Quelle cose non dette di noi donne

Letizia Airos Soria (March 08, 2021)
Dovremmo tutte condividere non solo i nostri momenti di successo, dovremmo proporre al mondo il racconto della nostra quotidianità fragile ma coraggiosa, quella quotidianità che la cultura dominante ha lasciato da parte per celebrare un eroismo che ha una matrice e narrativa maschile.

Ci sono molte cose non dette sulle donne, cose non dette da noi donne e certo da chi non è donna. Guardiamo la vita come se si dovessero osservare solo gesti importanti, gesti eclatanti, poi c’è la vita di tutti i giorni, quella vita nascosta. 

Vi vorrei parlare di questa vita nascosta, vita legata all’esperienza personale, di quelle cose che in genere noi donne non raccontiamo mai perché pensiamo siano piccole, troppo piccole per essere raccontate.

Vi voglio parlare di me, mia madre. mia nonna, il mio lavoro, delle persone che ho incontrato e di quelle che non ho incontrato. Vi voglio parlare della vita,  di quella vita che tutte quante noi viviamo giorno dopo giorno accumulando, accumulando, accumulando pensieri, reazioni cose non dette, che teniamo dentro per andare avanti.

Il primo impatto sofferto con l’universo maschile l’ho avuto quel giorno, del mio diciottesimo compleanno, in cui mio padre protestò per un abito forse troppo trasparente. Non lo aveva mai fatto, ma la mia maggiore età lo aveva messo in crisi. Sua figlia diventava una donna e lui perdeva il controllo della sua vita. 

Ricordo che reagii ma non tanto, rimasi in silenzio,  qualcosa stava cambiando e non lo capivo. Per me sarebbe stato uno spartiacque, da quel momento tutto sarebbe stato diverso. 

Quella figlia, donna, avrebbe attraversato diverse fasi della sua vita, avrebbe combattuto, a volte vinto, avrebbe intrapreso spesso strade non proprio facili e lo avrebbe fatto tradendo in qualche modo, il desiderio, del proprio padre riassunto in una frase “Quando fai una cosa guarda sempre dove vuoi arrivare”. 

Ecco, questo non l’ho fatto, ho sempre intrapreso un percorso guardandomi intorno, facendo attenzione alle persone che avevo affianco e che incontravo, pensando al viaggio che intraprendevo e non puntando solo alla meta. 

Ho infatti cambiato spesso strada, pagandone ovviamente tutte le conseguenze. E ci sono stati tanti momenti di silenzio, momenti normali per noi donne, spesso momenti molto sofferti. 

Ti accorgi troppo spesso che essere una donna completa vuol dire entrare anche in un campo maschile fatto da uomini e per uomini. Ho subito diversi atti poco gradevoli da parte di uomini, ne sono uscita sempre anche se con qualche ferita.  La cosa che più pesa è quel sentirsi un pesce fuor d’acqua e combattere per respirare senza le branchie che gli altri hanno e che tu non vuoi. E queste branchie, purtroppo, le vogliono anche le donne. 

Ti accorgi che non ce le puoi fare perché in certi contesti non sei prevista. La tua diventa una battaglia silente perchè non vuoi usare le armi che gli altri usano. Prendi tutto il tuo coraggio silente e vai avanti.

Mia nonna Maria  era una donna coraggiosa che, dopo aver sposato un uomo che non conosceva il giorno prima del matrimonio, lasciata la Sicilia è andata a vivere a Roma. In questa città che avrebbe di li a poco affrontato la seconda guerra mondiale, è  riuscita a crescere i suoi figli per arrivare a festeggiare, anche se troppo tardi, il giorno del referendum per il divorzio. 

Ha accumulato certo tanti momenti di silenzio che non ha raccontato neanche alla sua migliore amica.  Io da nipote ho cercato di saperne di più, ma dovevo accontentarmi di cenni tra le righe.

Mia madre, Concettina, dopo aver combattuto per studiare contro suo padre, che voleva solo il figlio maschio laureato, ha lasciato un’ottima carriera universitaria per dedicarsi alla famiglia continuando ad insegnare nelle scuole medie. Quanti sono stati i suoi silenzi? Quanti sono stati i momenti coraggiosi al contrario? Cosa significava per lei combattere andando avanti in silenzio? Tutto questo per non rompere un equilibrio che allora sembrava necessario.

Dovremmo tutte condividere non solo i nostri momenti di successo,  dovremmo proporre al mondo il racconto della nostra quotidianità fragile ma coraggiosa, quella quotidianità che la cultura dominante ha lasciato da parte per celebrare un eroismo che ha una matrice e narrativa maschile.

I social potevano essere un bel luogo per proporre storie vere, ma anche qui il protagonismo e soprattutto l’accodarsi a chi ha successo hanno preso il sopravvento.

Mettiamo fuori tutte le nostre piccole debolezze, solo così possono diventare forza. La forza della dolcezza, la forza delle nostre fragilità, la forza dell’umanità.. 

Ho perso contratti di lavoro, partner di lavoro e  anche amici,  anche io a volte ho dovuto sopportare quello che sembrava essere un mondo predominante. Ho schivato advances poco eleganti e anche discriminazioni, tutto sommato sembravano blande, ma con il senno di poi so che una dietro l’altra hanno condizionato il percorso della mia vita. 

Il racconto, solo del periodo in cui ho fondato i-Italy, testata che dirigo anche attraverso tante difficoltà, potrebbe essere lungo e dettagliato.

Mi sono immersa in un mondo maschile, ho deciso di rimanere come sono, ho pagato tutto questo e  forse anche io sono stata troppo in silenzio. La normalità va raccontata perché è un atto eroico, perché è un eroismo che contrasta quello imposto dalla cultura predominante. Cultura subdola di cui spesso non ci rendiamo conto, a cui siamo abituate. Cultura che ci vuole trattare da sub-cultura.

Non lo sapevano mia madre e mia nonna, a lungo non me ne sono resa conto neanche io, non se ne rendono conto troppe donne ancora, donne che hanno paura di riscrivere la vita con le loro priorità, con la loro sensibilità. 

Dico a tutte: proviamoci. Scrolliamoci di dosso la retorica maschile delle ‘eccellenze’ che, purtroppo va tanto di moda negli ultimi anni.

E non dimentichiamo la grammatica italiana,  Il recente caso della musicista  Beatrice Venezi al festival Sanremo fa pensare. Ha detto di voler essere definita ‘direttore’.  Ho come l’impressione che lo abbia fatto per non sentirsi sminuita. Anche lei succube di un mondo al maschile. Di una retorica. Tutto questo non rende onore non solo alla ricchezza della lingua italiana, che prevede genere maschile e femminile, nasconde anche considerazioni e conquiste nella contrapposizione/dibattito tra generi. IL suo appellarsii ‘direttore’ invece di ‘direttrice'  non aiuterà certo ad aumentare il coefficiente terribilmente scarso di donne direttrici d'orchestra. 

 
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