Articles by: Daniele demarco

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    Quell'identità che parte dall'altro

    Si può ancora affermare, come Don Chisciotte, “Yo sé quien soy” (Io so chi sono)? È’ con questo interrogativo che lo scrittore triestino Claudio Magris ha chiuso ieri sera la sua prolusione sul concetto di identità tenuta all’Istituto Italiano di Cultura di New York. Singolare che a parlare di identità, proprio nel bel mezzo delle celebrazioni per il centociquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, sia un autore così poco identificabile con il contesto letterario nazionale. Germanista e saggista, esperto di cultura ebraica e scandinava, Magris è, infatti, considerato tra i più notevoli eredi del pensiero mitteleuropeo e cioè di quell’arcipelago culturale che, fino al 1914, ha ruotato attorno alle istituzioni dell’ex Impero Austro-Ungarico. Si, proprio quell’Austria che, per decenni, ha rappresentato l’altro, l’oppressore, il nemico giurato dell’identità nazionale italiana. Come giustificare, dunque, la propria presenza di fronte al folto pubblico presente in sala?
     

    Rispondendo alle domande rivoltegli da Edwin Frank, editor del New York Review of Books, Magris ha spiegato che “è proprio a partire dall’altro che noi costituiamo la nostra identità”. “Se tu mi chiedi di parlare di me – ha sottolineato l’autore triestino rivolgendosi a Frank – io descrivo prima di tutto ciò che mi circonda. In caso contrario sarebbe sufficiente esibire un documento d’identità, un codice fiscale, una carta di credito”. Ma un uomo, una comunità, un paese non sono soltanto numeri. Da qui il senso della prolusione che per circa quaranta minuti ha tenuto inchiodato alle sedie il pubblico presente all’Istituto Italiano di Cultura.
     

    Magris ha proposto un colto e mirabolante excursus nella letteratura europea attraversando il pensiero di tutti quegli autori (Musil, Kafka, Dostoevskij, Celan) che hanno fatto del concetto di identità il centro di una riflessione critica. “Tra la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento - ha ricordato lo scrittore triestino – il pensiero e la cultura europea sono diventati un caos di idee. Come le sfoglie di una cipolla sono caduti, a uno, a uno, tutti i fondamenti del pensiero filosofico. Infine non è rimasto più nulla. Ed è proprio con quel nulla che, nel XX secolo, si è voluto descrivere il concetto d’identità”.  “Oggi il problema identitario è racchiuso in una contraddizione: quella tra essere e voler essere”, una contraddizione destinata a rimanere aperta.
     

    Da questo punto di vista, sottolinea Magris, citando lo scrittore napoletano Raffaele La Capria, i racconti migliori del nostro tempo sono quelli falliti, quelli che, cioè, non riescono a dare senso al mondo e quindi si aprono a tutte le crisi e a tutti gli interrogativi, persino quelli più problematici. Valgono, dunque, per tutti le parole del giovane Kim, protagonista dell’omonimo romanzo di Rudyard Kipling: “Io sono Kim, io sono Kim. E che cosa è Kim?”. La scoperta dell’Io, ne deduce lo scrittore triestino, non può condurre oggi ad alcuna certezza. Cercare la propria identità equivale a gettarsi in un mare di interrogativi o, in quella che in gergo filosofico viene definita “complessità”.
     

    Si chiude con queste parole l’ennesimo incontro a sfondo filosofico ospitato dall’Istituto Italiano di Cultura di New York, un incontro che, come ha ricordato il direttore Riccardo Vitale, è stato preceduto solo pochi giorni fa dall’intervento di Umberto Eco e Maurizio Ferraris sul problema del post-modernismo. Claudio Magris continuerà  la sua tourneè americana alla Casa Italiana Zerilli Marimò.

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    Erri De Luca. L'americano napoletano

    Si sente americano nell’aspetto (eredità di una nonna emigrata in Italia dall’Alabama), ma napoletano nell’animo, coltiva una grande passione per la montagna e l’alpinismo, ma porta il mediterraneo del cuore. Da non credente (anche se non si considera ateo) frequenta la Bibbia con la stessa quotidianità con cui si può bere un espresso italiano.
     

    È Erri De Luca che si presenta così al pubblico newyorkese.  Lo scrittore partenopeo, intervistato da Silvia Bizio, corrispondente dagli States per La Republica e L’Espresso, ha presentato alla Casa Italiana Zerilli Marimò “The day before Happiness”, edizione americana (by Other Press) del libro del 2009 “Il giorno prima della felicità”. Si tratta di un excursus nella memoria, di un viaggio in una Napoli conosciuta attraverso racconti tramandati oralmente di generazione in generazione: la Napoli già resa celebre dalle commedie di Eduardo De Filippo e dai libri di Curzio Malaparte.
     

    Il libro è ambientato nel 1943, anno cruciale della Seconda Guerra Mondiale. La città è occupata dall’esercito tedesco che si prepara a una veloce ritirata verso Nord, mentre gli Alleati risalgono lo stivale da Sud. La gente si rintana nell’underground metropolitano per sfuggire da un lato agli occupanti che minacciano rastrellamenti della popolazione maschile e, dall’altro, agli incessanti bombardamenti americani. A tutto ciò si aggiunge, inaspettata e devastante,l’eruzione del Vesuvio. Lo scena rio è drammatico, ma, allo stremo delle forze, la popolazione trova la il coraggio di insorgere contro i tedeschi. È l’inizio delle Quattro Giornate che preparano la Liberazione. Una liberazione che i partenopei, i primi in Europa ad insorgere contro l’esercito nazista, realizzano in completa autonomia e che varrà alla città di Napoli la medaglia d’oro al valore militare.

    Lo scrittore partenopeo non ha conosciuto quegli eventi se non attraverso il racconto della madre, ma ha vissuto altri drammi e altri conflitti: quello politico e sociale maturato nell’Italia degli Anni di Piombo, quando era un militante di Lotta Continua e poi la guerra nella ex Jugoslavia di cui ha fatto esperienza diretta nel periodo in cui collaborava con i volontari che soccorrevano i civili in Bosnia.

    De Luca ha ricordato di tutte queste esperienze di fronte a una platea attenta e curiosa.

    Nel corso del dibattito con il pubblico lo scrittore partenopeo ha anche  parlato del suo  interesse per la cultura del vicino oriente, un interesse che lo ha portato, negli anni a studiare, da autodidatta, l’ebraico antico e tradurre la Bibbia dal testo originario.

    Il direttore della casa italiana, Stefano Albertini ha chiuso la serata leggendo alcuni brani di De Luca davanti ad un'audience molto attenta. Presenti nell'auditorio anche molti nomi del mondo della cultura newyorkese.