Dai loft di Soho ai lounge di Roma: ArtRom, l’intimità domestica dell’home gallery all’ombra del Cupolone...

Francesca Di Folco (June 12, 2012)
“There is no place like home” questo il lead col quale l’art dealer californiana, Elizabeth Genovesi, adibisce il suo appartamento a galleria casalinga. Le chiavi del successo? Familiarità, stringere legami d’amicizia, vivere l’arte. i-Italy ha poi incontrato Denise Shaw, performer newyorkese che ha condiviso con noi la sua passione per la pittura su tela.

E’ un intenso charm d’americanità quello che ci avvolge in una sera d’inizio estate nel quartiere Prati a Roma, zona nord est della Capitale. Varcando la soglia di via Faiti, dietro le parvenze di un ordinario appartamento, ci troviamo circondati di frammenti d’arte internazionale, contornati da art style newyorkese, inebriati dallo spirito di una home gallery stile downtown Manhattan, nel cuore della romanità…

Ad accogliere i-Italy tra le luci affusolate e i toni intimi della home gallery c’è la curatrice di ArtRom, Elizabeth Genovesi, californiana di nascita, da lunga data ormai italiana d’adozione.

Giunta nella Capitale del Belpaese, come tutti i turisti del mondo, quest’odierna mecenate statunitense se ne invaghisce in toto, decidendo di soggiornarvi fino a scegliere di mettervi radici. Per l’art dealer Roma è infatti intreccio ideale, unico e indissolubile di art & life, in cui entrambe le sfere si influenzano di continuo, confluiscono l’una nell’altra, plasmandosi a vicenda, forti del contesto storico-culturale italiano crocevia di stimoli senza tempo, spinte propulsive da ogni dove e, a volte, contrasti...

Art passion, intuito creativo, sguardo puntato alle nuove tendenze sono gli ingredienti perfetti di un elisir d’intraprendenza ed ingegno made in Usa, frutto di un’alchimia d’amore per l’arte che valica i confini d’appartenenza per giungere nella location di una home gallery romana...
 

Dalle pareti del lounge pendono chicche uniche: da un lato ceramiche e teiere, piccoli capolavori d’artigianato, dall’altro arazzi dalle nuance sgargianti della newyorkese Denise Shaw. E ancora la bedroom della gallerista si impreziosisce di storyboxes dal contenuto criptico di eclettici autori... Perfino l’ingresso dell’angolo cucina si popola di opere...

Elizabeth Genovesi, home art dealer, ospita art experiences in ogni meandro...

Obbiettivi di questa nuova dimensione espositiva? Semplice, porre rimedio all’attuale modalità di presentazione dell’arte contemporanea non ponendola all’interno di musei dove il l’approccio con il pubblico è freddo, scostante e distanzia lo spettatore dall’esser coinvolto e la confusione degli altri fruitori stressa con i chicalecci sfrontati degli “estimatori del momento”...

Le home gallery, per loro natura, recuperano un ambient di contatto pieno con le arti: si bypassa l’isolamento algido dei musei, aut anche rumours conditi di frenesia della folla lasciando spazio ad una profusione di calma, distensione “domestica” e calore umano per recuperare socialità in un clima di coinvolgimento autentico ma di pochi intimi riuniti...

Il focus è superare wrongs, preconcetti tutti mentali, in cui referenzialità e austerità degli ambienti museali, ergono barriere, ostacoli, limitazioni da “o sei un intenditore oppure non capisci”, perchè tutti possano apprezzare l’indole creativa altrui.

L’arte non è da capire, ma da vivere. Ed ognuno può decidere come…

Sono tante infatti le occasioni ideate da Elizabeth e perfezionate dalla manager Dafne Crocella che offrono un brulicare d’eventi: nel pieno lifestyle dei dedali di Soho, prendono vita reading e writing creativi, dove le opere in mostra diventano spunti per nuove creazioni orali e scritte.

Commenti in libertà, espressi sotto forma di parole d’arte e scrittura, per comunicare emozioni, stati d’animo e sensazioni ispirati dalle opere e condivisi dagli estimatori...

Con le art experiences nella home gallery si spazia dall’osservare in silenzio e vivere l’arte by heart, come suggerisce Slow Art, movimento newyorkese del quale ArtRom è l’unica rappresentante romana, carpendo l’essenza poliedrica dell’arte in solitaria, cogliendo lo spirito caleidoscopico in privacy, quasi un recupero della dimensione singola delle esperienze, fino alla riscoperta di quella collettiva: durante gli incontri di Storytelling, racconti a braccio ispirati alle opere in mostra, i commenti d’ognuno si mixano di figment of imagination in cui l’estro dell'artista diventa motore di creatività dell'osservatore.

L’atmosfera si carica di suggestioni durante gli Artist talk, gli speaking con gli artisti, di cui abbiamo un piacevole assaggio in questa serata di inizio estate con la newyorkese Denise Shaw.

Le luci si abbassano, c’è il sottofondo musicale giusto, s’avverte malia nell’aria: particolari che creano incanto magnetico, invitano al relax, introducono la art maker...

Denise illustra agli ospiti il suo processo creativo, la personale esperienza di vita che ha determinato a più riprese la propria crescita umana e professionale. Nata come grafica e vignettista pubblicitaria, l'artista è passata presto alla realizzazione di opere su tela ispirate alle letture e ai molti viaggi.

… La Shaw incanta narrando che nel suo loft di Soho le tele enormi sono sparse ovunque e per questo onnipresenti nella quotidianità dell'artista...

L’insight dell’arte, per la newyorkese di stanza a Manhattan, consiste nell'appendere le tele ancora vergini nello studio e lasciare che estro, creatività, spirito del momento legati a sensazioni e stati d’animo delinino i tratti degli arazzi. Quando l'immagine appare, continua l’art maker, lei pone le stoffe in terra spargendo i colori su di esse, lasciando molto al caso e solo alla fine consulta il testo di calligrafia cinese per aggiungere ideogrammi e dettagli meno casuali.

Suggerimento a mantener di base la ragione, lasciandosi però inebriare dal sentimento...

L’essenza sfaccettata del quid trapela nel think-tank di questa intellettuale dell’arte: spesso nei suoi lavori sono presenti materiali agli antipodi come lamine d'oro, sabbie, rafia, petali. L'unione tra materie delicate e sostanze minerali più pesanti rende bene la ricerca stilistica riconducibile alla convivenza tra gli opposti.

Il talk della Shaw decolla quando afferma che i lavori creati su tela appositamente per l’exhibition alla Artrom gallery, s’ispirano a quattro Koan sui quali ha meditato.

Questo termine indica lo strumento di una pratica meditativa giapponese consistente in affermazioni o racconti paradossali usati per orientare la meditazione, risvegliare consapevolezza dell’io, favorire l'incontro in cui si rivela la natura ultima della realtà.

Su queste note ascetiche i-Italy ha chiesto a Denise Shaw un’intervista che l’art maker ha gentilmente concesso.

La koan art si forgia più di spiritualismo e meditazione o intuizione, insight ed esperienze non razionali? Quale aspetto prevale?

Intuizione, insight e pensiero non-lineare orientano la mia vita e il mio lavoro.

Abbraccio molte tradizioni ma non le sottoscrivo...

Ho 25 anni di yoga alle spalle, pratica che sviluppa un approccio olistico alla vita: dà responsi attraverso i sensi, la mente, la sfera emozionale. Tutto ciò mi ha resa più ricettiva verso le realtà del mondo, più aperta nel cogliere le verità dei messaggi, per me i koan costituiscono una parabola d’insegnamenti che provoca pensieri e immagini visive...

Nei miei viaggi in Asia sono entrata in contatto con antiche pietre buddiste in interstizi di montagne, piccoli reliquiari nei villaggi più remoti. Il Buddismo è una pratica mentale e psicologica che abilita ad estrapolare guide spirituali dall’intimo di ognuno con il pensiero illuminato.

Il cubista Georges Braques sosteneva: "L’Arte è una ferita che diventa Luce"...  

Per come la vedo i koan risolvono una situazione complessa tramutandola in qualcosa di valore...

In "The Necklace of songs" i tuoi arazzi dipingono scenari. Denise, la tua arte riflette realtà o ti senti un interprete degli ambiti circostanti?

Con The Necklace of Songs traspare l’approccio da occidentale, una mia personale interpretazione delle sculture del tempio a Khajuraho, nel distretto del Chhatarpur di Madhya Pradesh in India dove le sculture millenarie sono figure in ecstasy danzante, amano umani e animali, venerano le forze della natura, atti finalizzati alla ricongiunzione con il Divino.

Ho usato la painting out, tecnica in cui si crea lo strato sottostante, lasciando spazio a caratteri di poemi e immagini circostanti. Il tutto crea memoria e fa emergere significati in superficie.

Hai viaggiato toccando culture molto differenti attraverso India, Cina, Nord Africa, Scandinavia, Europa, le Americhe, Antartico e Artico. Chi o cosa è protagonista nella tua arte? Quale è elemento più importante dal quale prendi ispirazione?

Quando viaggio sono consapevole del disegno, naturale o fatto dall’uomo, in luoghi, paesi e città.

L’ultima esperienza del genere? L’ho avuta proprio mentre stavo visitando la città Eterna e osservavo sul marciapiede dei vasi fatti di rame. Al mio ritorno a New York ho creato Goodbye, hello Roma, usando un leitmotif che riproducesse l’aspetto delle caratteriche strutture. E’ entusiasmante sperimentare l’arte antica romana ancora attuale.

In "The Necklace of songs" la tua arte decodifica frammenti di Cività.Tu vivi e lavori a New York. Realtà a tinte forti e ritmi frenetici della City condizionano la dimensione etnica delle tue opere? Le tue tele sono uno specchio della società statunitense?

Tutti i miei quadri sono creati attraverso esperienze psicologiche, emozionali e intellectually- curious intrise dalle mie origini: sono nata negli Stati Uniti come le generazioni che mi hanno preceduto, genitori, nonni e parenti vari... Ma quando la gente mi interroga sulla mia provenienza, se mi chiede di dove sono e da dove vengo, rispondo: "Io non sono americana, io sono una New Yorker". C’è una grande differenza...

I miei vicini di casa dirimpettai sono israeliani e britannici, gli inquilini del piano di sotto indiani, mio marito è norvegese. La mia indole, le mie idee politiche non sono locali, ma globali...   New York City è un melting pot di etnie, culture, lifestyle from around the world. Un autentico state of mind in cui la dimensione società risponde alla filosofia del “being connected together”...

La media degli americani non ha e tantomeno aspira ad avere questo open minded abroad. Così amo definire le mie opere non un riflesso dell’American life, del born in Usa ma del Manhattan transfer.

New York è caleidoscopica, eclettica e l'artista s'arricchisce, cresce del fascino multietnico. Ci sono aspetti della realtà di vita newyorkesi da cui prendi spunto per la sua arte? Cosa ti ispira della Grande Mela? Quali sono gli effetti sulla tua arte?

Io vivo una vita full of culture. Arricchita di letteratura, film, teatri, impreziosita dalla frequenza nella Society, visite ai musei, a contatto con sfaccettate diversità culturali, viaggio, intervengo a meeting e reading. Tutto questo dall’esterno si riversa in me, plasma il mio essere e trova espressione nel mio lavoro.

La città in sè poi fa il resto: New York è frenesia d'attività, circuito d'emozioni, sentimenti in divenire. L’esistenza nella City è energia adrenalinica. E' un flusso di alchimie artistiche. Poliedricità di scambi relazionali. Questa è la forza trascinante che trasmette: vivere in un mondo globale per me è la sola way of life.

Noi tutti siamo inter-connessi e legati dagli stessi frammenti, differenziati solo dalle sfumature culturali.

Tu hai già esposto a Roma nel 2009 e una delle tue tele è su Pompei. Che differenze/somiglianze ci sono tra l'arte moderna italiana e quella americana?

La tela su Pompei è un omaggio alla città. Per me in Italia, ogni superficie, sia essa muro, dipinto o affresco è sinonimo di storia e antichità. Conosco l’arte moderna italiana ed i periodi con i quali ho più familiarità sono il Futurismo e il Dinamismo. In particolare apprezzo i lavori poetici a colori ad acqua del contemporaneo artista partenopeo Francesco Clemente che ha ispirato alcune mie tele figurative. Stimo Clemente oltre che come professionista affermato nella scena newyorkese, anche sotto il profilo umano perchè non teme l’impegno personale e politico.

Sulla mia stessa linea d’onda c’è lo stile di Jasper Johns, eletto Accademico d'Onore dell'Accademia delle Arti del Disegno di Firenze. La mia affinità con l’arte contemporanea va oltre l’Europa si estende fino al South Africa, con William Kentridge and Marlene Dumas, testimoni dell’apartheid, intrerpreti degli orrendi effetti di questa piaga socio-culturale.

Truth and reconciliation have been confronted and somewhat transformed or at least considered. I think the role of contemporary or modern art is to encourage this expression, the personal and political, the internal and external global conflicts.

Dai disegni delle nuance più ricercate, alle tele dai toni cromatici più elaborati, costellati da caratteri, scritti e simboli, immagini umane, animali e piante alle applicationi su tele, legno, carta, impreziositi con scaglie di pietra pomice, sabbia and foglie di metalli, fino ai disegni di Italo Calvino. Quali aspetti hanno catturato la tua attenzione? Che impressioni ti hanno suscitato?

Italo Calvino dipinge con le parole. Le sue percezioni sono particolari e stupefacenti. Generano tensione tra gli opposti, sia sul versante fisico che simbolico. Questo mood è simile al point of view della mia esperienza artistica: nelle opere uso materiali di natura dissimile, scelgo stili agli antipodi, suscito effetti contrastanti. Ed è anche la mia attitude towards life a New York City...

Calvino scrive di bellezza urbana e descrive la violenza dilagante.

In Città Invisibili, lo scrittore libera il proprio stream of consciousness: "L’inferno dell’esistenza non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme”. Per Calvino fin d’ora invade la nostra quotidianità, rovina gli attimi di ogni giorno, vanifica l’inter-connected e guasta il keep in touch.

Esistano due vie di scampo: la più facile accettare il ricatto dell’inferno sociale, diventare parte di questa realtà distorta, compromessa dalle ingiustizie che, di sicuro, non condurrà a nulla; la più complessa ripudia la collusione con il sottobosco malavitoso, punta al rischio, l’apprensione costante, cercare e riconoscere chi e cosa fa parte o è estraneo alla dark life e portare al cambiamento.

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