Articles by: Monica Straniero

  • Arte e Cultura

    Lucania con Joe Capalbo a breve negli Stati Uniti

    Il film Lucania terra sangue e magia di Gigi Roccati ha vinto tre Grand Jury Remi Award al 52 WorldFest Houston International Film Festival come miglior film straniero, migliore attrice (Angela Fontana) e miglior montaggio (Annalisa Forgione). Il film ha partecipato al WorldFest di Houston grazie al sostegno diretto dell’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles che ha segnalato la pellicola per l’inserimento nel programma della sezione italiana del Festival, PANORAMA ITALIA, e ha collaborato con il Festival per far partecipare il regista. Presentato al Bif&st-Bari international film festival nella sezione Nuovo cinema italiano, racconta di un mondo magico e inaccessibile, racchiuso fra le montagne e il mare, dove niente è come sembra. Qui vivono Rocco e Lucia, un padre severo e sua figlia Lucia.

    Abbiamo intervistato l’attore e produttore Giovanni Capalbo, che per raccontare questa storia ha scelto Gigi Roccati, al suo secondo lungometraggio dopo Babylon Sisters, uscito nelle sale nel 2017

    Come nasce l’idea del film?

    L’idea del film nasce dalla volontà di raccontare un mondo antico nel contemporaneo della mia terra natia: la Lucania. La prima stesura della storia risale all’ottobre del 2014, da allora abbiamo iniziato la ricerca delle risorse. La scelta delle locations e il casting sul territorio sono durati due anni, perché abbiamo ritenuto doveroso selezionare luoghi e volti emblematici, aderenti alla narrazione del film che racconta una terra ancestrale.

    Il film è un tributo a una terra che muore ma che può ancora vivere

    Il mondo contadino così come lo ricordiamo è scomparso ma è ancora intriso di un’atmosfera mistica. Sono quei territori rurali nascosti tra le montagne di cui si sta perdendo memoria. Una civiltà contadina spazzata via dalle promesse, mai mantenute, di industrializzazione. Il film vuole quindi essere un omaggio a una terra che Ernesto De Martino chiamava "Il triangolo magico" e che è stata tagliata fuori dalle rotte metropolitane. Parla di un mondo dei vinti che lotta per sopravvivere e in cui si accende una luce di speranza, incarnata da Lucia, una ragazza selvatica alla ricerca della propria consapevolezza di donna.

    Paesaggi ancestrali, luoghi magici ma anche di distruzione ambientale ed inquinamento.

    Lucania è infatti anche la storia di una terra abusata. Dobbiamo cambiare il punto di vista sulla terra che vuole gridare il suo dolore. Abbiamo bisogno di persone che urlano il senso di ingiustizia per quella parte della Lucania che vive nelle zone petrolifere e che sta morendo. Ci sono bombe ecologiche che restano sepolte per molti anni. Sono tematiche di rilevanza sociale che non si volevano affrontare con piglio documentaristico ma mettendo in luce quell’atmosfera magica che ancora permette a queste terre di resistere in una società ormai imborghesita. Ma non solo. Si voleva dare voce a chi continua a vivere in quelle terre, a tramandarne le tradizioni, a preservarne i ricordi.

    Un conflitto tra antico e moderno che si rivela anche attraverso il rapporto tra padre e figlia

    Mondo antico e moderno che si confrontano anche attraverso un conflitto generazionale tra il padre, Rocco, un uomo legato alla sua terra come un albero, e sua figlia Lucia, muta dalla morte della madre Argenzia che lui crede pazza e per questo la sottopone ai riti di guarigione di una maga contadina. Quando Rocco si ritrova a difendere la propria terra contro chi gli offre di seppellire rifiuti tossici in cambio di denaro, ammazza un uomo e si trova costretto a fuggire a piedi per le montagne cercando di salvare la figlia. Da questo punto inizia il viaggio di espiazione di Rocco e il viaggio di formazione di Lucia. Un lungo cammino attraverso la bellezza di una natura rigogliosa, e poi la durezza di una terra morente.

    Al Festival di Huston, il festival più antico degli Stati Uniti il film ha ricevuto un’ottima 'accoglienza 

    Il film uscirà in Italia il 30 maggio e negli Stati Uniti a fine anno. I riconoscimenti al WorldFest Houston International Film Festival sono un grande risultato per il cinema italiano indipendente. L’obiettivo è portare all’attenzione internazionale un territorio selvaggio il cui eco di storie antiche arriva fino ad oggi anche grazie ai suoni folk di Antonio Infantino, recentemente scomparso, dopo aver regalato una indimenticabile sequenza nel cuore della storia, come il vecchio che restituisce la voce a Lucia.

  • Art & Culture

    Valeria Golino, Female Presence in Italian Cinema

    Valeria Golino, renowned actress and director even beyond Italian borders.

    Following her Italian debut, she went on to pursue a brilliant career in Hollywood.

    Of note is her successful interpretation in “Rain Man”, in which she acts alongside Tom Cruise and Dustin Hoffman.

    In America, she quickly gains popularity also as a comedic actress thanks to the “Hot Shots!” series. (Jim Abrahams, 1991 and 1993)

     

    In Italy, she starred in multiple films up until her directorial debut with the film “Miele” (“Honey”) in 2013, followed by “Euphoria” in 2018. She is one amongst the very few women who manage to make it on the Italian cinematographic landscape both as an actress and a director.  

     

    We meet with her just after she accepted the Federico Fellini Platinum Award for the 2019 Edition of Bif&st, the Bari International Film Festival.

     

    She will attend the Cannes Film Festival to present the film “Portrait d’une jeune fille en feu” by Céline Sciamma. “I play my first ‘old lady’ part. Initially, I didn’t want to do this movie but Céline convinced me by saying that she couldn’t imagine any other actress in this role. This role didn’t take up too much time anyway. I now feel the need to not work too much and to do so only with the directors I’m friends with.”

     

    Can you tell us about your film debut?

     

    It happened by pure chance. It was 1983 and I was living in Athens, where I had been working as a model for a couple of years. One day I was going to Naples to see my father and I stayed in Rome with an aunt who convinced me to audition for the role of Ugo Tognazzi’s daughter in Lina Wertmüller’s new film “Scherzo del destino in agguato dietro l'angolo come un brigante da strada." (“Joke of Destiny”) Even though I had never dreamed of being an actress, I then decided to pursue this career and when I was 19 I was chosen to star in Peter Del Monte’s “Piccoli Fuochi.” (1985)

     

    Success came when you received the Coppa Volpi for your role in Citto Maselli’s “Storia d’amore” at the 1986 Venice Film Festival.

     

    I wasn’t expecting it, also because I was told that the award for best interpretation was certainly going to be given to Sabine Azema. (who starred in Alain Resnais’ “Melo” ed.) An award I won again in 2015 for Giuseppe Gaudino’s film “Per amor vostro.”

     

    After decades following an international career, you had your directorial debut with “Miele,” a courageous and delicate film on the theme of euthanasia, and “Euphoria” with Riccardo Scamarcio and Valerio Mastandrea, who play two distant brothers who come together when one of them becomes ill. When did you get the desire to test yourself behind the camera?

     

    I’m a movie lover before being an actress because I love the aesthetic of film. I have wanted to direct for a long time but I didn’t talk about it in part because I didn’t have the time to realize my ideas and also due to a lack of self-esteem. If at 45 I finally decided to go for it, I owe it in part to the encouragement of Riccardo Scamarcio and Viola Prestieri, my producers. My experience as an actress is fundamental in establishing an almost sacred rapport with the leads of my films.

     

    You’ve often mentioned how you don’t rewatch your films.

     

    Yes, I do that after the promotion and festivals are over to avoid being disappointed by interpretations that I initially deemed positive. It’s not the case with ‘Storia d’amore’ though, there I find myself very good every time I see it.

     

    Do you already have something in mind for your next film?

     

    I don’t have the right idea yet.

     

    A topic that’s being widely discussed nowadays: the gender gap in the film industry.

     

    We haven’t reached gender equality yet but my presence in the film industry as a woman has changed over the years. When I began my acting career, there were only two women directors in Italy: Liliana Cavani and Lina Wertmuller. Now there are many more. It's better for actresses as well. There are more roles and they can keep finding work even in middle age, which didn’t use to be the case. When it comes to equal pay, however, there is still much to be done. Women continue to be paid less than men who hold the same positions and merits. The situation is inconceivable.

     

    Only 22-years-old, you moved to Hollywood and were chosen as the lead in Randal Kleiser’s “Big Top Wee Wee.” (1988) Almost simultaneously you got a role alongside Tom Cruise and Dustin Hoffman in the movie “Rain Man” by Barry Levinson.

     

    It was a really exciting time. I was there for 12 years and I worked on 17-18 films. But I know I should’ve done more. I auditioned for many roles for American women but the fact that I was foreign and had a strong Italian accent didn’t help me get those roles. Plus, I found myself competing with actresses such as Julia Roberts, Demi Moore and Uma Thurman.

     

  • Arte e Cultura

    Valeria Golino. Quel cinema italiano al femminile

    Valeria Golino. Un'attrice e regista nota anche oltre i confini italiani. Dopo il suo debutto in Italia ha infatti ntrapreso una brillante carriera ad Hollywood. Da ricordare il suo uccesso del film Rain Ma,n in cui recita accanto a Tom Cruise e Dustin Hoffman

    In America diventa presto popolare anche come attrice comica con la serie degli Hot Shots (J. Abrahams, 1991, 1993).

    In Italia ha interpretato tanti ruoli per il cinema, fino al debutto da regista con “Miele” ed Euforia. Pluripremiata è una delle poche donne, nel panorama cinematografico italiano, che riesce ad emergere sia come regista che come attrice.

    La incontriamo dopo che ha ritirato il Federico Fellini Platinum Award per l'edizione '19 del Bif&st'.  

    Sarà al Festival di Cannes con un film in concorso "Portrait de la jeune fille en feu" di Céline Sciamma. “Interpreto il mio primo ruolo di una ‘vecchia’. Inizialmente non volevo fare il film ma Céline mi ha convinto dicendo che non riusciva a immaginare un’altra attrice per quella parte. È stato comunque un ruolo che mi ha sottratto poco tempo, oggi sento l’esigenza di non lavorare troppo e di farlo solo con registi miei amici”.

    Ci racconti del tuo esordio al cinema?

    È stato un puro caso. Era il 1983 e lavoravo come modella già da un paio d’anni e vivevo ad Atene. Un giorno andai a Napoli per vedere mio padre e mi fermai a Roma da una mia zia che mi convince a fare un provino per Lina Wertmüller per il ruolo della figlia di Ugo Tognazzi nel suo nuovo film"Scherzo del destino in agguato dietro l'angolo come un brigante da strada". Anche se non ho mai sognato di fare l'attrice ho deciso poi di continuare questo mestiere e a 19 anni sono stata scelta come protagonista in "Piccoli Fuochi" (1985) di Peter Del Monte.

    L’exploit arriva con la conquista della Coppa Volpi per “Storia d’amore” di Citto Maselli al Festival del cinema di Venezia del 1986

    Non me l’aspettavo anche perché mi era stato detto che il premio per la migliore interpretazione quell’anno sarebbe stato sicuramente assegnato a Sabine Azéma (protagonista del film drammatico Mèlo, diretto da Alain Resnais n.d.a.) . Premio che ho poi vinto nuovamente nel 2015 per il film “Per amor vostro” di Giuseppe M. Gaudino.

    Dopo decenni di carriera internazionale, fai il tuo debutto da regista con Miele, opera ardua e delicata sul tema dell’eutanasia, ed Euforia, con Scamarcio e Mastandrea, due fratelli diversissimi che si avvicinano quando la malattia colpisce uno di loro. Quando hai sentito la voglia di metterti in gioco dietro la macchina da presa?

    Sono una cinefila prima di essere attrice perché amo l’estetica del cinema. La voglia di dirigere un film ce l’avevo da tanto ma non ne parlavo un po’ perché non avevo tempo di realizzare le mie idee di sceneggiatura un po’ per mancanza di fiducia in me stessa. Se a 45 anni ho deciso di vincere le mie resistenze lo devo anche all’incoraggiamento di Riccardo Scamarcio e Viola Prestieri, i miei produttori. La mia esperienza di attrice è comunque determinante per instaurare un rapporto quasi sacrale con i protagonisti dei miei film.

    Hai più volte dichiarato di non rivedere quasi mai i tuoi film

    Si mi accade dopo aver terminato la promozione e le partecipazioni ai Festival per non rimanere delusa da interpretazioni che in un primo momento mi erano sembrate molto positive. “Non è il caso di ‘Storia d’amore’, però, perché ogni volta che mi capita di rivederlo mi ritrovo ancora molto brava.

    Hai pronta una sceneggiatura per il tuo prossimo film?

    Non ho ancora l’idea giusta.

    Un argomento di cui si sta parlando tanto in questo periodo. I dati parlano: c'è un evidente gender gap, uno squilibrio di genere nel cinema

    La gender equality non è ancora stata raggiunta ma la presenza femminile nel cinema è cambiata negli anni. Quando ho iniziato la mia carriera da attrice, in Italia c’erano solo due registe, Liliana Cavani e Lina Wertmuller. Adesso ce ne sono molte di più. Anche per le stesse attrici le cose sono migliorate. Ci sono più ruoli e possono continuare a lavorare anche nella loro mezza età, cosa che prima non succedeva. Sul fronte della parità di salario, invece c’è ancora molto da fare. Le donne continuano ad essere pagate meno nello stesso posto e con gli stessi meriti. È una situazione inconcepibile.
     

    A soli ventidue anni  ti trasferisci a Hollywood e vieni scelta come protagonista nel film "La mia vita picchiatella" (1988) di Randal Kleiser. Quasi contemporaneamente conquisti il ruolo di partner di Tom Cruise e Dustin Offman per il film "Rain Man" (1988) di Barry Levinson.

    E’ stato un periodo molto divertente. Sono stata lì tra i miei 23 e i 35 anni e ho lavorato in 17-18 film. Ma so che avrei dovuto fare di più. Ho fatto tanti provini per ruoli di donne americane ma il fatto di essere straniea e il mio forte accento italiano non mi hanno aiutato molto ad ottenere la parte. Poi mi trovavo di fronte ad attrici del calibro di Julia Roberts o Demi Moore e Uma Thurman.

     

     

  • Art & Culture

    Chiara Civello Returns to the US with “Eclipse”

    IN LINGUA ITALIANA >>

    After four years, Chiara Civello, singer-songwriter and multi-instrumentalist, Roman native turned citizen of the world, returns to the United States, the birthplace of Jazz, where she received her formation as a singer and musician.

     

     April 16 at DC’s IIC, April 17 at Boston’s Regattabar. These are the dates of Chiara’s American tour, during which she will present Eclipse, the sixth album of her luminous career, that began with jazz improvisation and continued following the thread of contamination. Her enthusiasm and excitement, Chiara reveals, hasn’t changed since, little more than a teenager, she first appeared on the stages of the East Coast.  

     

    Eclipse is produced by Marc Collin of Nouvelle Vague and features covers and new songs made in collaboration with artists such as Francesco Bianconi, Dimartino, Cristina Donà e Diana Tejera. It’s an homage to classic italian songs and to the soundtracks of films from the 1960s and 1970s. The artist’s international pop roots and Collin’s French-Touch (who inserted electric basses and synths in the album) blend with perfection, creating a refined work, minimal and vintage, that in no moment feels cheesy.

     

    Eclipse is an album marked by self-awareness and an adventurous spirit, qualities that have marked Chiara’s career since its very beginnings. “Presenting this album in the United States is deeply emotional because, to me, America means home,” explains Chiara, who at 16 received a scholarship to attend Berklee College of Music in Boston.

     

    It’s by performing in venues across the East Coast that Chiara found her voice: “One of the advantages that the school gave me was the opportunity to meet people who, like me, wanted to live off music,” she reveals. “Together we formed the first groups, confronted with the question every artist faces: will I make it?”

     

    Everything began with Jazz, however, Chiara Civello’s journey has always been marked by the desire to experiment and find new paths. “My academic imprint and Jazz improvisation gave me method, like assimilating as many alphabets as possible, but then, with time, in order to find my own voice, I let go of the rules and arrived at doing what I really wanted: to write songs.”

    And write songs she did, traveling the world, measuring herself to different genres and languages, but always bringing her Italian soul along. During her travels in Brazil, the US, in Italy, she had the chance to collaborate with artists such as Burt Bacharach, Esperanza Spalding, Chico Buarque, Gilberto Gil, Mario Biondi.

     

    Tony Bennett, the last crooner, defined her as the “best jazz singer of her generation,” but the artist confesses she didn’t feel intimidated by such a colossal affirmation. “I think Bennett saw in me the freedom of less structured artists, who consolidate their voice album after album, just like an old wine maturing with time.”

     

    And when discussing the future, Chiara reveals that she intends to keep on experimenting. “I’m working on several projects, I would one day like to collaborate with Ryuichi Sakamoto and with African artists. Music to me is a constant discovery, I’m always looking for that affecting moment, the one that provokes emotion.”

     

    With just as much enthusiasm as always, Chiara will perform in New York, in an America that she finds profoundly changed since Donald Trump became president, but that always remains her home.

     

    “The America I knew, the America you find in New York, has nothing to do with Trump’s America. I’m interested in a world that supports and includes minorities, where encounters are celebrated. That’s the kind of music I make.”

     

  • Arte e Cultura

    Chiara Civello torna negli USA con il suo “Eclipse”

    ENGLISH VERSION >>

    A 4 anni di distanza Chiara Civello, cantautrice e polistrumentista di origine romana ma divenuta nel tempo cittadina del mondo, torna ad esibirsi negli Stati Uniti, il paese culla del Jazz dove si è formata come interprete e musicista.
     

    Il 14 Aprile al Poisson Rouge di New York, il 16 aprile all’IIC di Washington e il 17 aprile al Regattabar di Boston. Queste le date del tour americano di Chiara per presentare il suo Album Eclipse, sesto di una carriera luminosa iniziata con l'improvvisazione jazzistica e proseguita sotto il segno della contaminazione. L'entusiasmo e l'emozione, rivela Chiara, saranno le stesse di quando, poco più che adolescente, solcava i palchi della East Coast.

     

    Eclipse è prodotto da Marc Collin dei Nouvelle Vague e, tra cover e inediti realizzati con la collaborazione di artisti del calibro di Francesco Bianconi, Dimartino, Cristina Donà e Diana Tejera, rappresenta un omaggio alla canzone classica italiana e alle colonne sonore di film degli anni 60' e 70'. Le radici internazional-popolari dell'artista e il French-Touch di Collin (che ha inserito nell'Album bassi elettronici e synt) si fondono alla perfezione generando un'opera raffinata, minimale e vintage che in nessun frangente risulta sdolcinata.

     

    E' un Album, Eclipse, segnato dalla consapevolezza e dallo spirito d'avventura, tratti distintivi della carriera di Chiara sin dagli esordi. “Presentare questo Album negli Stati Uniti è una grande emozione perché per me America vuol dire casa”, spiega Chiara, che ha 16 anni ha vinto una borsa di studio al Berklee College of Music di Boston.

     

    E proprio nei locali della East Coast, Chiara ha scoperto la sua voce: “Uno dei vantaggi della scuola è stato conoscere persone che, come me, volevano vivere di Musica”, rivela. “Insieme abbiamo formato i primi gruppi misurandoci col perenne dilemma dell'a artista: ce la farò o no?”.

     

    Tutto è partito dal Jazz dunque ma il percorso di Chiara Civello è stato sempre caratterizzato dalla voglia di sperimentare e di scoprire nuove strade. “L'impronta accademica e l'improvvisazione jazzistica mi hanno dato metodo, è stato come assimilare più alfabeti possibili ma poi, col tempo, per trovare la mia voce ho lasciato andare i dogmi e sono arrivata a fare ciò che volevo veramente: scrivere canzoni”.

     

    E di canzoni Chiara Civello ne ha scritte, in giro per il mondo, misurandosi con generi e linguaggi differenti ma portando sempre con sé la sua anima italiana. Durante i suoi viaggi, in Brasile, negli Stati Uniti, in Italia, ha avuto modo di collaborare con artisti come Burt Bacarach, Esperanza Spalding, Chico Buarque, Gilberto Gil, Mario Biondi.

     

    L'ultimo crooner Tony Bennett l'ha definita la “miglior cantante jazz della sua generazione”, ma l'artista confessa di non essersi intimorita per un'affermazione grossa come come un macigno. “Credo che Bennett abbia colto in me quella libertà degli artisti non eccessivamente strutturati che consolidano la propria voce Album dopo Album, proprio come il vino che matura col tempo”.

     

    E, quando si parla del futuro, Chiara rivela di voler continuare a sperimentare. “Lavoro a più progetti contemporaneamente, vorrei collaborare una giorno con Ryuichi Sakamoto e con degli artisti africani. La musica per me è sempre scoperta, cerco sempre il punto di commozione, quello in grado di suscitare entusiasmo”.

     

    Con lo stesso entusiasmo di un tempo, Chiara si esibirà a New York, in un America che le appare profondamente diversa da quando Donald Trump è stato eletto Presidente ma che resta pur sempre la sua casa.

     

    “L'America che ho vissuto io, quella di New York è ben altra cosa rispetto all'America repubblicana. A me interessa un mondo che tuteli ed includa le minoranze, dove gli incontri vengono celebrati. E' questa la Musica che faccio io”.

     

  • Arte e Cultura

    Tim Burton: Mi riconosco in Dumbo, un diverso proprio come me

    “L'idea di un eroe che trasforma in vantaggio un suo enorme difetto, come riesce a fare Dumbo, è ciò che più mi ha affascinato di questa storia". Con queste parole Tim Burton spiega la sua decisione di realizzare una versione live action del classico Disney del 1941, dopo quasi 10 anni dal suo primo film con la Disney, 'Alice nel Paese delle Meraviglie'.

    Il regista di pellicole quali Edward mani di forbice, La fabbrica di cioccolato, La sposa cadavere, Alice in Wonderland, Big eyes, è arrivato a Roma per la promozione di “Dumbo” e per ricevere il David alla carriera in occasione della 64esima edizione degli 'Oscar italiani'.

    Il film, scritto da Ehren Kruger, racconta di Max Medici (Danny DeVito), proprietario di un circo, che assume l'ex star Holt Farrier (Colin Farrell) insieme ai figli Milly (Nico Parker) e Joe (Finley Hobbins) per occuparsi di un elefante appena nato le cui orecchie sproporzionate lo rendono lo zimbello del circo.

    “I protagonisti di Dumbo sono degli outsider”, spiega ancora Burton. “Lo stesso Dumbo è simbolo di chi è diverso, al di fuori dei canoni standard della cosiddetta normalità. Di chi soffre di una disabilità mentale e fisica. Mi riconosco in quell'elefantino curioso anche perché è il simbolo dell’artista che fatica a essere accettato”.

    Quando si scopre che Dumbo sa volare, il bramoso imprenditore V.A. Vandevere (Micheal Keaton) lo recluta per il suo nuovo straordinario circo, Dreamland, una sorta di metafora della Disney. Dumbo vola insieme all'affascinante trapezista Colette (Eva Green) 

    Burton confessa di non amare il circo “perché mi spaventano i clown e non mi piace vedere gli animali tenuti in cattività, ma amo l'idea del circo come rappresentata nei film di Fellini”. Non a caso, la scelta dei nomi dei circensi, fratelli Medici, è un omaggio al grande regista italiano, “uno dei miei punti di riferimento”, precisa Burton.

    Si parla infine della celebre scena in cui Dumbo vede gli elefanti rosa dopo aver bevuto qualche bicchiere di vino per sbaglio. Una sorta di allucinazione, ben quattro minuti di sogno alcolico, sostituita da una esibizione circense con bolle di sapone. "Era comunque un'immagine da preservare, anche se presente in un filmappartenente ad un’altra epoca e quindi pieno di stereotipi razziali. E poi non si poteva mostrare un minore che si ubriaca”.

     

    Infine, il tema della famiglia. Inevitabile il confronto tra la storia di Dumbo, diviso dalla madre, e il caso di cronaca della scorsa estate quando migliaia di bambini sono stati separati dai genitori durante i tentativi di varcare il confine fra Usa e Messico, da che Trump si era appena insediato. “Ma non c’è una correlazione diretta”, precisa Burton. “Dumbo come ogni favola tocca argomenti attuali che sentiamo più attuali e con i quali dobbiamo comunque confortarci”.

    La Disney? È una grande famiglia, anche un po’ la mia, e come tutte in tutte le famiglie, non sempre si va d’accordo”.

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