Articles by: Emanuela Medoro

  • Opinioni

    Youth. Memoria e immaginazione


    Youth, La Giovinezza, è l’ultimo film di Paolo Sorrentino.  I protagonisti di questo film sono due artisti ottantenni, amici da sempre ormai in pensione; Fred, musicista e direttore d’orchestra, e Mick, regista cinematografico, interpretati rispettivamente da Michel Caine e Harvey Keitel. Il film, presentato a Cannes, ha ricevuto applausi e qualche fischio nella proiezione della mattina, quella per la critica ed i giornalisti, e un’ovazione incondizionata, invece, nella proiezione per il pubblico non specialista. Mi unisco idealmente al pubblico che ha applaudito senza riserve.


     Youth è un film che tocca il profondo. Il tema principale del film è il trascorrere del tempo, il rapporto tra passato e presente, le   sensazioni attuali e le rielaborazioni delle memorie, l’evoluzione dei sentimenti e delle relazioni umane dalla giovinezza alla vecchiaia.

     Narra di relazioni passeggere, incontri casuali o voluti che si svolgono nell’incantevole paesaggio alpino della Svizzera che circonda un hotel a cinque stelle, frequentato da un élite danarosa e colta proveniente da mezzo mondo in cerca di privacy dorata, cure fisiche, massaggi ed acque termali, camerieri impeccabili e cucina raffinata, frequentazioni interessanti, ma soprattutto passeggiate salutari per il corpo, per la mente ed il cuore, in mezzo al verde curatissimo.


    Indimenticabile la scena in cui il regista cinematografico rivede con la memoria i personaggi cui la sua immaginazione ha dato vita nei numerosi film girati con successo nel corso dei suoi anni d’oro ormai lontani. Li rivede tutti apparire in armonioso movimento su un prato impeccabile. Una fantasia triste, nata nel momento in cui, circondato da allievi desiderosi di ereditare i segreti del mestiere, il regista tenta di mettere in scena il suo testamento spirituale, invano per la imprevista defezione della star da lui a suo tempo creata.


     Memorabile anche la scena del piccolo violinista che parla al direttore d’orchestra, autore del pezzo che sta suonando. Facile e bello, dice il ragazzo, e con le sue osservazioni risveglia nel musicista la voglia di lavorare.  


    Si avverte nello scorrere delle immagini del film ricche di fantasia l’inevitabile espressione della malinconia esistenziale degli anziani, estranei al mondo dei giovani che comprendono, sì, ma da cui sono esclusi. La stessa malinconia che si avvertiva nel film “La Grande Bellezza”, rappresentazione della Roma città eterna imperiale e barocca, oggi decadente ed inerte nella contemplazione di sé, che procurò un premio Oscar a Paolo Sorrentino.


     La bellezza dunque, anche in questo film un valore che trascende il trascorrere del tempo, al di sopra di esso, eterno.  I protagonisti del film traggono conforto ai loro turbamenti nel soggiorno in un luogo bellissimo, per gli spettatori del film, invece, la gioia rasserenante di vedere scorrere quelle immagini.


    La bellezza, un valore eterno. In Italia ogni tanto nasce qualcuno capace di produrla.



  • Opinioni

    Ci riprova




    Sette anni dopo, volgendo al termine istituzionale la presidenza Obama, con anticipo rispetto all’ inizio delle votazioni primarie che eleggeranno i candidati alla presidenza USA per 2016, Hillary Rodham Clinton si mette di nuovo in gara. Vuole, fortissimamente vuole, essere lei la prima donna ad arrivare alla Casa Bianca. Già nel 2008 partecipò alle primarie per la scelta del candidato del Partito Democratico, fu sconfitta da Barack Obama dopo una serrata competizione, non priva di forti punte polemiche. Ricordo che ci fu qualche lacrimuccia per le impreviste sconfitte in un paio di stati ma, dopo il ritiro, durante la Convention del partito tenuta ad agosto, fu proprio lei che, con acuta lungimiranza politica, riconobbe e propose la leadership di B. Obama per acclamazione anziché per votazione a scrutinio segreto.


    Sappiamo come è andata. Il Presidente eletto ebbe la maggioranza nei due rami del parlamento solo nei primi due anni di mandato, nelle elezioni di mezzo termine del 2010 perse la maggioranza al Congresso. Poi fu rieletto, ma ebbe solo la maggioranza al senato, poi ha perso anche quella. Insomma, gli americani si sono fidati di lui solo in parte, si sono sentiti rappresentati da quest’uomo portatore di una sentita etica sociale, oratore brillante dotato di una straordinaria sintassi mentale e verbale, ma gli hanno tolto le maggioranze parlamentari necessarie a governare. Come volessero limitare la sua opera, hanno dato vita ad un periodo di laboriosi compromessi. In questa atmosfera Hillary Rodham Clinton si lancia nella competizione politica.

     

    Uno sguardo ai primi slogan ed alla comunicazione. Non sono particolarmente nuovi o brillanti, siamo all’appello per la mobilitazione dei militanti del partito e delle tifoserie femministe.  Da sottolineare che lei si presenta non con il proprio nome, ma con quello dell’illustre consorte, semplicemente lei è Hillary Clinton. Si presenta con un nome già usato che per molti è una garanzia, ricordiamo che la presidenza Clinton fu un periodo di crescita economica. Durante il primo quadriennio lei, in qualità di First Lady, si adoperò per garantire l’assicurazione malattie al maggior numero di americani possibile. Dovette desistere dai suoi propositi. Poi è arrivato Barack Obama con l’Affordable Healthcare Act che finora ha esteso a quindici milioni di americani l’assicurazione malattia. Legge combattutissima dai repubblicani, per loro il libero mercato è dogma e considerano quella legge un dannosissimo elemento di   socialismo statalista nell’economia americana. Niente stato nel libero mercato, neppure per quanto riguarda la salute.


    Visto che una signora, moglie di ex-presidente, non più giovanissima, nonna da parecchio tempo, navigatissima in politica, vuole correre per la presidenza, ecco subito un altro nome notissimo in gara dall’altra parte, è Jeb Bush, figlio e fratello di presidenti.


    L’ America produce dinastie. Quella dei Bush è la dinastia dei petro-dollari del Texas, e trova la sua espressione politica nel Partito Repubblicano. La dinastia Clinton, peraltro ancora in fieri, invece, è più recente. Nacque negli anni ’60 sull’onda del movimento femminista e pacifista che dalla California si estese a tutti gli stati, e divenne una parte del Partito Democratico. Se vincesse lei, sarebbe una rivincita non solo di tutte le donne, ma anche della terza età. Gli ultra sessantenni non sono proprio da rottamare, vero Matteo?  



  • Arte e Cultura

    Gli arazzi medicei al Quirinale

    L’arte della manifattura degli arazzi fu introdotta in Italia da Cosimo I de’ Medici che importò dall’Olanda tecnici esperti e macchine tessili. Realizzarono capolavori come la famosa serie della Storia di Giuseppe, narrata nella Genesi (Firenze 1545-1553).

       Cosimo de’ Medici commissionò gli arazzi con la Storia di Giuseppe per decorare la Sala dei Duecento a   Palazzo Vecchio in Firenze celebrando il raggiunto potere politico della famiglia. 

    I cartoni preparatori furono commissionati ai maggiori artisti del tempo, il Pontormo, il Bronzino e Francesco Salviati. Furono tessuti dai maestri fiamminghi Jan Rost e Nicolas Karcher.

    Si tratta di venti arazzi, detti all’epoca panni. Dieci di questi rimasero in Palazzo Vecchio a Firenze, altri dieci, invece, per volere dei Savoia dal 1886 furono trasferiti al Quirinale.

    Cosimo de’ Medici prediligeva la figura di Giuseppe, figlio di Giacobbe, ed in lui in qualche modo si identificava. Come è noto dalla narrazione della Bibbia, Giuseppe, figlio prediletto ed amatissimo da Giacobbe, riuscì, nonostante le avversità ed il tradimento dei fratelli, a perseguire posizioni di prestigioso potere politico come consigliere ed interprete dei sogni del Faraone d’Egitto, grazie alle sue alte doti intellettuali ed all’abilità di parlatore. Mise in salvo la popolazione dalla carestia e diede intelligente e lungimirante prova di clemenza perdonando i fratelli che lo avevano tradito.

    Questi arazzi sono una della più alte testimonianze dell’arte e dell’artigianato rinascimentale. Stupefacente l’intreccio e la complessità della illustrazione della storia narrata, che si può cogliere con una necessaria informazione preliminare, osservando attentamente la organizzazione del disegno, la rappresentazione dei personaggi e degli ambienti, i tanti particolari, anche piccolissimi, che li arricchiscono, ed il sapiente uso del colore. Es. Giuseppe è rappresentato con i capelli biondi, il viso ovale regolare ed espressivo e con una veste rossa, le cui tonalità variano a seconda delle luci. Ricchissima la gamma dei colori, tante sfumature di beige, celeste, azzurro e verde.

    Straordinaria maestria di chi li ha pensati e realizzati allora, ed oggi restaurati. In una trasmissione in televisione ho sentito dire che ci vuole una giornata di lavoro per fare un centimetro quadrato di arazzo. Gli arazzi sono stati restaurati in tempi recenti, all’Opificio delle Pietre Dure in Firenze, ed al Centro Operativo per la Manutenzione ed il Restauro degli Arazzi fondato nel Quirinale nel 1995, che ha li ha recuperati in laboratori attrezzati e con personale specializzato. Per la prima volta sono stati esposti   tutti e venti insieme al Quirinale, poi saranno trasferiti all’EXPO di Milano.

    L’Aquila 12 Aprile 2015.       

  • Fatti e Storie

    L'Aquila. Desolazione e speranza




    Via Sallustio di notte, illuminata nella parte centrale, bui i vicoletti laterali, è oggi una immagine eloquente della desolazione del centro storico della città.  I suoi grossi fabbricati, cresciuti negli anni settanta, pulsanti di vita, negozi e abitazioni allora, ora abbandonati e deserti.


    Sopravvivono i lecci, circondati da erbacce cresciute indisturbate. E’ la via perpendicolare al corso dei portici e dello struscio, qui si vedono parecchi cantieri   all’opera, alcuni palazzi storici finalmente scoperti e pronti per l’uso. Ma chi li userà, e come? In questa zona i cartelli vendesi o affittasi sono segno tangibile della dispersione di persone ed attività, che hanno trovato migliori sistemazione altrove, nella vasta periferia post sisma. Professionisti e commercianti, che prima lavoravano in centro, non tornano, almeno per ora.  Insieme, il corso e via Sallustio, immagini eloquente dello stato della città, oggi. Qualcosa è stato fatto, di più, molto di più resta da fare.


    La stampa e le televisioni ancora si interessano allo stato della città. Prevalgono gli articoli che descrivono in toni patetici lo stato di abbandono del centro storico. Ci sono anche iniziative valide, cito ad esempio il convegno su “L’Aquila, post-catastrophic town”, tenuto di recente a Firenze da professori di Storia dell’Arte, e da Salvatore Settis sulla tutela e conservazione dei beni ambientali. Ricordo anche l’inchiesta di Repubblica.it, centrata sulle  conseguenze della improvvisa ed eccessiva espansione del territorio dovuta alla realizzazione delle new towns, che hanno esteso eccessivamente un territorio dove vivono solo 60.000 abitanti.


     Cito come voce fuori dal coro quella di Enrica Strippoli, psicoterapeuta che lavora a L’Aquila, che lei considera una delle città d’Italia dove si si vive meglio, perché ricca di spunti di vitalità e capacità di rinnovamento non comuni. “La situazione in Italia è drammatica: la crisi economica ha bloccato qualsiasi processo di crescita ed è difficile per gli italiani avere speranza nel futuro… Anche qui, all’Aquila, le difficoltà sono molte. Ma quello che abbiamo e che altre città non hanno è il movimento, il fermento, dato dalla ricostruzione in atto… Tutto questo trasferisce un senso di continuità, di speranza nel ‘domani’, prospettive senza le quali l’essere umano si deprimerebbe...Un fermento positivo che genera una creatività che non ha eguali rispetto a prima del terremoto.”


    La selva di gru che si vede entrando in città da ovest, è segno tangibile di speranza per il futuro, soprattutto quando esse sono in movimento. Ecco sì, una speranza per la città sono i cantieri in movimento, gli operai che sciamano per il corso nella pausa pranzo, la confusione delle lingue e dei dialetti, originale e nuova per orecchie aquilane, nate e cresciute entro le mura. Inoltre i cantieri all’opera indicano che flussi di danaro scorrono per muoverli. L’augurio di tutti è che non si fermino per beghe locali, truffe, raggiri, infiltrazioni delinquenziali di varia provenienza, difficoltà, rivalità, invidie e competizioni dannose.


    Una breve osservazione in relazione alla fiaccolata della memoria di quest’anno. Partecipata e silenziosa, appare sempre più un momento di solidarietà cittadina, che oggi unisce tutti e caratterizza, anche per il futuro, l’identità dell’aquilano nella memoria di una catastrofe che ha segnato in modo profondo la storia della città.  

  • L'altra Italia

    Una piscina singolare


                                                              

     Alberto Angela nel suo recente libro “Pompei” ama definire “la Beverly Hills dell’impero”, la zona collinare dei Campi Flegrei intorno a Capo Miseno, a nord ovest del golfo di Napoli, come era ai tempi dell’impero di Roma.


     Era la sede della flotta imperiale, la Classis Miseniensis. L’entroterra era popolatissimo, gente di mare e dignitari dell’impero, ma soprattutto era frequentato da personaggi del calibro di Cicerone, che lì aveva una villa, e da imperatori, attratti dalla natura spettacolare e dal clima mite. Sempre ben collegati con Roma. Tra i personaggi noti che frequentavano queste zone, ricordo anche Plinio il Vecchio, ammiraglio della flotta imperiale nel momento dell’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei e la zona circostante. E pure lui, recatosi nella zona dell’eruzione per osservarla, morì insieme a migliaia di altri sventurati abitanti della zona.

     Ed ora vediamo che cosa è definito con il termine latino piscina, in questo caso qualificato dall’aggettivo mirabilis.


    La piscina mirabilis è oggi un monumento archeologico, una sorta di cattedrale dell’acqua, sito nel comune di Bacoli, provincia di Napoli. Straordinaria opera di ingegneria idraulica, fu costruita in età augustea a Miseno, per le necessità della flotta imperiale. Originariamente era una cisterna di acqua potabile, la più grande mai costruita dagli antichi romani, serbatoio terminale dell’acquedotto augusteo, che portava l’acqua dalle sorgenti del fiume Serino, a 100 chilometri di distanza, fino a Napoli e ai Campi Flegrei.  



    Interamente scavato nel tufo della collina prospiciente il porto, il serbatoio si trova ad 8 metri sul livello del mare. A pianta rettangolare, alto 15 metri, lungo 70 e largo 25, è sormontato da un soffitto con volte a botte, sorretto da 48 colonne disposte su quattro file. La struttura muraria è realizzata in opus reticulatum, e, come i pilastri, è rivestita da materiale impermeabilizzante. L’impressione che si riceve entrando è stupefacente. Si accede attraverso una facile gradinata, e ci si trova in locali ampi, luminosi di luce naturale proveniente dai soffitti, lo spazio segnato da colonnati che ricordano gli imponenti corridoi della Domus   Aurea di Nerone.  


    Veramente un zona da visitare, e visitare ancora, ricchissima di bellezze donate da madre natura e di zone archeologiche straordinarie, ricche di storia, miti, credenze, abitudini dei nostri padri, che ancora oggi conservano una straordinaria vivacità. Per questa bella gita un mio sentito ringraziamento va all’Ente Musicale “B. Barattelli”, che l’ha organizzata con lo scopo primo di assistere alla Turandot al Teatro S. Carlo di Napoli, e poi quello di visitare le bellezze del territorio. Grazie!


  • Opinioni

    Barcaccia. “Siamo tutti romani”


    “Se ami Roma porta qui un fiore, un biglietto con il tuo pensiero, non tacere, non essere indifferente…”
    “Sono nato in Via Frattina, questa era ed è la mia città che quattro ubriaconi cialtroni hanno creduto di distruggere. Ma Roma reagirà, forza sindaco…”

     
    Sono alcuni esempi della voce del cuore di Roma, c’ erano tanti messaggi e fiori.
    Superfluo aggiungere altro, e sproporzionato dire “Siamo tutti romani”, come pochi giorni fa dicemmo “Je suis Charlie”. Non ci sono stati morti, però sono irreparabili i danni apportati ad un capolavoro della scultura che sta lì intatto da quattro secoli. Bellissimo, un angolo di Roma prezioso, unico al mondo.

     
     Inoltre un migliaio di ubriaconi gonfi di birra, vino ed altro ancora, scervellati ed irresponsabili, non sono il terrorismo di matrice islamica. Sono però un preoccupante aspetto del nostro mondo, quello che voleva essere pacifico e civile. Sono il lato nascosto, oscuro ed incontrollabile della civilissima Europa del Nord, quella rigorosa e protestante, che evidentemente non ce la fa a controllare gli istinti feroci e violenti di tutti i suoi figli.

     
    Mi chiedo, tuttavia, come mai queste tifoserie violente possano esistere indisturbate, i giornali riportano che questi barbari e violenti olandesi agiscono da parecchi anni in giro per l’Europa. Sono veramente allibita dal fatto che non siano state prese sufficienti misure di prevenzione. E’ vero che il calcio muove miliardi, e che il tifo è una valvola di sfogo della violenza repressa, ma seguito a pensare che ci deve pur essere qualche mezzo per prevenire, evitare, contenere queste manifestazioni estreme. Insomma dovrebbe agire bene quella che si chiama “volontà politica”, da parte degli organizzatori responsabili di partite che generano tali passioni. O vogliono aspettare il morto prima di muoversi?

     
    Aggiungo qualche preoccupazione molto attuale. Che succederebbe se sbucassero all’improvviso una decina di terroristi armati fino ai denti in una zona affollata di Roma?


  • Opinioni

    Sergio Mattarella. La visita alle Fosse Ardeatine

    Subito dopo la proclamazione a Presidente della Repubblica, ma prima del giuramento di fronte al parlamento, quindi non ancora nell’esercizio delle sue funzioni, l’uomo Sergio Mattarella, giudice costituzionale, si è recato con la sua macchina personale, una panda grigia, ed un seguito ristretto, a visitare il sacrario delle Fosse Ardeatine.
     

    Un gesto denso di significati, anzi di storia. Nato nella guerra, Sergio Mattarella porta
    nel profondo, come tutti quelli che hanno avuto la sorte di nascere in quel periodo, una coscienza del bene e del male costruita nel vissuto quotidiano, un vissuto certamente non sereno, fatto di sacrifici, di impressioni indelebili, di esperienze del tutto lontane dalla felice quotidianità della prima infanzia nei tempi di pace.

    A ciò si aggiunge la tragica fine del fratello Piersanti, morto trucidato per mano di mafia nel 1980, che deve aver lasciato altra traccia profonda. Ebbene il vissuto lontano e quello più recente sono la molla che lo hanno portato al Sacrario delle Fosse Ardeatine, che, inaugurato nel marzo del 1949, è oggi il “Mausoleo nazionale di tutti i caduti nella lotta di liberazione per dare libertà e indipendenza alla Patria”.  

    Il gesto illumina la coscienza democratica del nuovo Presidente della Repubblica, fatta della storia della resistenza italiana al totalitarismo fascista, la cui sconfitta è la radice fondante della nostra democrazia e delle istituzioni sancite dalla costituzione della repubblica, di cui lui sarà il simbolo ed il severo custode nei prossimi sette anni, arbitro imparziale fra le parti in competizione.

    A proposito di parti in causa sento il bisogno di dire che non sono più due, come nel passato recente, ma tante, a causa della frammentazione della società, dovuta all’arricchimento di una ristrettissima élite ed al conseguente impoverimento delle classi medie che ha favorito i movimenti di protesta antisistema ed antieuropeista. Difficilissimo dunque il ruolo di arbitro.

    Se a ciò si aggiunge la lotta contro il potere mafioso, ramificato e penetrato dappertutto, dobbiamo veramente sperare che le virtù di quest’uomo, roccioso, di poche parole, lontanissimo dagli esibizionismi chiassoni del recente passato, siano all’altezza della situazione.

    Mi auguro che il sentimento di partecipazione a questa elezione sia fortemente unificante, non divisivo. E’ il filo ideale che lega l’artefice di questa operazione, il quarantenne Primo Ministro Matteo Renzi, fiorentino, alla generazione dei suoi padri, non disinvolto rottamatore questa volta, ma costruttore di ponti fra generazioni, unificatori per tutti gli italiani. 

    E come i padri, conservando differenze di opinioni, trovarono l’unione ideale per combattere i totalitarismi del secolo passato, così oggi   i figli devono trovare la stessa unità per combattere la barbarie del terrorismo di origine islamica. Il che comporta, per tutti, lo sforzo di uscire dal particolare campanilista ed opportunista per diventare europei. 

    Dunque, i conti della spesa, i sogni di ritorno alla lira, profondamente divisivi, anzi, disgreganti di tutto quanto è stato fatto dal dopoguerra ad oggi in Europa, siano ridimensionati e affiancati, finalmente, da   cultura, discorsi e fatti unificanti. 

    Lego idealmente il gesto del Presidente Mattarella a quello del Primo Ministro Matteo Renzi, compiuto pochi giorni fa, quando accompagnò la Cancelliera di ferro Angela Merkel a visitare la Galleria degli Uffizi a Firenze.  Un gesto forte teso a costruire una cultura europea comune, gesto che esplicita al resto dell’Europa che il contributo dell’Italia all’unione per le sfide del futuro è fatto anche di bellezza e di arte geniale.

    Finalmente anche la politica bella, da seguire con la mente e con il cuore, non solo con il portafoglio. Una liberazione.

  • L'altra Italia

    Un concerto per non dimenticare

    Affollatissimo l’Auditorium del Parco a l'Aquila, sul palcoscenico, nello spazio del pubblico, lungo i corridoi e le gradinate di passaggio. Perché tanta gente nell’auditorium? Nel coro c’erano tanti bambini, dunque genitori, nonni, parenti ed amici, oltre al solito pubblico dei concerti. Tutti fortemente emozionati e partecipi dell’evento, attenti ai contenuti della narrazione delle voci recitanti e all’espressione musicale di essa. Applauso finale, lungo, intenso, sentito.
     

    Difficile, quasi impossibile   spiegare i sentimenti e le emozioni di questa partecipazione.

    Ci provo. Il regime fascista emanò nel 1938 le leggi razziali, che escludevano gli ebrei dalla vita pubblica, da commerci, scuole, uffici, tutto. Da quel momento l’Italia divenne ideologicamente complice ed alleata delle politiche razziali della Germania di Hitler.
     

    Riduttivo, prossimo alla negazione di questo mostruoso evento della nostra storia, giustificare la Shoah come una semplice manifestazione di violenza, di quella violenza che sarebbe insita nella natura umana e che si manifesta   nella ferocia delle guerre.

    No, non è violenza pura e semplice, è uno stato totalitario, anzi sono due stati totalitari, che organizzano un sistema, che può definirsi industriale, con il fine di sopprimere milioni di persone. Sistemi   fatti di ampi apparati burocratici civili ed eserciti militari, tutti ideologicamente sottomessi ad un potere totalitario e ligi al dovere dell’ubbidienza di distruggere vite umane, scientificamente, con le migliori tecnologie dell’epoca. Milioni di uomini, donne e bambini, inermi e disarmati, volati in cielo dal camino. 
     

    Questa mostruosità   fu perpetrata anche sul nostro territorio.  La Risiera di San Saba a Trieste, ancora spaventa anche a vederla soltanto dal di fuori. Un lungo corridoio d’ingresso dalle pareti altissime, lisce e nere che si restringono verso l’alto e verso il fondo, danno l’idea di un imbuto nero senza via d’uscita. In fondo all’imbuto un cortile con lo spazio per il forno, dove venivano bruciati i corpi, che erano stati uccisi nella camera della morte con metodi artigianali, manuali. 
     

    La lapide del portico di Ottavia, a Roma, poco più in là di Piazza Venezia, e vicinissima al Teatro Marcello, ricorda la deportazione nei campi di concentramento di più di mille ebrei di Roma, gente romana de Roma, come tanti altri. Un luogo sacro di Roma, da frequentare con rispetto e solidarietà.
     

    Ebbene, la consapevolezza di tutto questo è stata una dura conquista, un processo lento e doloroso avvenuto nel dopoguerra, quando nell’ operoso orgoglio della ricostruzione si lasciava poco o nullo spazio alla comprensione di un passato da sconfitti, colpevoli di crimini mostruosi contro l’umanità. Quei crimini divennero un tabù, sempre più impenetrabile man mano che passava il tempo. 
     

    Questo percorso di presa di coscienza, filo conduttore dell’etica civile e democratica che ha guidato tanti di noi, è l’elemento fondante dell’applauso sentito e sincero che ha avuto il bel concerto di martedì 27 gennaio. La musica per orchestra, voci soliste e coro, fusi in suoni struggenti pieni di dolore, ma anche di momenti di allegria, è stata composta mettendo insieme brani di autori di popoli diversi, testimoni ed interpreti di quelle vicende.

    L’arte, in questo caso nata negli orrori, ha comunicato al pubblico sentimenti forti di compassione e solidarietà non solo per le vittime innocenti della Shoah, ma anche per tutte le vittime dei genocidi della storia passata e presente. 

  • Opinioni

    In nome delle libertà di pensiero

    Il   valore della libertà di pensiero fu una delle colonne portanti  della sanguinosa rivoluzione borghese fatta dai francesi  contro i privilegi della nobiltà alla fine del 18° secolo. Dopo secoli di guerre sanguinose, raggiunta finalmente la pace in Europa, nutrita dagli ideali di libertà, eguaglianza e fraternità che hanno avuto origine in Francia, ecco un tragico attacco a Parigi.
    La strage avvenuta nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, reo di aver recato offesa al profeta, è percepita da tutti come una vera e propria dichiarazione di guerra da parte del terrorismo di matrice islamica. 
     
    L’attacco ha unito a Parigi capi di stato provenienti da tutta Europa e dal resto del mondo, oltre a due milioni di persone. La più grande manifestazione di tutta la storia francese, ha detto uno storico esperto in materia, una reazione fortissima, sentita e partecipata.
     
    Immagine inconsueta quella dei Capi di stato europei e africani sottobraccio, fisicamente uniti a manifestare unità di intenti nella lotta contro il terrorismo di matrice islamica. Operazione di comunicazione di forte simbolismo. L’Europa ferita, reagisce. Niente comizi e niente bandiere nella manifestazione dei capi di stato. Silenzio, per tutti.
     
    Invece tante bandiere francesi nella manifestazione della gente, tanta. La folla densa, fittissima   sciamava lungo i viali di Parigi e cantava con forza la Marsigliese in un tripudio di bandiere e striscioni. Lo slogan “Je suis Charlie”, scritto anche arabo, ha largamente e con forza delegittimato la collera e la rabbia dei gruppi violenti di origine islamica.
     
    Il Premier Matteo Renzi ha rappresentato la speranza dell’Italia in una Europa unita ed ispirata dai suoi valori fondanti nella lotta contro il terrorismo. Ebbene sì, mi sono sentita rappresentata anche io. Sento pure io la speranza che gli ideali della dichiarazione dei diritti e della rivoluzione francese nutrano ed ispirino il pensiero e l’azione dei capi di stato europei per rafforzare il sistema di sicurezza senza limitare la libertà.
     
    Ed ora qualche piccola nota personale in margine a tutta la vicenda. Veramente terrificante, spaventoso, il video fortemente minatorio dell’Isis in circolazione su Facebook, detto in arabo e sottotitolato in inglese. L’immagine prevalente del video è quella della basilica di S. Pietro a Roma. In un giorno affollato farebbero stragi sanguinosissime e danni irreparabili.
    Per concludere con un sorriso queste brevi riflessioni mi piace passare dall’adesione ideale al principio di libertà con lo slogan “Je suis Charlie Hebdo”, ad una concreta espressione della mia libertà personale. E dunque, in nome di essa, mi permetto di esprimere che le vignette di questa rivista mi piacciono poco. Preferisco una ironia più sofisticata e raffinata.
     
    Senza confondere la satira di costume che “castigat ridendo mores” con il comico e la risata facile,   ricordo una mia bella  risata per una battuta allegra, trovata su facebook, italianissima e   campanilista assai, ”E’ ora di riprenderci la Gioconda, non se ne accorgerebbero neppure!”  Simpatica anche   la vignetta che rappresenta un omone armato fino ai denti che si presenta in Paradiso e reclama a gran voce le sue settanta vergini. Qualcuno gli   risponde che le sue se ne sono andate con i disegnatori di vignette.

     

  • Arte e Cultura

    Film: La magia e l'amore


    Il più recente film di Woody Allen tratta il tema della magia, dell’illusionismo, dei maghi.


    Protagonista maschile del film Magic in the moonlight, Colin Firth, nel ruolo di Stanley Crawford che fa spettacoli come mago Wei Ling Soo. Inglese, famiglia facoltosa, cultura razionale e sofisticata, con la passione delle magie e dei trucchetti necessari a compierle, egli stesso  compie prodigi di illusione sui palcoscenici europei, raccogliendo gli applausi di un pubblico affascinato, forse anche più o meno ciecamente fiducioso delle sue insolite facoltà mentali.


    Nella realtà della vita, fuori dalle finzioni del palcoscenico, si diverte a smascherare con la sola forza della ragione falsi spiritisti   e illusionisti da strapazzo.

       Protagonista femminile Emma Stone, nel ruolo di Sophie Baker, anche lei illusionista, americana, di modesta provenienza e cultura parimenti modesta. Bravissima nel fare sedute spiritiche, fingere di entrare a contatto con i trapassati, ha una clientela di donne a caccia di esperienze insolite. Coprotagonista Marcia Gay Harden, nel ruolo della amatissima zia del mago/ smascheratore di trucchi. Dotata da sottile ironia, capacità di osservazione e di ragionamento, è un valido punto di riferimento affettivo e mentale per il nipote.

    Il film è ambientato nei primi anni trenta, sulla Costa Azzurra, fra straordinarie ville da multimilionari e panorami naturali mozzafiato. Signore sottili ed elegantissime, abiti e trine in delicate tinte pastello, cappellini, guanti e make up sofisticati descrivono le abitudini ed i gusti dell’ alta borghesia, quella che sfiora la nobiltà, gente di solide fortune,  portatrice di una cultura fatta di ragionamenti, scetticismo, ironia e batture fulminanti che, con levità e sorriso appena accennato, mai una risata sguaiata, discutono argomenti solidi e presenti in tutte le culture: la differenza fra il vero e il falso, fra apparenza e realtà, il magico ed i trucchi per crearlo, fino ad arrivare a diffusi credi religiosi, conseguenti abitudini e fatti di costume. La storia termina con l’affermazione dell’amore. Unica magia possibile, la scintilla dell’attrazione fra due esseri umani.

    Film da vedere, anzi da gustare con attenzione ad ogni particolare verbale o di scena, adatto ad un pubblico capace di apprezzare la sofisticata cultura, lo spirito critico, la straordinaria capacità di affrontare argomenti seri con sorridente leggerezza e battute geniali. Woody Allen, autore del testo e regista del film.

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