuto compiere non potendo ignorare che la discesa di Arthur Fleck nel vortice della follia fino alla trasformazione nel sanguinoso clown rappresenta ad oggi il più alto incasso della storia tout court. 

    Perché Joker è un film disturbante, violento. Qualcuno all’Academy l’ha persino definito un incitamento e una celebrazione dell’omicidio. Premiarlo come miglior film avrebbe significato mettere l’America di fronte agli elementi più perversi della sua società. Rimane il fatto che Joker è stato il primo cinecomic DC a ricevere una nomination come Miglior Film. Ad Arthur Fleck, interpretato da Joaquin Phoenix, va il premio ampiamento meritato come miglior attore. Nel suo discorso, Phoenix ha lanciato un appello a lottare a favore dei "diritti" contro «le diseguaglianze di genere, il razzismo, o la discriminazione Lgbt». «Siamo così disconnessi dalla natura, con un punto di vista egocentrico - ha sottolineato - che andiamo nella natura e la distruggiamo. Commettiamo crimini contro gli animali. Abbiamo paura dell'idea di cambiare, ma dovremmo usare l'amore e la compassione come principi di guida».

    Gli altri film e il premio a Renée Zellweger per Judy. 1917,  favorito alla vigilia, vince tre Oscar (fotografia, sonoro ed effetti speciali). A due Oscar si fermano Joker (oltre a Phoenix come miglior attore, c’è la colonna sonora dell’islandese Hildur Guðnadóttir); C’era una volta ad Hollywood (Brad Pitt come miglior attore non protagonista e production design). Due Oscar come montaggio e sound editing per Ford vs. Ferrari di James Mangold. Un Oscar per Marriage Story di Noah Baumbach (Laura Dern come attrice non protagonista); Piccole donne (costumi) e Bombshell (trucco).

  • Art & Culture

    The Elena Ferrante Phenomenon Returns to the Small Screen

    The second season of My Brilliant Friend, the television show directed by Saverio Costanzo and based on Elena Ferrante’s best-selling saga, will be shown in Italian theatres on January 27, 28, and 29. 

     

    The first season, a hit both in Italy and abroad, tells of the friendship between Lila and Lenù (the nickanames of Raffaella Cerullo and Elena Greco), which begins during their childhood in a popular Neapolitan neighborhood in the 60s and follows them throughout most of their lives. From 1950 to 2010, from 6 to 66 years of age. Their relationship is what holds the story together, a friendship that drifts and reunites throughout the years, at times tainted by rivalry and competition. 

     

    Saverio Costanzo, along with Alice Rohrwacher - who was called to direct episodes 4 and 5, knows how give the show a slow but consistent rhythm, bringing to a boil the terrible amalgamation of envy upon which the friendship between two oppressed women in search of their emancipation is inevitably built. Love and resentment, openness and egoism, confessions and secrets, cohabitation and detachment all follow each other, intertwining throughout their tempentuous relationship.   

     

    The direction makes sure to adopt a female perspective that reveals the ferocity faced by women without confininh them to the stereotypical role of victims, without turning the narrative into a pathetic sob story. In the second season, we follow Lila and Lenù’s youth. The two friends vacation in Ischia where they have an encounter that will forever change both of their lives, projecting them on different paths.

     

    One of the show’s most impressive aspects is Costanzo reconstruction of the Neapolitan context. The backdrop is the Naples of the boom years, before urbanisation and industrilization, a reality in which the archaic and the contemporary coexist and mix.  

     

    A great European metropolis, where faith in technology, in science, in economic development soon proved to be completely unfounded. Elena and Lila’s initiation defines their relationship - before anything else - as an oath of solidarity against the violence of their neighborhood, the Luzzati Rione. 

     

    However, the novelty and power of the second season - as of the first one - is Costanzo’s courage and creative intelligence in managing to sabotage the genre’s serial nature: the episodes remain open-ended, the assassins or kidnappers aren’t found, the disappearences remain unexplained. A sour and uncomfortable tale, which manages to grasp a collective feeling, the need for a narrative that can show us the dark innerworkings of our contemporary existence.

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