La speranza dell'Epifania, oggi

Gennaro Matino* (January 05, 2015)
Una notte incantata, quella della Befana, ma non per questo non seriamente adulta, spazio controcorrente al tempo che viviamo, un tempo che ci costringe a concretezza arida, a fare a meno dei sogni, quasi a sentirci in colpa se ancora ne sentiamo il bisogno. Abbiamo assassinato i sogni e con loro la gentilezza, materia prima per sognatori.



FESTA per gli occhi, sorrisi al risveglio per sorprese. L'Epifania è un grande dizionario di parole gentili che nel significato dato al dono aprono scrigni di futuro, parole che reclamano anche per gli adulti un tempo di innocenza che duri per tutta la vita. Una notte incantata, quella della Befana, ma non per questo non seriamente adulta, spazio controcorrente al tempo che viviamo, un tempo che ci costringe a concretezza arida, a fare a meno dei sogni, quasi a sentirci in colpa se ancora ne sentiamo il bisogno. Abbiamo assassinato i sogni e con loro la gentilezza, materia prima per sognatori.

 

Ho letto da qualche parte che la gentilezza è la Vita che invita la vita stessa a danzare a un ritmo tale che la bellezza e la pace risuonano fino a spegnere ogni eco disarmonico. La gentilezza è il sapore dell'umanità che penetra nel cuore degli eventi. Gentile è essere amorevole, offrire una relazione che permetta a chi la percepisce il valore dell'umanità come assoluto, dignità da non poter sopprimere. Senza gentilezza i sogni diventano incubi, senza sogni svanisce ogni gentilezza. La speranza è vinta quando si ha vergogna di sognare, soprattutto quando manca chi provochi i sogni e chi li sappia interpretare. Visionari di futuro pronti a raccontare agli smarriti di cuore la rotta, la meta. Quanto ne avrebbe bisogno la nostra città, quanto il nostro meridione!

 

Vasco canta la vita, la ricerca di un senso che le dia ragione, anche se per lui questa vita un senso non ce l'ha. Chi sogna invece può sempre dire che la direzione della sua vita l'abbia trovata nei suoi ideali, nella lotta per realizzarli. I cantastorie che oggi vanno per la maggiore, quelli che il pubblico applaude, osanna, raccontano per lo più tragedie, sventure, naufragio di umana avventura. Perché meravigliarsene se abbiamo massacrato il futuro, perché rammaricarcene se non abbiamo più da spartire parole di speranza? Più la notizia è estrema per presagio negativo, per previsioni catastrofiche, più l'audience s'impenna. Eppure non siamo nati per disperare, il nostro pane da spartire non è il pessimismo, i cassetti della nostra memoria sono pieni di sogni da raccontare, lo sono ancora, ma la paura di aprirli, la vergogna di essere derisi è così forte che ci manca il coraggio di condividere quello che da tempo teniamo celato.

 

Troppi dotti a dissertare sulle altezze della sola ragione, del suo primato sulla fantasia, diverso dal tempo in cui proprio alla fantasia avremmo voluto dare potere. Troppi politici a banchettare sui sogni rubati e garantirsi il facile bottino sui vinti e sui perdenti, lontani dal tempo in cui la politica era il servizio più alto per dare ragione ai sogni comuni. Anche la Chiesa, nata per essere ministra dei sogni degli ultimi, da madre del coraggio degli afflitti è diventata amministratrice notarile della realtà, pronta a elencare ad uno ad uno i limiti dell'uomo per poi giocare sul suo senso di colpa, piuttosto che mostrargli il conto già saldato dalla misericordia del Primo sognatore. Ai bambini fa bene raccontare della Befana, della sua scopa volante, della notte incantata consegna di festa. Da adulti resta il suo intimo significato che racconta che c'è più gioia nel dare che nel ricevere.

 

Resta il valore profondo del viaggio fatto dai Magi, sognatori d'oriente, che inseguendo la luce hanno superato la notte. Portatori di futuro che nei doni consegnati al cielo, oro, incenso e mirra, significavano il desiderio di riscatto per l'intera umanità. Non una favola ma una speranza coraggiosa contro ogni speranza che vede possibile il riscatto dell'uomo benché le sue prove, benché i suoi fallimenti. Tutto sta nel lasciare la sicurezza dei propri giacigli, tutto sta nel coraggio di intraprendere il viaggio mossi dalla curiosità dell'oltre. L'Epifania non nasconde la mirra del dolore, non è una festa bugiarda, non fantastica sulla fatica del vivere. La vita è costante prova di amarezza, ma dimenticare il bene ricevuto, che neppure il dolore può cancellare, è vivere contro la verità. La mirra di ogni croce indubbiamente resiste, ma c'è l'oro insieme con la mirra, c'è l'incenso, straordinario bagaglio di ricchezza e spiritualità che l'umano conserva nel suo genio e nella sua operosità, malgrado ogni crisi, contro ogni profeta di sventura. Epifania è visione di futuro per recuperare la via perduta della gentilezza, sogno per originare pace nei pensieri e sperare che nella calza della propria vita trionfi l'uomo giusto. Visionari di futuro pronti a raccontare agli smarriti di cuore la rotta, la meta. Quanto ne avrebbe bisogno la nostra città

* Gennaro Matino  è docente di Teologia pastorale e insegna Storia del Cristianesimo presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Editorialista di 'Avvenire' e 'Il Mattino'.  Opinionista di 'La Repubblica". Parroco della SS Trinità. Il suo più recenti libri: “Economia della crisi. Il bene dell'uomo contro la dittatura dello spread" (Baldini & Castoldi - 2013) e "Tetti di Sole" (2014).


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