Alice nel paese delle meraviglie gotiche

Simone Spoladori (March 06, 2010)
Alice in Wonderland di Tim Burton non è un adattamento dei romanzi di Lewis Carroll bensì una sorta di terzo capitolo con cui il regista californiano si candida alla successione del matematico e romanziere inglese nella cultura popolare anglo-americana

Questa volta l'Italia non è rimasta indietro. Alice in Wonderland di Tim Burton è uscito anche qui, l'altro ieri, in contemporanea con il resto del mondo, in 700 sale e in più di metà di esse in 3D.

In un solo giorno, il quindicesimo lungometraggio del regista californiano, ha incassato 1.400.000 €, facendo meglio di qualunque altro film Disney e di qualunque altro film targato Burton. Un trionfo, se considera anche l'anomala uscita di mercoledì: il week end si prevede pirotecnico!

Ma com'è questo film?

Partiamo da un presupposto. A mio modo di vedere, l'immaginario di Lewis Carroll e quello di Tim Burton hanno pochissimo a che spartire. Da più parti in questi mesi si sono lette e sentite considerazioni su un rapporto quasi necessario tra la poetica del regista di Burbank e quella del matematico e narratore inglese.

Secondo i più, Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio sarebbero romanzi "geneticamente " burtoniani, e sarebbe quasi scontato che Tim si sia deciso a portarli sullo schermo.Niente di più falso. Certo i romanzi di Carroll creano un mondo parallelo e riconoscibile, proprio come fa Burton, è vero; danno centralità all'immaginazione e alla fantasia, scarsa rilevanza alle logiche narrative e mettono l'infanzia al centro della propria visione della vita, relegando gli adulti in secondo piano, e questo, tutto, fa anche Burton.

Però c'è un dato evidente.
Carroll non è gotico.
Non è dark.
Non è "scuro".
Il suo universo fantastico, insomma, mi pare distante da quello di Burton.

Ciò detto, la mia  preoccupazione della vigilia era che le tonalità dei romanzi di Carroll e lo "spirito Disney" - con cui Burton torna a lavorare vent'anni dopo Nightmare Before Christmas, che era però un progetto off-the-lot- potessero in qualche modo corrodere il burtonesque, trasformando Alice in un'operazione in qualche modo troppo impettita e ingessata per il regista di Edward mani di forbice.

Beh, non è così. Alla radice dell'importanza e dell'originalità di questo Alice in wonderland c'è una scelta fondamentale operata in fase di sceneggiatura da Linda Woolverton, autrice dello script del film, e cioè la decisione perentoria di non trasportare sullo schermo i due racconti di Carroll dedicati al paese delle meraviglie, bensì di scriverne un terzo che cronologicamente segua i primi due, con Alice ormai ventenne e "corredata" di una serie di problemi adulti: la morte del padre, una proposta di matrimonio, cosa fare del proprio futuro.

Questa scelta fa sì che ci sia una necessaria cornice "fuori" dal "Sottomondo", nella società vittoriana, cornice che trasforma, di fatto, la bionda fanciulla in un personaggio interamente burtoniano, fuori sincrono con il mondo reale, con la società, con le convenzioni, nel solito weird-character, per intenderci, del cinema di Burton ma in linea con le più recenti versioni che il regista americano di esso ci ha dato, cioè risoluta, decisa, risolta, come, a loro modo, anche Sweeney Todd o Edward Bloom di Big Fish.

Non"sogno" di Alice in una dimensione psicanalitica più forte, suggerisce quasi un rapporto
di identità 
onirica tra i personaggi che la fanciulla incontra nel mondo reale e quelli che popolano le avventure nel sottomondo.Personaggi, va detto, che sul piano visivo sono tutti o quasi davvero straordinari, colorati, eccentrici, indimenticabili.

La scelta di raccontare "un'altra storia", quindi, rispetto a Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie e a Attraverso lo specchio, ha l'effetto determinante di lasciare spazio all'immaginario burtoniano e ciò trasforma il viaggio nonsense di Alice in una discesa allucinata, cupa e da incubo in un mondo fantastico che il 3D (tutto sommato prescindibile) e gli straordinari effetti speciali (c'è di tutto: CGI, Motion Capture, Stop Motion) di Ken Ralston rendono concreto e tangibile. Pertanto, con Alice in Wonderland il regista di Burbank, in un certo senso, dopo aver valutato e soppesato il ruolo e il posto che Lewis Carroll ha nella cultura popolare anglo-americana, decide che è giunto il momento - nell'anno della consacrazione sancita dalla "personale" al MoMA di New York ancora in corso - di prenderne il posto, di suggerirsi come l'erede e il continuatore di quel tipo di narrativa, con le debite differenze e le giuste proporzioni.

Ecco, questo mi pare il dato più significativo e straordinario di Alice in Wonderland: decidendo di dare un seguito "alla sua maniera" ai racconti di Carroll, Burton - che già aveva affollato l'immaginario popolare di delicati personaggi provenienti da incantevoli fiabe nere - definisce ancora meglio i confini del suo posto nella cultura pop americana e nell'immaginario popolare, rigenerando, reinventando un mito come quello della bionda Alice persa nel sottosuolo.

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