Articles by: Emanuela Medoro

  • Arte e Cultura

    Passeggiate romane. Dal Guercino a Caravaggio

    L’inglese Sir Denis Mahon dedicò ingegno e beni alla pittura italiana del barocco. Fu ricercatore, studioso, collezionista di opere d’arte ed anche raffinato attribuzionista. Aveva finezza ed intuito necessari per attribuire al loro autore opere perdute, sconosciute o dimenticate. Donò le opere da lui acquistate alle più prestigiose istituzioni culturali affinché fossero a disposizione del pubblico e degli studiosi, per questo è ricordato anche come il più pubblico dei collezionisti privati.

    La mostra è stata inizialmente pensata dallo stesso Denis Mahon, che nel 2009 manifestò alla Prof.ssa Mina Gregori il desiderio di festeggiare i cento anni con una raccolta dei dipinti che aveva amato nel corso della sua lunga vita. Da notare che il desiderio si realizzò, poiché morì alla veneranda età di 101 anni.

    Informazioni su questa mostra sono largamente disponibili sul web. L’ho visitata come parte di   un gruppo Art- club, guidato da Lavinia Lais, che, con competenza vissuta ed appassionata, ha aiutato i presenti a comprendere la complessità delle opere in esposizione: contenuti, miti, crocifissioni, santi e madonne della controriforma post tridentina, rappresentazione del paesaggio, modi espressivi, tecniche di comunicazione e significati, oltre a storie di committenza, proprietà, trasmissione e diffusione delle opere d’arte e problemi di critica, tutto questo è stato esposto con chiarezza ed efficace comunicativa. Bellissima esperienza, di cui molto mi resta negli occhi e nella mente.
     

    Ricordo un’opera del Guercino, Venere Marte e Amore, in cui Amore lancia la sua freccia non in direzione dei protagonisti dell’opera, ma verso chi la guarda, quasi l’artista volesse dare una realtà immediata al mito creando un collegamento diretto con il mondo esterno. Stupendo il quadro di Guido Reni, Atalanta ed Ippomene, proveniente dal Museo di Capodimonte di Napoli. In quest’opera il movimento slanciato delle membra dei due protagonisti della scena, opportunamente sottolineato da una luce chiara, disegna delle geometrie nello spazio, come una sorta di danza modernissima, leggera, aerea, quasi astratta.

    E poi ho notato che l’arte può nascere anche dall’orrore.

    L’opera Salomè con la testa del Battista di Guido Reni, di una serenità irreale ed astratta, e la Giuditta e Oloferne di Caravaggio, questa di un realismo raccapricciante, hanno un innegabile collegamento con fatti attuali resi noti dai media. Ebbene, quelle sono opere d’arte e mi chiedo: ma veramente possiamo o dobbiamo osservarle prescindendo da ciò che rappresentano? Veramente dobbiamo farne una valutazione solo estetica, ignorando i fatti reali, oggi dimenticati, che furono della nostra civiltà, e che ci fanno orrore quando li osserviamo compiuti nel mondo degli altri? Sono un’ingenua sprovveduta, e non riesco a trovare una risposta a queste domande.  

     
     
     
     
     
            
     
      
     
     
     
     
     
     
     
     
     

  • Fatti e Storie

    Il movimento degli Astri


    Quando l’astro Barack Obama era vicino al suo zenit, la moglie Michelle pronunciò una frase che ricordo bene: “Se riusciamo a portare i neri alle urne, cambieremo la storia degli USA”. Sì il fatto è che bisogna riuscire a portarceli sempre, a ogni tornata elettorale, non solo per le elezioni presidenziali. La base elettorale vincente di Obama è composta principalmente da ispanici, afroamericani e giovani, gente distratta dal vivere quotidiano, che si reca poco alle urne, partecipe sì, ad una tornata elettorale per la presidenza, ma non altrettanto ad una elezione di mezzo termine che rinnova una parte del parlamento, meno emozionante e trascinante di una elezione presidenziale.


    Con un PIL che cresce al 3.50 % all’anno, la disoccupazione che diminuisce con la creazione di 220.000 occupati in più al mese da sessanta mesi, oggi gli elettori rimproverano al presidente di aver lasciato indietro le classi medie, e che la crescita riguarda solo una ristretta fascia della popolazione. Gli rimproverano inoltre la politica estera. Le immagini orripilanti, scioccanti dei tagliagole all’opera, devono aver avuto un forte impatto sugli elettori americani.


    L’America di nuovo si tinge di rosso, ritornano i repubblicani, fieramente avversi alla riforma democratica delle assicurazioni sanitarie, che hanno combattuto con tutti i mezzi a loro disposizione. Anche la salute è parte del libero mercato che crea ricchezza senza alcuna interferenza da parte dello stato.  Lo stato è il problema, non la soluzione, secondo loro, sorvolando su quanto danaro pubblico è stato necessario per rimettere in moto l’economia americana.


     Mi sembra aperta la via alla nota alternativa di governo, tipica della politica americana.  Chi sarà il prossimo Presidente? Chi sono oggi gli astri nascenti nel cielo americano, gli aspiranti alla leadership dei partiti?


    Per i democratici l’astro brilla da parecchio tempo, la leadership del Partito Democratico è saldamente nelle mani della stella fissa Hillary Rodham, ormai sessantenne, sulla breccia da tanto tempo, otto anni alla Casa Bianca come moglie di Bill Clinton.  Sconfitta da Barack Obama nelle primarie del 2008, al termine della presidenza Bush ed all’inizio della crisi profonda di fallimenti di banche e disoccupazione, Hillary aveva   un programma tutto basato su misure di crescita delle classi medie. Chissà se può ancora essere utile rispolverarlo oggi. Riuscirà il suo astro, o quello di un altro democratico, a compiere il percorso verso lo zenit ed attuare misure di crescita più estese, che riguardino fasce più ampie della popolazione?


    Se penso al Partito Repubblicano, temo l’astro declinante ma ancora capace di illuminare, del vecchio John McCain che dice, vinciamo queste elezioni e mandiamo l’esercito in Iraq. Se ce la facesse veramente, che succederebbe? Ancora in circolazione   Mitt Romney, sconfitto da Barack Obama nel 2012, si dice che voglia riprovarci.  Si riparla anche di Jeb Bush, figlio e fratello di presidenti, alla Casa Bianca   sarebbe l’immagine americana di una dinastia regale ereditaria, da far concorrenza ai Windsor inglesi, la sostituzione dell’  idea democratica di merito individuale con quella di famiglia/dinastia.


            


  • Opinioni

    Il mito di Cenerentola

    Un articoletto sulla stampa nazionale ci racconta oggi la finale originale del film Pretty Woman. Secondo il primo copione, il film era intitolato 3000. Lei, Vivian/Julia Roberts una cocainomane volgare e maleducata, e lui Edward/Richard Gere, un uomo ricco, alcolizzato ed incapace di affetti. Vivono una storia triste, senza speranza. Alla fine lui torna a New York dalla sua fidanzata, e lascia a lei 3000 dollari. Vivian li spende per un viaggio a Disneyland insieme ad un’amica, e poi torna a prostituirsi. In questo modo il film probabilmente sarebbe stato un fiasco al botteghino.
     

    Il finale in rosa scelto dalla casa produttrice del film, invece, ha rivisitato il mito di  Cenerentola in chiave moderna, con il lieto fine dell’amore salvifico per entrambi, sia lui che lei, infatti, cambiano in meglio le abitudini di vita. Lei lascia la strada e lui interrompe la trattativa per un affare lucroso che avrebbe messo in ginocchio dei cantieri navali, anzi impegna i suoi capitali per risollevarne le sorti. Il cinema ha dunque confermato il suo ruolo di fabbrica dei sogni, di fabbrica di favole capaci di procurare file di spettatori e sostanziosi profitti.
     

    Traduciamo adesso in italiano il nome del principe azzurro americano, in italiano è Edoardo. E dunque come non pensare, oggi, al nostro Eduardo, autore di drammi mitici nella nostra cultura, la voce del cuore di Napoli?

    E’ sua la storia di Filumena Marturano, nata in un basso affollato della Napoli dei bombardamenti e della fughe nei rifugi, avviata dal padre, ancora ragazzina e semianalfabeta, all’esercizio del mestiere più antico del mondo. Non per strada, ma in una casa ben frequentata, con vistose decorazioni e mobili pretenziosi, anche lei alla fine della storia è felicemente sposata.

    Ma che differenza con l’americana! L’americana realizza il suo sogno in una settimana, la napoletana ci impiega la vita intera, attraverso alterne vicende, in un difficoltoso rapporto, ove le convenienze sociali si scontrano con l’affetto e la passione. L’uomo, avido di danaro e di sesso, incapace di un solido rapporto affettivo, la accetta in casa sua come dipendente a suo esclusivo servizio, senza introdurla nel giro delle sue amicizie. “Ma che razza di uomo sei, ricordi un paio di scarpe e non ricordi la notte in cui hai concepito un figlio”, la frase di Filumena, appassionata, intelligente, perspicace e padrona di sè, che meglio rappresenta ambedue i personaggi. Sophia Loren e Marcello Mastroianni straordinari, memorabili, nel ruolo dei due protagonisti.
     

    Beh, sì, i soldi hanno un ruolo importante nelle due storie, quella di Vivian e quella di Filumena. Tanto per rimanere nella cultura dello spettacolo nel cinema, concludo con la frase di un’altra donna mito, Marylin, che con la voce sottile e sensuale della sua doppiatrice in italiano, cinguettava nel suo famoso film “Come sposare un milionario”: è vero che i soldi non fanno la felicità, ma tengono lontano l’infelicità!

  • L'altra Italia

    L'inglese oltre il i libri di testo. Mario Fratti ed i suoi appunti


    Nel 1975-76 il Consiglio d’Europa emanò una serie di direttive per l’insegnamento delle lingue straniere, definendo il cosiddetto livello soglia/threshold level/niveau seuil, ovvero l’insieme delle competenze e delle abilità comunicative indispensabili per superare la soglia d’ingresso di una comunità straniera.


    Le competenze e le abilità erano definite anche per successivi livelli di competenza fino alla piena padronanza della lingua straniera, diventata nel frattempo quasi una seconda lingua. Indicazioni utilissime per la compilazione di libri di testo e materiali di supporto.


    Da allora in avanti   si è fatta tantissima strada nel campo della didattica delle lingue straniere, oggi addirittura nell’ultimo anno dei licei si parla di inglese/lingua veicolare, ovvero di lingua che dovrebbe veicolare una disciplina, esempio i nostri studenti dovrebbero studiare la storia o le scienze in inglese.


    Dove si andranno   a trovare gli insegnanti per fare questo resta per me un mistero. Inoltre alcune università aprono corsi completamente in inglese, per ampliare il numero delle iscrizioni dall’estero. I ragazzi diplomati nelle nostra scuole o laureati si inseriscono facilmente nel mondo del lavoro in Nord Europa, una nuova emigrazione con valige firmate e senza nostalgia alcuna, data la velocità dei mezzi di trasporto.

    Durante i miei anni di insegnamento, ho sempre scelto libri di testo che rispettavano le direttive europee, con risultati soddisfacenti per chi amava la disciplina e si applicava allo studio. Però viaggiando e contattando gente parlante l’inglese lingua madre, mi sono sovente accorta di trovarmi di fronte a delle realtà infinite, sfuggenti, inafferrabili. Un fenomeno che può avere esiti diversi a seconda delle persone, alcuni abbandonano spaventati, altri, invece spinti dalla curiosità dell’ignoto, cercano di penetrare il più possibile a fondo il mistero della lingua parlata dai nativi, suoni, parole, frasi, usi. E’ il momento in cui si smette di nuotare in piscina e ci si avventura nel mare aperto.

     
    Uno dei modi per affrontare l’alto mare aperto dell’inglese è ovviamente la lettura di testi scritti da autori inglesi non per insegnare l’inglese, ma per comunicare qualcosa ai madrelingua. Tanti autori inglesi o americani, tanti best sellers popolano i miei ricordi di lettura. Ed ognuno ha le sue frasi sottolineate, quelle che ritenevo degne di essere ricordate. Insomma, lo studio di una lingua è per me un esempio di istruzione permanente/lifelong education. Non basta l’università, non bastano le parole che si imparano facendo i turisti o brevi corsi estivi, quelle restano in aria e volano via.

     
    Un efficacissimo esempio di applicazione costante e tenacissima allo studio di una lingua straniera ci viene da uno dei nostri emigrati, Mario Fratti. Nato a L’Aquila, dove ha frequentato le scuole superiori, si è laureato in lingue alla università Cà Foscari di Venezia, vive a New York dal 1963. Lì si è reso conto che i parlanti nativi usano una qualità di lingua che uno straniero, anche se istruito e padrone della lingua, non riesce a produrre.


    E così, giorno per giorno, leggendo il New York Times, il drammaturgo ha preso nota di frasi prodotte dai nativi, scrivendo su quadernoni dalla copertina nera frasi di lingua inglese   che in genere non si trovano sui testi scolastici. Questa raccolta oggi costituisce per noi un patrimonio tutto da esplorare. Sono un occhio attento alla realtà infinita ed affascinante della lingua parlata e scritta dalle persone colte, che comunicano in modo pieno e idiomatico.


    Dall’immensa ed inesplorata raccolta di frasi compilata da MF, riporto alcuni esempi concernenti   le relazioni umane, ed ordinate nell’ordine alfabetico inglese tenendo conto della parola che dà senso alla frase.                                                  
     

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                                                            RELATIONS
     
     
     Anybody still around?                                     Qualcuno ancora in giro?                 
     
    Have I got your attention?                               Mi vuoi fare attenzione?
     
    So, why is he available?                                  E dunque, perché è disponibile?
     
     Akin to                                                           Affine a                 
      
    Akin to no place                                              Estraneo dovunque
     
     All on your own                                            Tutto/a solo/a
     
    Back off                                                        Tirati indietro/ Piantala!
                     
    You can’t back out of it                                  Non puoi tirarti indietro
     
    A back up plan                                               Un progetto di riserva
     
    He started badmouthing him                         Cominciò a sparlare di lui
     
    Target for barbs and insults                           Bersaglio di pungenti critiche ed insulti
     
    He barged in                                                  Intervenne a sproposito, s’intromise                                   
     
     Soul baring                                                    Aprire l’animo

        

  • Fatti e Storie

    Volti, sguardi d'artista



    Le poesie di Mario Fratti, tutte insieme, quelle del primo Volti più quelle del secondo, sono state recentemente ripubblicate in un elegante volume a cura delle edizioni Tracce, nella collana diretta da Annamaria Barbato Ricci. Il volume è stato presentato all’Aquila il 24 settembre 2014, nell’Aula Magna dell’Università, manifestazione organizzata da Goffredo Palmerini. Il testo è stato letto ed ampiamente commentato dalla professoressa Liliana Biondi dell’Università dell’Aquila e dalla poetessa aquilana Anna Maria Giancarli. Presente la rettrice dell’ateneo aquilano, Professoressa Inverardi. Aggiungo solo qualche nota personale a quanto è stato già detto, senza alcuna pretesa di completezza.  

     
    Lessi per la prima volta le poesie giovanili di Mario Fratti stampate in un semplice volumetto dalla copertina grigia, conservato presso la biblioteca “Salvatore Tommasi” dell’Aquila, allora sistemata nella sede storica nel centro della città. Se ricordo bene, il volumetto era stato donato alla biblioteca cittadina dal padre di Mario, Leone Fratti  negli anni cinquanta, come le prime edizioni delle sue opere teatrali scritte in quel periodo. Ebbi poi occasione di leggere il secondo volumetto di “Volti”, edito negli USA in un formato analogo a quello del primo.

     
    Chiesi a Lui qualche delucidazione su questa produzione, allora già assai lontana nel tempo, e ricordo la semplice frase con cui definì questi lavori: “Non sono poesie, sono bozzetti”.
    Tenendo a mente la successiva abbondante produzione teatrale di Mario Fratti, mi sembra di vedere in questi bozzetti l’inizio di un cammino, il preannuncio dei temi ricorrenti nel suo teatro. Il Suo  sguardo grigio-azzurro si posa sui volti della città natale e su quelli della città lontana e più grande dove ha scelto di vivere: acuto, penetrante, magnetico, severo, ironico, sarcastico, tagliente, ma anche pietoso e solidale, scruta oltre le mille maschere assunte per la difficile sopravvivenza nel quotidiano e vede i volti. Illumina le ipocrisie, le finzioni, la vergogna, il disprezzo e i conflitti, nascosti ed inespressi: i conflitti interiori dell’uomo, quelli fra persone all’interno della   famiglia, fra uomini e donne, fra padri e figli, nella società, fino a giungere, negli anni settanta, a testi di carattere esplicitamente politico, dedicati al situazione del Cile dopo il colpo di stato dei militari.

    Persone e situazioni sono descritte con un personalissimo linguaggio espressivo e comunicativo, fatto di un rigoroso processo di astrazione dalla realtà spazio-temporale dei momenti di vita osservati. Niente fronzoli o parole inutili, i bozzetti sono brevissimi, essenziali, cerebrali, quasi astratti, anche problematici da comprendere. Da notare che la punteggiatura si limita a dividere le parole, o i versi, spesso formati di una sola parola, solo pochissimi bozzetti hanno un punto finale di chiusura. La maggior parte di essi resta dunque aperta, ad indicare fugaci momenti di vita nell’ininterrotto fluire del tempo, il seguito  ignoto ed inespresso.
    Quando in seguito l’artista darà la parola alle persone osservate, in dialoghi o monologhi, quelle diventeranno i personaggi protagonisti della sua vastissima produzione teatrale, drammi e commedie che gli hanno portato premi e riconoscimenti.

     
    Aggiungo, in conclusione, una frase di   Oscar Wilde, che trovai riportata sulla prima pagina di uno dei preziosi quadernoni americani di Mario Fratti filologo, oltre che poeta e artista del teatro. In questi quaderni dalla copertina di cartone nero, dai fogli coperti di una scrittura a mano fitta e sbiadita dal tempo, ci sono studi di lingua inglese, raccolte di frasi create dai parlanti nativi trovate principalmente sul New York Times, di difficile comprensione per parlanti l’inglese seconda lingua.

    La frase è scritta in modo da essere ben in vista: “We all live in the gutters, but some of us look at the stars/Viviamo tutti nel fango, ma alcuni di noi guardano le stelle”, ci dice Mario con le parole di Oscar Wilde. Un pensiero adatto alla comprensione dei suoi   testi poetici. 


  • Opinioni

    L'Aquila. Folla per la Notte Europea dei Ricercatori


    Ho rivisto il centro storico della città affollato come ai tempi pre sisma. Il percorso delle attività organizzate per la Notte Europea dei Ricercatori, esteso dalla Fontana Luminosa fino a Piazza Duomo, per finire in Viale Francesco Crispi, alle cinque del pomeriggio del 26 settembre 2014, era pieno di gente, dappertutto. Non solo adulti, tanti bambini in giro, relativamente liberi dallo sguardo dei genitori, perché nel centro si vedono ben poche macchine.


    Una festa, insomma, per famiglie. Non si festeggiava un santo di quelli popolari che fanno i miracoli, piuttosto una festa laica, la festa della scienza, la ricerca che anch’essa può fare miracoli.

    Sul manifesto della festa, la frase Notte Europea dei Ricercatori è preceduta da una parola in inglese, scritta a caratteri maiuscoli Sharper. Bellissimo l’aggettivo europeo, la scienza unisce e dà una risposta chiara alla ventata antieuropeistica che soffia insidiosa, in conseguenza dell’introduzione dell’euro da alcuni considerata la madre di tutti i mali attuali. Simbolo della festa un tondo con un bel gufetto dagli occhi diseguali che riposa su una mezzaluna fatta di simboli geometrici, provette, segnali, note musicali, fiori, frutti, lampadine e tutto quanto possa rappresentare la scienza. Da ricordare che nella maggior parte delle culture europee il gufo è venerato come simbolo di saggezza e conoscenza; ricordo che Atena, dea greca della conoscenza, aveva un gufo come suo compagno.

     
    Ricchissimo l’elenco delle manifestazioni, 14 di esse titolate in inglese, 11 in italiano.  E qui ho trovato   il significato dell’uso della parola sharper che sta nel logo del manifesto. Essa è usata come segue: Sharper questions, domande chiave, fondamentali nel mondo della scienza. Ho trovato un’altra espressione singolare in inglese, handed brains, alla lettera cervelli con le mani. Ma che vuol dire? In italiano è spiegata così: giovani scienziati con le “mani in pasta”. Provare e riprovare, costruire, disfare, ricominciare: così nascono le grandi idee.
    Le manifestazioni si sono svolte dal primo pomeriggio a notte inoltrata. Ho visto una fila da stadio per il concerto dei Solisti Aquilani, durante il quale Piergiorgio Odifreddi   parlava dei rapporti fra musica e matematica. L’Auditorium del Parco ha 248 posti, per questo concerto c’erano in attesa molte più persone di quante l’auditorium ne potesse contenere. Mi sono messa nella fila, e all’ultimo mi sono trovata miracolosamente dentro l’auditorium, quasi trascinata dal fiume di folla in movimento. Il pubblico è stato affascinato dalle argomentazioni del Professore Odifreddi, sulle relazioni ed i legami tra musica e matematica, spiegate a partire dalla descrizione dei tempi della musica mediante frazioni di numeri, fino ad arrivare alla spiegazione della matematica sottesa alla classica forma curva del pianoforte a coda, ed alle implicazioni numeriche del digitale. Difficilissimo, per pochi, o forse comprensibile per i ragazzi di oggi che a scuola fanno più ore di matematica che di latino. Ho notato con piacere che una ragazza vicino a me, molto presa dal discorso e soprattutto capace di capirlo, proveniva dal Liceo Classico.         

    Una osservazione che ritengo utile per i ragazzi. Ho visto in piazza un tavolo dove alcuni bambini con camici bianchi erano guidati da un adulto a fare degli esperimenti, ed anche tanti altri bambini, in un capannone, che si divertivano a toccare e manipolare macchine ed apparecchiature mai viste.

     
    E’ bene avviare i giovani alla scienza, sono il nostro futuro. Oggi nella scuola dell’obbligo ci sono molte ore di matematica e scienze naturali. Oltre a ciò i giovani prendono subito confidenza con uno spazio geografico più ampio di quello della loro città, uno spazio europeo, quello del loro domani. Per loro riporto a questo punto un pensiero che leggo sulla stampa nazionale. Due economisti Daron Acemoglu e James Robinson hanno stabilito un rapporto diretto fra innovazione e ricerca e risultato economico. Le nazioni che hanno investito di più in Europa, Germania e paesi scandinavi, si sono arricchite; l’Italia e l’area mediterranea che hanno investito poco o nulla, si sono impoverite.  Un rapporto che fa pensare.   



     
     
     
     
     
     
     
     
     
     
     
     
    L’Aquila 27 settembre 2014.
      
                                 


  • Arte e Cultura

    Appunti di viaggio. L'ozio di Capri

    Faticosissime, data la natura dell’isola, rocce altissime spuntano dal mare, coprendosi di pini e fiori. Un bagno in quelle acque cristalline e multicolori è una conquista, ci si può arrivare dai Faraglioni, da Marina Grande, Marina Piccola e qualche altra ripida scala. Arenili, no. Sassi, che richiedono scarpe apposite.

    L’isola è un luogo magico, che realizza il sogno della bellezza del Mediterraneo ai livelli più alti, cosa nota fin dall’antichità. Ancora oggi, la vita di Capri non si esaurisce nell’esibizione dei lussi più stravaganti e costosi di case di moda e gioiellerie per mogli di sceicchi con guardie del corpo al seguito. Ci sono elementi di cultura vera, che vanno dai resti di insediamenti di epoca imperiale romana, attribuiti all’Imperatore Tiberio, a più recenti ville storiche, piene di ricordi del passato della vita dell’isola.

    Da notare che ricche raccolte di reperti storici sono state messe insieme da ospiti stranieri che
    hanno amato e abitato a lungo nell’isola. Unendo alla naturale bellezza locale cospicue risorse materiali e solide culture di diversa provenienza, questi hanno creato un ambiente cosmopolita unico, all’origine della odierna fama dell’isola.
     

    A cominciare dalla villa di Anacapri del medico-scrittore svedese Axel Munthe, appassionato di culture classiche. La villa, con parco super panoramico ricco di vegetazione varia e curatissima, è facilmente raggiungibile con una passeggiata che si snoda lungo un vialetto calmo e distensivo. All’interno una raccolta di reperti in pietra dell’antichità classica, copie e molteplici edizioni delle opere dello scrittore tradotte in lingue di tutto il mondo.
           

    Grande stupore per me un piccolo museo ospitato in un’altra casa storica di Anacapri, La Casa Rossa. Costruita alla fine dell’800 dall’ americano John Clay Mac Kowen, è una delle dimore più singolari dell’isola, essa testimonia la diffusione di uno    stile architettonico eclettico, armonioso e ben inserito nell’ambiente. Oggi ospita una collezione permanente di opere di artisti locali, che ricordano paesaggi e stili di vita scomparsi.

    Più di tutto stupefacenti le quattro statue ritrovate nella Grotta Azzurra. Riporto la descrizione delle statue dal depliant del museo Casa Rossa: “Nella Grotta Azzurra l’imperatore Tiberio stesso, o il proprietario della soprastante villa di Gradola, aveva voluto materializzare nel marmo l’apparizione di un corteo di giovani creature marine guidate da Nettuno. Le statue, benché fortemente alterate dalla permanenza sul fondo del mare che ha cancellato i particolari dei volti e dei corpi, conservano l’originaria vivacità dei movimenti che il riflesso dell’acqua, dalla quale emergevano dalle ginocchia in su, moltiplicava con il movimento della superficie. Lo spazio della grotta delimitato da pareti lasciate intatte fu dunque arricchito dalle statue di personaggi fantastici. E’ forse la massima espressione di ciò che significò Capri per l’Imperatore Tiberio: l’otium, l’immersione nella cultura e nella vita greca che l’isola conservava intatta, e che egli prediligeva in ricordo del giovanile soggiorno a Rodi.”
     

    I musei conservano la cultura del luogo, ma non sono la sola espressione di essa. Parlando di Capri, è impossibile ignorare quei calzolai che lavorano il cuoio producendo sandali solidi e raffinati su misura in pochissimo tempo.  Purtroppo in via di estinzione. Anziani, ormai in età da pensione, non mi pare di aver visto all’opera giovani che possano sostituirli. Eppure, i sandaletti infradito con i listini ornati di strass o di pietre dure sono dei bijoux deliziosi. Anch’essi espressione della costosissima ed italianissima cultura del bello, amata in tutto il mondo. Da proteggere, nonostante crisi, disoccupazione e problemi che ci affliggono.

  • Arte e Cultura

    Il Giusto e l’Errore, una città: l'Aquila




    Apprendiamo da un cartello esposto nel Palazzetto dé Nobili che l’operaio lavora con le mani, l’artigiano con le mani ed in cervello, l’artista con le mani, il cervello ed il cuore. Questo pensiero è attribuito a S. Francesco. Messo in esposizione per una bella mostra del tombolo aquilano, il pensiero mi pare opportuno anche per l’ultima mostra di fotografie di Roberto Grillo, inauguratasi il 23 agosto 2014 nei sotterranei del Palazzetto dé Nobili, ampi spazi ove spesse mura di mattoni antichi si incontrano con recenti strutture di acciaio.


     Secondo la frase sopra citata io sono una volenterosa operaia della fotografia. Dunque è sempre con stupore che ho ammirato le fotografie di Roberto Grillo che evidenziano non solo la piena padronanza tecnica del mezzo espressivo, ma qualcosa in più, un occhio ed una mente originali. Un occhio che in passato ha fissato sulla carta particolari delle architetture dell’Aquila o dei giocatori di rugby in movimento, che i più non colgono. Una straordinaria capacità di mettere in luce geometrie segrete delle mura dell’Aquila, espressioni e movimenti dei volti e dei corpi. Cito ad esempio la raccolta di foto Terrae Motus, scatti realizzati subito dopo il sisma, che hanno trasmesso ai posteri la paura e l’orrore dello sconquasso della città. E l’autore era già, secondo me, al sottile limite che divide l’artigianato dall’arte.


    C’erano cervello e cuore in quelle immagini. Il successivo, esplicito passaggio dallo stato di artigiano a quello di artista è un recente importante salto   di qualità di Roberto Grillo, fatto di creatività, fantasia, immaginazione, costante ricerca di originali mezzi espressivi, libertà di comunicare pensieri e sentimenti.


    C’è un raccontare per immagini, in questa mostra, intitolata il Giusto e l’Errore, una città, due fotografi. Il titolo sembra porre un discriminante fra le due parti, che di fatto sono intimamente connesse.


    Nella prima parte, il Giusto, lo sguardo di Laura Muccilli si posa su particolari della zona rossa dell’Aquila, evidenziando uno speciale gusto per la geometria e la prospettiva delle immagini, sempre limpide e pulite. A colori. I titoli a volte semplici e direttamente rappresentativi del soggetto rappresentato, come la foto di Pluto, il bel cane lupo semi randagio che vive nella zona rossa dell’Aquila. A volte, invece, immagini sorprendenti, come, per es. Pioggia. Si vede una struttura metallica, chiarissima nella forma, coperta di gocce rilucenti. Speranza, sullo sfondo di impalcature di ferro, spicca una fonte di luce. La speranza di non vederle più. Di non vedere più tubi, oggetti abbandonati, mura sostenute da ferri, documentati dall’occhio attento della Muccilli con  particolari precisi, evidenziati ed astratti dal contesto più ampio che li circonda. Questo, il Giusto.


    L’Errore, poi, si spinge oltre il processo di astrazione dalla realtà immediata con un trucco, diciamo così, tecnico, di un artigiano che si fa artista: la miopizzazione delle lenti delle macchine fotografiche, un processo di alterazione delle lenti per vedere la realtà come la vede un occhio miope ed anche astigmatico, credo. E così le geometrie, le architetture e le mura diventano astrazione pura, concettuale, qualcuno ha detto. Difficile, se non impossibile, descriverne il significato, certamente una gioia per gli occhi di tutti. A colori. “Domani”, anch’esso una fonte di luce sullo sfondo, forse a suggerire una speranza. Tonalità del beige a suggerire la “Banalità rassicurante” di una sedia, nel vuoto. Blu e arancione, per “Cuori gonfi”. Complimenti ed auguri, Grillo, per la prossima mostra, un piacere della vita ci aspetta.


                 

     




  • Opinioni

    L'Aquila. A proposito del miracolo di Sant'Antonio



    Il mattino del 13 giugno 1944 gli aquilani si accorsero che i tedeschi invasori erano spariti, lasciandosi dietro carcasse di macchinari e pesanti macchie nere a ricordo degli incendi che avevano bruciato nove mesi di invasione.   “Se ne sono andati”, disse a voce bassa ma ferma mio padre, quando vide il piazzale del garage Pacilli finalmente liberato da mezzi di trasporto, da militari e sentinelle armate fino ai denti e da tutto l’armamentario bellico usato nel periodo dell’occupazione.

    Walter Cavalieri, lo storico aquilano che ha studiato il periodo della guerra e delle resistenza in Abruzzo, descrive così il “miracolo di S. Antonio”: “…Pressata dagli eserciti alleati e minacciata alle spalle dagli uomini della Resistenza, la X Armata tedesca di Kesselring non aveva altra possibilità che il ripiegamento. Altro che “miracolo di Sant’Antonio”! La liberazione dell’Aquila va intesa unicamente come il frutto di una lotta senza quartiere al nazi-fascismo. Con la liberazione finivano nove lunghi mesi di occupazione…” Per una dettagliata descrizioni degli eventi detti “Miracolo di Sant’ Antonio” cito anche l’ultimo libro di Errico Centofanti, Quel giugno di Luce e di Calor, pubblicato da One Group Edition.

     
     Solo ora, dunque, vengo a sapere che la fuga dei tedeschi, la liberazione della città del 13 giugno 1944 passò nella cultura popolare come un miracolo di Sant’Antonio. Un miracolo? Come siamo e come eravamo?  Ho sentito dire per strada, giorni fa, che nelle rovine di una chiesa gravemente danneggiata dal sisma si sarebbe trovato un tesoro, il tesoro dei templari! Se oggi si può anche solo pensare una fandonia di medievalismo leggendario, come meravigliarsi che 70 anni fa si sia creduto a un miracolo? Allora c’era solo l’informazione di regime, la guerra e le conquiste andavano a gonfie vele, la vittoria finale era certa. Andando avanti, le notizie dell’armistizio, tragedie e sbarchi degli alleati lungi dal creare l’idea della sconfitta, alimentavano l’idea dell’arma segreta di Hitler che infine avrebbe trionfato su tutto e tutti.

     
     Eravamo brava gente, dedita al lavoro e alla famiglia, onesta e tenace, tenacemente attaccata alle proprie opinioni. In questo caso le opinioni più diffuse, opportunamente occultate o mascherate dopo cocenti sconfitte e disonorevoli fughe, rimasero vive a lungo. Brava gente, fornita di un’informazione parziale, limitata alle notizie ufficiali diffuse dal regime tramite radio, giornali e proclami stampati nei manifesti, cui si aggiungevano quelle fornite dai sacerdoti, che nelle parrocchie mantenevano stretti rapporti con i fedeli. Preghiere, suppliche alla Madonna, sante messe, rosari, invocazioni ai santi, giaculatorie per ogni occasione, erano parte integrante della vita di tutti i giorni, in una religiosità spesso solo formale, ma radicata a riti di tempi antichi e ricorrenze che scandivano lo scorrere delle stagioni. E allora come non credere ad un bel miracolo del santo del giorno? L’idea di questo miracolo del santo realizzato dagli umani si può considerare una bella manifestazione di religiosità popolare aquilana.     


    Oggi guerra, occupazione e liberazione sono tasselli di un mosaico storico complesso e articolato, ricco di spunti di ricerca e riflessione. Storia già scritta, da scrivere ancora, da conoscere, diffondere e possibilmente far amare dai giovani nati e cresciuti in tempi diversi, affinché quelle vicende non siano solo ricordi di pensionati con i capelli bianchi da rottamare subito, ma diventino il pensiero ispiratore del futuro dei nostri figli.

     
     
     
     
     
     
     


  • L'altra Italia

    L"Aquila. La memoria tra passato e futuro


     Mancava il pubblico, non solo, ma anche i rappresentanti della città eletti dal popolo per il consiglio comunale alla  commemorazione della Liberazione dell’Aquila dall’occupazione tedesca.  Leggo sul post Facebook di uno dei relatori, lo storico Walter Cavalieri, la frase seguente: Consiglieri comunali presenti: Nessuno. Una nota di Goffredo Palmerini aggiunge: Una grande tristezza, stamattina. Tonino De Paolis, unico consigliere presente. Una rondine non basta. Abbondano i commenti degli elettori, in genere negativi.

     Quasi incredibile, per gente portatrice di frammentari, ma vivissimi ricordi personali di vita quotidiana di bombardamenti, razionamenti del cibo, tessere annonarie, blocchetti di un pane nero pesantissimo, sirene d’allarme, coprifuoco, liberazione e di quel che ne seguì. Questi giovani aquilani, uomini e donne che rappresentano la città nel comune, sono nati nell’abbondanza e nel boom della ripresa economica del dopoguerra, hanno avuto una scuola orientativa e non selettiva, professori comprensivi ed indulgenti, l’insufficienza sempre colpa dell’insegnante che non ha saputo insegnare. Oltre a ciò, le favole narrate dalle televisioni pubbliche e private. Sono forti in informatica, materie scientifiche, leggi di mercato, marketing, tendenze e mode dell’economia globale. Un po’ meno della nostra storia recente, memoria di pensionati con i capelli bianchi, gente da rottamare.  E dunque oggi i giovani rappresentanti del popolo aquilano hanno fatto scelte diverse, individuali, secondo necessità o gusti personali.  Semplicemente, non si sono sentiti coinvolti in affari per loro troppo lontani nel tempo.

     
    E allora sforziamoci di conservare il ricordo di ciò che fu e comunicarlo ai giovani, affinché sia linfa vitale dell’oggi e del futuro della città.

     
     La celebrazione della liberazione è incominciata con l’esecuzione dell’inno nazionale fatta da un’orchestra di ragazzi e ragazze dell’Aquila. Non gli studenti del conservatorio, ma studenti delle scuole medie e del liceo a indirizzo musicale. La loro presenza, più e meglio di tanti altri discorsi evocativi del passato, testimonia il cammino e il progresso della vita cittadina. Abbiamo oggi una scuola che può diffondere la musica fra i suoi ragazzi, non solo per eventuali e difficilissimi sbocchi professionali, ma per la diffusione e conoscenza di essa, aspetto rilevantissimo del nostro patrimonio culturale, immenso, fatto di valori e sentimenti. Mettere insieme ragazzi diversi fra di loro per carattere ed educazione per ottenere un suono omogeneo, insomma un suono di orchestra, deve essere un’impresa assai ardua, un mezzo eccellente per contribuire alla rinascita del tessuto sociale della città. Se ne sente il bisogno, ora che tanti cantieri affollano il centro storico. Stimolante la relazione del Prof. Walter Cavalieri sui fatti aquilani dal ‘43 al ’44, che ha ordinato i miei ricordi sparsi e frammentari in un tessuto compatto, ricco di sfumature e spunti di riflessione.  

    Ricordo anche il fecondo esempio di incontro fra memorie del passato e realtà viva di oggi, aperta al futuro, che ha avuto luogo ad Onna l’11 giugno, al termine della celebrazione del settantesimo anniversario della strage di diciassette onnesi barbaramente trucidati dai tedeschi. Una celebrazione partecipata e sentita, svoltasi nel silenzio intensamente commosso dei presenti, ha unito passato e presente, i caduti di allora e quelli, più numerosi, di oggi. Al termine della cerimonia, su indicazione del giornalista Giustino Parisse, c’è stato l’abbraccio, prima esitante e poi intenso e sentito, fra la vice ambasciatrice di Germania in Italia, ed il presidente della pro loco del paese. La rappresentante della Germania, un signora snella ed elegante che parla un buon italiano, a proposito della guerra, in pubblico ha affermato: “Fu una guerra orribile, ideologica e non umana. Ad Onna ho trovato cuori aperti, amici che hanno lavorato con noi, non era facile, grazie.” Lei ha ringraziato gli onnesi per l’accoglienza ricevuta dopo il sisma, quando i tedeschi offersero spontaneamente il loro aiuto al paese distrutto e colpito da tanti lutti. Wir für Onna, Cronaca di un’Amicizia, il titolo del libro di Giustino Parisse che racconta le tappe di questo complesso intreccio di relazioni umane.


              

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