Articles by: Letizia airos

  • Fatti e Storie

    Conversando con Natalia Quintavalle

    ENGLISH VERSION

    La incontriamo davanti ad un caffè e biscotti gustosissimi. In un’atmosfera rilassata che ci consente di conoscerla un pò. Lei si racconta con efficacia. Supera subito quel divario che spesso viene rimproverato ai rappresentanti delle nostre istituzioni. Ma senza perdere autorevolezza ed eleganza.

     
    Natalia Quintavalle, il nuovo Console Generale, ha già vissuto a New York, che conosce molto bene. Come molti, non è indenne dal suo fascino. “Dopo averci abitato, sono ritornata qui frequentemente per motivi di lavoro. E ho sempre avuto la sensazione di tornare a casa. Venivo a settembre per l’Assemblea Generale, oppure a dicembre per la chiusura della quinta commissione. La sensazione era sempre quella di tornare in un ambiente familiare.  A casa appunto”.

     

    Comincia con queste parole il nostro incontro. Più che un’intervista sarà un libero scambio di valutazioni. Quintavalle è nata in una regione che gli americani amano molto, la Toscana, precisamente a Pietrasanta. Ha un marito diplomatico che lavora a Roma e ha portato la figlia con se a New York. Conversa riempiendo le sue parole di entusiasmo, ma basterebbe l’espressione del suo volto per capire quanto senta importante questo nuovo incarico:
    “L’idea di tornare a New York per stare altri quattro anni in una veste così diversa, ma al tempo stesso in una posizione che mi consente di andare a fondo sulla vita di questa città, mi dà grandissima gioia e soddisfazione. E’ stata una decisione presa abbastanza velocemente, per circostanze varie, quindi ho dovuto affrontare in poco tempo qualche problema di organizzazione professionale o personale. Mettere a posto tutte le pedine… ma ho un’ottima sensazione.”
     
    E’ passato poco più di un mese dal suo arrivo, la circoscrizione consolare a lei assegnata è complessa e vasta. Cogliamo nelle sue parole grande curiosità ma anche pazienza, desiderio di conoscere, apprendere anche passo per passo. Cominciando dai servizi consolari, quelli più tradizionali.
     

    “Ancora sono in fase di comprensione di tutte le sfaccettature del mio incarico. C’è una parte    diciamo strutturale del lavoro del consolato, di servizio alla collettività. E’ molto importante. C’è una struttura ben collaudata, organizzata in modo da affrontare efficacemente le richieste dei connazionali. Abbiamo ottimi collaboratori in tutti i settori. Per quanto riguarda i diplomatici, le mie due colleghe Laura Aghilarre e Lucia Pasqualini sono qui da un pò, ed hanno il polso della situazione; il collega Sorrentino è arrivato insieme a me, però ha già avuto un’altra importante esperienza consolare”

    La carriera di Natalia Quintavalle ha abbracciato competenze eterogenee e tutte molto importanti: dalla cooperazione allo sviluppo, all’Onu, da quelle più specificamente consolari, agli affari politici, da quelle commerciali ai diritti umani. Sembrerebbe che in qualche modo New York rappresenti il riassunto, il corollario di questa sua esperienza in diversi settori.

    “Io spero di portare nel lavoro che farò qui tutto questo. Non devo certo cominciare da capo. Gran parte dell’esperienza che ho fatto mi aiuterà. Ma ci saranno certo nuove sfide. Dobbiamo dare nel miglior modo possibile un’immagine del nostro Paese aderente alla realtà. Combattere gli stereotipi e al tempo stesso promuovere quello che c’è di buono in circolazione. Questo utilizzando strumenti moderni che qualche anno fa non esistevano e invece cercheremo di valorizzare al massimo.”

    Il suo arrivo coincide con un periodo economico molto difficile e con importanti cambiamenti anche per quanto riguarda la rete dell’ICE (Istituto Nazionale per il Commercio con l’Estero) ancora in corso di definizione. Cogliamo l’occasione per parlarne con lei. I consolati, insieme alle ambasciate avranno infatti un ruolo più importante nella promozione commerciale italiana.

    “Gli uffici all’estero dell’ICE, e in particolare quello di New York, sono delle strutture portanti del Sistema Italia. Hanno fatto e continuano a fare un lavoro straordinario di promozione delle imprese italiane, in particolare a vantaggio di quelle piccole e medie. Ed in questo momento, certo, le meno grandi hanno ancora più difficoltà ad affrontare i mercati esteri.

    Si tratterà semplicemente di mettere insieme quello che fa, quello che sempre ha fatto l’ex ICE con quello che facciamo in Consolato, all’Istituto di Cultura, e in altre istituzioni italiane (Enit, Camera di Commercio…), per sostenere e promuovere l’immagine italiana.”

    “L’operazione, come tutte quelle che hanno due cotè, quello interno italiano e quello rivolto alla rete estera, non è facile. A Roma è ancora in corso una fase di assestamento, dipendiamo dalla decisioni italiane. Ma già lavoriamo insieme, mettendo in comune le nostre esperienze, sarà un anno di transizione.

    Fra l’altro, l’ICE ha una propensione all’innovazione e all’utilizzo di tecnologie superiore alla nostra. Noi abbiamo un apparato burocratico un pò più pesante. Per certi versi necessario per noi, dunque non voglio dire che sia un difetto. Sono convinta però che da questa collaborazione nascerà un impulso anche nei nostri confronti a lavorare in modo più moderno.”

    E’ un lavoro molto impegnativo per diversi motivi quello che l’aspetta. Sicuramente pieno di prospettive, che punta sempre di più sul coordinamento del cosidetto Sistema Italia.

    “Indubbiamente il lavoro da fare è grosso e bisogna coordinare e valorizzare tutto quello che le istituzioni italiane propongono. Ma non vanno dimenticate anche quelle americane o internazionali che hanno un’attenzione particolare per l’Italia, devono far parte del nostro spettro di lavoro in comune.”

    Quanto importanti in questo contesto sono le università?

    “Molto. E ci sono delle realtà molto importanti qui a New York. Basti pensare ad NYU, con la Casa Italiana Zerilli-Marimò, alla Columbia con l’Italian Academy, alla CUNY, con il Calandra Institute. Ma a parte queste così fortemente caratterizzate come italiane/italo-americane, ci sono dei dipartimenti nelle varie università di New York che hanno un’attenzione particolare per il nostro Paese. Per la sua arte, la cultura o per la parte di interesse anche economico-commerciale. Dobbiamo fare lo sforzo di lavorare con quelli che già hanno una vocazione a trattare l’Italia e con coloro che vorrebbero ma non trovano i canali giusti per poterlo fare.

    Credo che dobbiamo procedere decisamente in tal senso, naturalmente insieme all’Istituto di Cultura, con cui abbiamo ottimi rapporti. Dobbiamo sfruttare anche la vicinanza logistica tra noi e loro per mettere in campo iniziative comuni.

    Poi c’è una realtà qui a New York, la Scuola d’Italia Guglielmo Marconi. E’ importante dire che è un’offerta interessante e innovativa non solo per gli italiani ma anche per gli americani. Ne ho già parlato con la preside Anna Fiore. E’ una scuola perfettamente bilingue che va proposta al pubblico americano, non solo ai figli dei connazionali che vivono qui.”

    Si sofferma anche a riflettere sulla complessità della comunità italiana a New York. Con una valutazione che mi sento di condividere in base all'esperienza di i-Italy...

    “Nei primissimi giorni che ho trascorso qui nella mia mente c’era un po’ di divisione.

    Gli italo-americani delle vecchie generazioni, quelli più giovani, di terza e quarta generazione, e poi gli italiani che arrivano adesso… Ma mi sono resa conto che in realtà i figli degli italo-americani da un lato ed i loro coetanei che arrivano dall’Italia sono in realtà molto simili”

    Noto come questo riavvicinamento passi attraverso l’istruzione e che sia gli italiani che vengono in America che i nipoti dei nostri emigrati negli USA hanno una preparazione culturale simile…

    “Sì, non hanno proprio le stesse esigenze, ma sicuramente sono simili. Credo che ci si avvii verso una contaminazione degli italiani, degli italo-americani e degli americani. Ed il lavoro di i-Italy va in questa direzione. In un certo senso l’anticipa. Le tecnologie poi aiutano in questo. I giovani, e non solo, sono tutti su sul web, su Facebook, su Twitter… Parlano, si confrontano. Attraversano barriere. Siamo sulla buona strada.
     

    Lo sforzo grande che dobbiamo fare noi è quello di non lasciar annullare la cultura italiana in questo grande calderone. E’ importante quindi anche la promozione della lingua. Noi dobbiamo tutti saper parlare l’inglese e comunicare in inglese, ma per poter dire che c’è anche un’altra ricchezza: l’italiano.

    E’ importante saper parlare e saper comunicare in italiano. C’è per fortuna un interesse fortissimo da parte di molti americani che vanno in Italia, che studiano l’italiano, che lo conservano. C’è una grande attenzione anche dell’ambasciata a Washington, l’ambasciatore Terzi ha fatto di questa iniziativa una parte portante del suo lavoro, e noi gli diamo tutto il supporto possibile. Certo, siamo coscienti del fatto che, soprattutto a New York, c’è una concorrenza fortissima con lo spagnolo. Organizzare corsi di lingua italiana potrebbe sembrare dunque quasi uno sforzo eccessivo. Però c’è una domanda e questa va soddisfatta, la misura sarà ovviamente quella che deriverà dalle esigenze e bisogna fare in modo che la domanda continui ad esserci e a crescere.”

    E’ consapevole delle difficoltà “a monte” nell’impresa dell’insegnamento dell’italiano…

    “Lo IACE ha dato un grossa spinta all’insegnamento dell’italiano nelle scuole americane. E il recupero dell’AP è fondamentale. Ma anche la formazione di chi insegna la lingua è fondamentale. Noi diplomatici lo sappiamo bene, siamo costretti a imparare una quantità di lingue e ci rendiamo conto che non è così facile. Conoscere la lingua italiana bene non vuol dire saperla insegnare. Chi va ad insegnare, soprattutto in un contesto linguistico e culturale straniero, deve avere un bagaglio di formazione da insegnante, non solo una buona formazione culturale nella materia.”

    Parliamo dei Comites. Sono molto importanti. Ma bisogna lavorare anche con i giovani e i nuovi italiani che spesso neanche conoscono questi organi.

    “Li ho già incontrati in varie circostanze, anche se ancora non ho avuto un contatto ufficiale, diretto. I Comites hanno svolto un ruolo fondamentale. Ho seguito il loro percorso negli anni. Sono strumenti utilissimi. Bisogna vedere ora come si adattano al cambiamento del profilo della comunità che rappresentano."

    Anche in questo caso, come per molte associazioni italo-americane più tradizionali, abbiamo il problema della quasi assenza dei giovani...

     “Si tratta di superare quell'idea che è rimasta un pò nell’aria che loro rappresentano gli italiani di vecchia generazione, ma sono convinta che siano coscienti della necessità di questo sforzo.”

    Ci confrontiamo anche su una tematica controversa nel mondo italo-americano. Quella legata alla rappresentazione dei media che in particolare si è concetrata su polemiche legate al noto serial “The Sopranos” e, negli ultimi mesi, il ‘reality show’ Jersey Shore.

    “Bisogna distinguere, io sono convinta che siamo in un Paese libero e quindi ognuno ha il diritto di proporre quello che vuole. I Sopranos sono una serie ben fatta da un punto di vista cinematografico, che effettivamente offre un’immagine che può urtare molte suscettibilità in questo Paese. Quando è uscito in Italia infatti non ha avuto le stesse reazioni, ed è stato anche più facilmente apprezzato.”

    E’ vero. Pochi dicono che il serial di Chase ha smitizzato il personaggio mafioso. Lo ha inserito in un vivere quotidiano certo non esaltante. Tony Soprano non ha il fascino del Padrino, è piuttosto fragile, a volte è addirittura ridicolo, troppo umano. E’ l’antieroe per eccellenza”.

    “Infatti… Ma per quanto riguarda Jersey Shore, è proprio inguardabile. Non solo perché offre un’immagine distorta dell’italianità. Ma anche perché è come tanti altri ‘reality show’ che vediamo anche in Italia. Spazzatura. Trash!

    Non so quanto sia interessante televisivamente, ma certo lo è come specchio, magari anche distorto, di un fenomeno sociale, di marginalità giovanile, e dunque va considerato.

    Mi hanno anche segnalato di recente la puntata di Law & Order dedicata al caso Strauss-Kahn, ma girata con un protagonista italiano. Perchè si sia deciso di fare questa operazione, bisognerebbe chiederlo all’autore. Non voglio leggerci cose del tipo: 'non vogliamo urtare i francesi, invece gli italiani li offendiamo senza problemi…'. Certo sono perplessa. Pare ci sia un’immagine del Console d’Italia con aria arrogante, del tipo 'lei non sa chi sono io'.

    Insomma, io francamente spero che con la mia sola presenza di smitizzare questo tipo di immaginario..."

    La conversazione prosegue in maniera amabile, senza formalità. Le diciamo che avere una donna a dirigere un consolato nel 2011 non dovrebbe più far notizia. Eppure la maggior parte degli articoli su di lei fanno leva su questa sede prestigiosa diretta da una donna, che ha  anche altre due importanti dirigenti in rosa, come si suol dire…

    “E’ vero, non dovrebbe essere questa una notizia. Ma in Italia le donne nella carriera diplomatica sono ancora troppo poche. Soprattutto a livelli più alti, ancora c’è un vuoto notevole. Con la nostra associazione di donne diplomatiche, stiamo cercando di lavorare su questo. I progressi ci sono, ma effettivamente suona ancora un pò strano quest’incarico ad una donna...

    In realtà per me è stata una piacevole sorpresa arrivare qui, trovare due colleghe diplomatiche e anche nel personale amministrativo una grossa componente femminile. Sono convinta, avendolo sperimentato nel corso degli anni, che le donne abbiano una capacità lavorativa, una tenacia spesso superiore a quella dei colleghi maschi. E sanno anche lavorare bene con colleghi maschi. Un consolato poi ha bisogno di un’attenzione particolare al profilo psicologico dei suoi interlocutori e credo che anche in questo possiamo dare lezioni.

    Godiamo certo di una grande attenzione da parte del Ministero, ci sono persone che giudicano questa cosa positivamente, e il ministro Frattini è tra questi. Per lui è importante che ci siano donne in posizione di guida in strutture all’estero.

    Sospetto certo che all’interno del Ministero ci siano persone che pensano: 'adesso vediamo come se la cavano, mettiamole alla prova e se non ci riescono sappiano che non dobbiamo spingere in quella direzione...'”

    Dal Console Generale alla madre di una ragazza di 15 anni …

    “Mia figlia è contenta di essere tornata a New York , c’era già stata. Per ora questo ha significato una separazione anche dal padre che è a Roma, ma speriamo che riuscirà a raggiungerci. Sarà un bene per tutti.
     

    Non è facile questo tête-à-tête con una quindicenne che certo ha subìto sradicamenti continui. Io avrò molti impegni e spesso sarà sola. Ma cercherò di convincerla a seguirmi di tanto in tanto. Però deve studiare per prima cosa. Certo ha grande interesse nelle cose italiane. Letteratura soprattutto…”

    La lasciamo nel suo ufficio, all’interno della storica townhouse di Park Avenue. Rimangono impresse la dolcezza del suo volto mentre parla della figlia e la sua fermezza nel prospettare un periodo di grande impegno di un’Italia piena di risorse al servizio della collettività.

  • Life & People

    A Vision of Need

    “Our vision was a vision of need…an official entity that children, students, adults, scholars, organizations can call on to assist in furthering our rich Italian heritage…before it fades or is lost to history.”
                                                                                                                                Cav. Joseph Coccia, Jr.

    A broad smile. Piercing eyes. Facial features reminiscent of his homeland even though he was not born there. That vision of Italy is brought into every moment of his life along with the ever-present image of his father.

    He is not only a grandfather to his relatives–he does, in fact, have five children, ten grandchildren, and two great-grandchildren–but to all the young people who are involved with his foundation.

    To see him walking and interacting with students is always exciting. He moves among them, ascends to their level, is able to communicate with the same ease that a man has with his own grandchildren.

    There is a sweetness about him that struck me the first time and continues to amaze me. His manner is firm but warm, with an obvious curiosity about the other person.

    It is often difficult for an Italian to understand what it means to love our country from this side of the ocean, after so many years and when one is so far away. And, it must be said, it is equally difficult to find people who know how to promote their own culture of origin with true objectivity and without self-interest.

    Cav. Joseph Coccia is a rare example, in my opinion, of sincere generosity without any unnecessary grandstanding and with great human concern.

    Of course there will always be criticism whenever a difficult task is at hand such as preserving and promoting culture, and this includes the foundation that Coccia himself started. Missteps are always possible but it must be recognized that the Coccia Foundation, undoubtedly, is the sum total of a cultural mission dedicated to young people, one that is undertaken without rhetoric or artifice.

    Coccia is supported by his entire family in this mission, especially his wife Elda, and his daughter Elisa, who has served as the foundation’s director for a number of years.

    “It’s part of our lives,” Coccia tells me. “The foundation was created for young people to help them integrate and to promote the values ​​that relate to our Italian identity.”

    He tells us about his father using both Italian and English. “This is all dedicated to him and my love for Italy. I spent a lot of time with him and he told me about a lot of Italian things, many of them very simple. Now they are in my blood. I could not do it any other way.” His father came to the U.S. at the beginning of last century when he was only 17 years old to work in Pennsylvania’s coal mines. He then moved to NJ where he started a family and had two children.

    “He worked a lot, from 4:30 in the morning until 10:00 at night. I also worked with him until I was twenty. I learned a lot and I am thankful that he allowed me to attend Catholic school from when I was eight years old.”

    This is one of Joseph Coccia’s many emblematic stories. He was born in Newark to Italian parents who emigrated to the U.S. during the Great Depression. He went to Japan and Korea while serving in the army. He then focused his life on work and family. He married Elda who was born in Lioni (Avellino province) and had arrived in the U.S. when she was 15. They later had five children.

     
    And Joseph worked–he worked very hard first as an insurance salesman then as a furniture salesman and went on to amass a small fortune which he decided to dedicate to preserving his cultural heritage.

    “I started with UNICO and I immediately saw what was missing. I spoke with students–no one was helping them!”

    The Coccia Foundation was founded in 1994 when Cav. Joseph Coccia, Jr. and his wife Elda personally decided to do something significant. Since 2000, Joseph Coccia has devoted much of his time to preserving Italian culture in the U.S. He understands how important it is for universities and institutions of higher education to recognize and incorporate Italian studies into their curricula. In 2003 Joseph and Elda Coccia founded the Coccia Institute for the Italian Experience in America at Montclair State University.

     
    The institute recently acquired the National Italian Association Foundation (NIAF) and the New Jersey Italian and Italian Heritage Commission as its first key partners. The institute participates in Italian heritage month every year in October, holds a yearly symposium, and organizes a summer program. Among its year round initiatives, it offers an Italian theater program for children between the ages of 6 and 12 as well as business lectures and cooking demonstrations. Besides these programs the institute also engages in substantial work as a charitable foundation.

    As it states on the foundation’s website: “Proud of their accomplishments, Joseph and Elda realized that Italian culture is in the hands of today’s children. Because of that, they are working on a cause very near to our hearts: Seeking to establish and encourage Italian student clubs and promote the teaching of Italian language, culture, and heritage in as many universities and colleges as possible.”

    For my part, I encourage readers to visit the site and keep up-to-date on programs and participate in their events and meetings. At the Coccia Foundation that generous Italian spirit that many dream of is still alive today.

    The Coccia Foundation is a non-profit 501 (c) (3) Family Foundation, located in Saddle Brook, NJ.

  • Tourism

    Nichi Vendola, Going Glocal with his Apulia

    ITALIAN VERSION

    Nichi Vendola is the leader of the Italian center-left coalition who has the strongest relationship with his electors. His commitment to translate his politics into words as President of Apulia is obvious every time he is around people.
     

    His presence in the Italian political life of the past few years has been strongly linked to people. The results of the Apulian primaries, which Vendola won massively beyond the highest expectations, are now an important chapter of our history. Unlike the United States, primaries are still new for Italy.
     

    i-Italy met with him previously during his New York visit in 2010. On that occasion we were impressed by the welcoming he received by Italians and Italian-Americans, especially the younger generations. The Casa Italiana Zerilli-Marimò auditorium was overfilled and many followed his speech from a distance, through a monitor set up outside.
     

    This time we had an occasion to talk to him before his New York trip. This interview not only includes details about his upcoming visit but also about political life in Italy. Attempting to describe the difficult politics of Italy using simple words is not an easy task for us, but it is necessary if we want to let people who do not live in Italy understand its complicated politics.
     

    President, why are you coming to New York?

    Because this year the month of June is important for Apulia. The Big Apple has Eataly on Fifth Avenue, a mega-store built by Oscar Farinetti that collects the most important products of Italian gastronomy and oenology. Apulia will be Eataly's special guest for this month.

    The tastes and scents of such a particular place of the Mediterranean that is my land, Apulia, will be exposed and presented in this period. I will attend some of the extraordinary events  on schedule to let the gastronomic Apulia be better known here in the US. Many restaurants will serve Apulian extra-virgin olive oil and our wines, while our products will be exhibited in a sort of gastronomic jewelry store. It will be a moment dedicated to the palate and to the taste, but also to a cultural and commercial exchange between Apulians and Americans.

    All of this has a great meaning, being the event under the patronage of Slow Food: in Apulia we are committed not only to relaunch the economies of the countryside and agriculture in general, but also to place quality products at the center of a new agricultural economy carried on by the weaving factories of innovation. We have leaped forth during the last five years and today, and today we we will be especially happy to show our jewels in the splendid New York showcase”
     

     

    Promoting a region abroad is a great challenge. Especially - lets say it frankly - when one thinks about the un-intelligent way public funds have been spent in the past.
    Financially speaking, we cut all the wastes, the merry-go-round of appearances , of the ephemeral: an amusement park of the oligarchies. We cut it all: trips abroad, and in the US. They made no sense because they could not influence the region's economy.
     

    We concentrated on certain activities that are bearing excellent fruits. We have received investments in our aerospace district by one of the major Canadian entrepreneurs. Recently we welcomed Wang Yang of Guangdong, one of the richest areas of China, and signed a protocol about the development of renewable energy, tourism, and scientific activities in various fields.
     

    We tried to live every euro we spent in the process of internationalization as if it were a seed planted in the ground, and we were carefully trying to make it sprout. Now we see plenty of sprouts. The sough was tough but important for international cooperation.

    I would like to remind to everybody that during the first trimester of 2011, Apulia, in the midst of the economic crisis, raised its export rates to 19,9%: an extraordinary result in the Italian context.

    It is our commitment to become an important piece of the overall national economy.
     

    Up until 2005. the word Apulia, was widely unknown to the world. The word Brindisi was known, not for the amenities of the city, but because it was the port of departure for the ferries to Greece. Today there is an “Apulian tendency,” an Apulian brand, and we know it is a quality one. International tourism comes to my region more and more, unlike for the rest o the country. It means we are probably doing the right thing.”

    Local becomes ever more global and vice-versa. Would you define yourself a glocal politician?

    “I was born glocal!  I have always felt to be an Apulian in the world. I cared for my cradle, my roots, my affections, and for every stone of my land, but I have always been a citizen of the world.
      Throughout my political career I served in different areas in the world, from Bosnia to Colombia, from Tagikistan to Nicaragua: wherever there was a battle to be fought, I never turned away. I did it thinking that one loves his own land when he love the entire world.
     

    The Neapolitans and Milanese people have been part of a rational as well as emotional change, you said recently. If you had to tell an American friend about Italy, where would you start?

    The Italian political situation is complicated even ignoring left and right divisions and the many aggregates and extremes, not counting the extreme center.

    Many words would be needed. However, I can start saying that it is just not acceptable that a politician with conduct issues like Berlusconi is still in power. It is inconceivable abroad, and should be in Italy too.

    I feel observed when I'm abroad, as if I was carrying a sense of guilt in his place, and I feel the duty to explain why he's been there for 15 years.
     

    The center-left, for many reasons such as cultural backwardness, rowdiness, or fragmentation, hasn't represented a credible alternative to the center-right. Somehow even the laziness of its cultural battles allowed the right to become very aggressive ideologically and conquer the hearts of the country.
     

    Primaries had a very contrasted gestation, as in my case. The party was against them, I won twice and fought as much, first within the center-left coalition and then against the center-right.

    Primaries represent the possibility for a very large audience of young voters to take effective decisional power, the scepter, and to not allow party oligarchies to make fundamental choices such as who will govern a territory.
     

    In Italy they represented a shuffling of the cards, away from the old labels that sometimes seem more to be telling the past than to represent the present or the future.

    It was a democratic shock and the center-left had to get some air, and gave back hope to plenty of disenchanted voters. As soon as we got it we started winning, and now we will have to win to govern Italy!
     

    Are you optimistic?

    I am pessimistic from the point of view of the center-right, because the scene is catastrophic. It wouldn't be that bad if this catastrophe weren't reverberating across the country. Italy is living a dramatic season and has bitter days ahead. The consequences of these right-wing politics will be heavy and will burden the mangled corpse of the country for a long period.

    On the other hand, the center-left is gaining strength, also thanks to the recent wave of cultural renewal brought by the referendums and the last elections. Finally we are speaking about life, environment and change.
     

    What is your reaction when people talk about a Vendola-DeMagistris ticket?

    Many talk about these tickets...Bindi-Vendola, Bersani-Vendola, Vendola-De Magistris.

    I don't know what these tickets mean. They are personalities that have to co-operate and together build the structure of a new narration, a new flow to Italy and open an alternative building site.

    Anyway, it will be the people who decide during the primaries.

     

     
     
     

    Let's speak about emigration, an important topic for a newspaper like ours, which is addresseto readers who – directly or indirectly – lived through difficult emigrations here in the States. It is said that Italians are racists. There have certainly been episodes of intolerance. But how much of this depends on a kind of politics that wasn't able or purposely avoided to manage the phenomenon?

    Racism is an oppressive instrument of government. I believe that in Italy racism didn't succeed in sending away the immigrants, but placed them, instead, in a submerged situation of illegal work.
     

    Racism is also an instrument for scaring and impoverishing the lower-middle class. I think that Italy is last among the other European countries in reaching the inevitable enriching appointment with multiculturalism, giving birth to a multi-ethnic society.
     

    In Italy, according to  the Caritas organization, of every 5€ spent on immigration politics, 4€ were invested in repressive activities, while only 1€ on  inclusive politics.

    I think it would be enough to invert the proportion to face reality.

    If immigrants disappeared from Italy we would have a billion Euros less per year in gross domestic product, which the whole country benefits from: almost 9% of the national GDP comes from immigrant work.
     

    Two million families would lose their au pair people, nannies, helpers, who take care of their house, children or elderly relatives. We might lose the possibility of INPS being able to cover all the pensions. Immigrants contribute to the national coffers.
     

    In our lives we have fought racism with general ethics. We should be able to tell the truth. Our elementary schools have children of different colors. Some use fear, but once the topic of Africans is set aside it begins again with Eastern Europeans, Romanians, etc. Racism spreads its tentacles over the whole society and bring back homophobia.
     

    Unfortunately, our country had a regression under this center-right government, and now it is important to rebuild the vocabulary of knowledge, welcoming, and solidarity. Among cultures, nations, and people.

    We say goodbye and remind him of his previous American trip. He takes the opportunity to reassert:

    “I came for six days in November, which I spent between Sacramento, Washington and New York.

    I worked about twelve hours a day, meeting with Schwarzenegger at the summit on renewable energies and green economy. In Washington I met with Senator Kerry and all the main foundations from Ford to Rockefeller, and saw many economic operators, as well as giving lectures in New York and Washington.

    I did all of this, and went back to Apulia with an invoice of 6000€, all black on white. I think that this is pretty unprecedented. I think I am someone who manages the funds of his Region sensibly like the head of a household.”

    of a household.”

  • Nichi Vendola, glocal con la sua Puglia a NY

    ENGLISH VERSION

    Nichi Vendola, è il leader politico di centrosinistra che forse oggi in Italia ha il rapporto più immediato con i suoi elettori. Il suo impegno di tradurre in parole la prassi politica del suo lavoro come governatore della Regione Puglia è evidente tutte le volte che si vede tra la gente.

     
    Nella leadership italiana degli ultimi anni, dunque, la sua è una presenza molto legata alla sua base elettorale. Fanno ormai parte della storia del Paese le primarie per la Regione Puglia, in cui Vendola stravinse con numeri che superavano ogni aspettativa più rosea. Primarie che in Italia rappresentano ancora una novità e non sono parte della vita politica ordinaria come qui negli USA.
     
    i-Italy lo ha già incontrato,  nel corso  del suo precedente viaggio nella Stati Uniti. Anche in quell’occasione siamo rimasti stupiti dall’accoglienza riservatagli da italiani e italo-americani, americani, soprattutto dai giovani. Ricordiamo la sala della Casa Italiana Zerilli-Marimò  gremita e in quall'occasione moltissimi lo hanno seguito anche a distanza, grazie ad uno schermo allestito per l’occasione.
     
    Lo abbiamo raggiunto questa volta prima del suo nuovo viaggio a New York. Trovate qui un’intervista che non solo raccoglie alcuni dettagli sulla sua visita ma anche un affresco della vita politica italiana. Cercando di essere il più semplici possible, per provare a raccontare questa Italia politica così difficile da leggere per chi non ci vive.

    Presidente, perchè viene a New York?

    Perchè quest’anno per la Puglia giugno è un mese è un mese importante qui a New York. La mia regione è l’ospite d’onore di Eataly, il megastore della ristorazione italiana aperto da Oscar Farinetti sulla Quinta strada, che raccoglie le esperienze più importanti della gastronomia e dell’enologia italiana.
     

    Ci saranno gli odori, i sapori della mensa dei pugliesi, di questo luogo cosi particolare del Mediterraneo che è la mia terra. Ed io presenterò un insieme di eventi straordinari per far conoscere la Puglia gastronomica.  Tanti i ristoranti che serviranno l'olio extravergine d’oliva pugliese,  i nostri vini, ed i nostri prodotti, esposti come in una sorta di gioielleria gastronomica. 
     
    Un momento dedicato al palato ma anche ad uno scambio culturale, oltre che commericale, tra pugliesi ed americani.
     
    Ha un grande significato tutto questo, siamo sotto la regìa di slow food e noi in Puglia siamo molto impegnati non solo a rilanciare l’economia delle campagne, l’agricoltura, ma anche per mettere i prodotti di qualità al centro di una nuova economia agricola, delle campagne. Le vere filiere dell’innovazione. Abbiamo fatto un salto d’epoca negli ultimi cinque anni ed ora saremo particolarmente felici di far vedere i nostri gioielli nella splendida vetrina di New York.
     
    Promuovere una regione all’estero rimane una grande sfida. Soprattutto se si pensa a quanto denaro pubblico viene spesso speso in maniera – diciamo per essere gentili – poco intelligente…
    Noi abbiamo tagliato i finanziamenti a tutto ciò che consideravammo spreco. A quella giostrina dell’apparire, dell’effimero. A quel luna park delle oligarchie. Abbiamo tagliato tutto, incluse le trasferte all’estero ed anche negli USA. Non avevano alcun significato, perchè non avrebbero avuto alcuna ricaduta sulla economia nel territorio pugliese.
     
    Ci siamo concentrati invece su alcune attività che stanno dando risultati straordinari, come ad esempio il nostro distretto aerospaziale, che sta beneficiando degli investimenti di un grande imprenditore canadese.  Di recente abbiamo ricevuto Wang Yang, segretario del PCC del Guangdong - una delle più ricche regioni della Repubblica Popolare Cinese - con cui abbiamo firmato un protocollo d’intesa sullo sviluppo delle energie rinnovabile, del turismo, e su attività scientifiche connesse a vari comparti.
     
    Abbiamo cercato di vivere ogni euro che spendiamo nei processi di internazionalizzazione come un seme piantato in terra da cui con cura bisogna far nascere un germoglio. Ora vediamo tanti di questi germogli. La semina è stata dura, ma importante dal punto di vista della cooperazione internazionale.
     
    Vorrei ricordare che nel primo trimestre del 2011, in piena crisi encomica e finanziaria, la Puglia ha un aumentato l’export del 19,9%. Strardianrio, nel contesto italiano.
     
    E’ un impegno che stiamo costruendo per diventare un pezzo importante dell’economia internazionale, globale.
     
    La parola “Puglia” fino al 2005 era largamente sconosciuta dal pubblico mondiale. Si conosceva la parola “Brindisi” ma perchè in quella città c’è il porto da cui partono i traghetti per la Grecia. Oggi invece c’è una “tendenza Puglia”, un “brand Puglia” e si sa che è un brand di qualità. Il turismo internazionale viene nella mia regione in percentuali che sono in controtendenza rispetto all’economia turistica italiana. Vuol dire che forse stiamo lavorando bene”.
     
    Locale diventa sempre più globale e viceversa. Si definirebbe un politico “glocal”?
    “Io sono nato glocal! Nel senso che mi sono sempre considerato un “pugliese del mondo”. Ho avuto cura per la mia culla, per le mie radici, per i miei affetti, per le pietre del mio paese, ma mi sono sempre sentito un cittadino del mondo.
     
    In tutta la mia carriera politica ho servito lavorando in esperienze importanti, dalla Bosnia alla Colombia, dal Tajikistan al Nicaragua. Ovunque ci fosse da fare una battaglia, non mi sono mai tirato indietro. L’ho fatto pensando che si ama la propria terra quando si ama mondo.”
     
     

     
     
     
    Dopo le recenti elezioni amministrative lei ha detto che il popolo napoletano e milanese è stato partecipe di “un processo razionale, ma anche emotivo di cambiamento.” Ma se dovesse raccontare ad un amico americano che non sa niente di questa Italia, da dove comincerebbe?
    La situazione politica italiana è complicata a prescidere dagli schieramenti politici di centrodestra e centrosinistra, con una polarizzazione verso gli estremi, per non parlare dell’ “estremo centro”.
     
    Bisognerebbe spiegare tante cose. Ma indipendentemente dalla destra e dalla sinistra, dalla sua collocazione politica,  non è possible che un politico con dei problemi di condotta privata come Berlusconi sia ancora al Governo. Sono cose incomprensibili dall’estero! Questo fa la differenza. Io stesso quando viaggio mi sento osservato, diciamo quasi come il portatore di una colpa a causa sua. Mi chiedono spiegazioni.
     
    Il centrosinistra per tante ragioni di arretratezza culuturale, di rissosità interna, di frammantazione, non ha rappresentato un’alternativa credibile al centrodestra. In qualche maniera, anche la pigrizia delle sue battaglie culturali ha consentito alla destra di essere ideologicamente molto aggressiva conquistando l’egemonia nel Paese.
     
    Le primarie stanno cambiando la situazione?
    Le primarie hanno avuto in Italia una gestazione molto contastrata, come dimostra la mia vicenda. Il partito non le voleva, io ho vinto per due volte e ho combattuto il doppio, prima nel centrosinsitra e poi contro il centrodestra. Le primarie rappresentano invece la possiblità per una platea molto vasta di cittadini, di giovani elettori, di diventare sovrani, di appropriarsi dello scettro. E non dare in consegna alle oligarchie di partito le scelte fondamentali. Le primarie in Italia hanno rapprensentato un rimescolamento delle carte, fuori dalle vecchie etichette che a volte sembrano più raccontare il passato che non il presente e il futuro. Un sussulto democratico che ha aiutato il centosinistra a riprendere fiato, e ha restituto speranza a tanto elettrato disilluso. Ecco: appena abbiamo ripreso fiato, abbiamo ricominciato a vincere, e ora saremo costretti a vincere per governare l’Italia!
     
    E’ ottimista?
    Sono pessimista dal punto di vista del centrodestra, il quadro è catastrofico. Non sarebbe un male, se non fosse che la catastrofe si riverbera su tutto il Paese. L’Italia sta vivendo una stagione drammatica e vivrà giorni molto amari. Le conseguenze delle politiche di destra saranno pesanti e di lungo perido sul corpo maciullato del pasese. D’altro canto il centrosinistra sta tornando in forze, grazie anche alla ventata di rinnovamento culturale portata dai referendum e dalle ultime elezioni. Finalmente si parla della vita, dell’ambiente, e si vedono prospettive di cambiamento.
     
    E a chi parla di “ticket” Vendola-DeMagistris cosa dice?
    Molti ragionano su qusti ticket Bindi-Vendola, Bersani-Vendola,  Vendola-DeMagistris, Non so cosa siano questi ticket. Noi siamo personalità che devono operare insieme ed insieme costurire la trama di una nuova narrazione, di un nuovo discorso sull’Italia e deveno aprire il cantiere dell’alternativa. E poi con le primarie sarà il popolo a decidere …..
     
    Parliamo di migrazioni. Un tema molto importante per una testata come la nostra che si rivolge anche a lettori che direttamente o indirettamente hanno vissuto storie anche difficili qui negli USA.
    Si dice che gli italiani sono a volte razzisti con gli immigrati, dimenticando di essere stati loro stessi a lungo un popolo di emigranti. Certo ci sono stati seri fenomeni di intolleranza. Ma quanto di tutto questo dipende da una politica che non ha saputo o voluto gestire il fenomeno?
    Il razzismo è uno strumento oppressivo di governo dall’alto della società. Penso che il razzismo in Italia, mentre non è certo servito a cacciare gli immigrati, ha finito per costringerne tanti in una sistuazione di lavoro nero, sommerso. E’ un importante fattore economico competitivo al ribasso.
     
    Il razzismo è anche uno strumento per spaventare ed impoverire i ceti medio-bassi. Penso che l’Italia è arrivata ultima rispetto a tutti i Paesi europei all’appunamento fatale, ed io dico arricchente, con il multiculturalismo, con la società multietnica.
     
    In Italia, come dice la Caritas, su 5 euro spesi per le politiche di immigraizone, 4 euro sono andati al capitolo “repressione”, 1 euro a quello “inclusione”.
    Credo che basterebbe invertire la proporzione e ragionare sulla realtà.
     
    D'altra parte, se sparissero gli immigrati avremmo un miliardo all’anno in meno di ricchezza prodotta di cui beneficia il Paese intero. Cioè quasi il 9% del prodotto interno lordo è frutto del lavoro degli immigrati! Inoltre, due milioni di famiglie non avrebbero più una persona che accudisce i bambini, i vecchi, gli invalidi. E  l’INPS non riuscirebbe a pagare al completo le pensioni. Perchè, bisogna dirlo, gli immigrati contribuiscono alle casse del nostro Stato.
     
    Noi che abbiamo vissuto contrastando il razzismo sul piano dell’etica generale, dovremmo essere in grado di raccontare la verità. Le nostre scuole elementari hanno bambini di tanti colori. C’è chi usa la paura, e quando smette di parlare degli africani, comincia con gli immigrati dai Paesi dell’Est, poi continua con i rom, eccetera, eccetera… Il razzismo allunga i tentacoli su tutta la società favorendo il ritorno dell’omofobia.
     
    Purtropo il nostro Paese ha conosciuto un regresso con questa destra, un regresso anche viscerale, e ora si tratta di ricostruire un vocabolario della conoscenza, dell’accoglienza e della solidarietà. Tra culture, popoli e persone.
     
     
    Salutiamo il Governatore della Puglia ricordandogli il suo precedente viaggio a New York. Nichi Vendola ne ha un ricordo molto vivo e positivo, e ne approfitta per ribadire:

    “Sono stato negli USA sei giorni lo scorso novembre, tra Sacramento, Washington e New York.
    Ho lavorato mediamente dodici ore al giorno, ho incontrato il Governatore Schwarzenegger per il vertice sulle energie rinnovabili e la green economy a Sacramento; a Washington, il presidente della Commissione Esteri del Senato USA Kerry e tutti le principali fondazioni, da Ford a Rockfeller; ho visto molti operatori ecomici e ho fatto una lezione a New York ed una Washington.
     
    E dopo tutto questo, la fattura che ho presentato è stata di 6,000 euro, tutto documentato… credo che non esista nella storia un altro caso come questo! Penso di essere uno che governa con la sensabilità del padre di famiglia quando si tratta si tratta di prendere dalle casse di casa.”
     

  • Op-Eds

    The President of the Italian Republic, Giorgio Napolitano: From Eurocommunism to the Unification of Italy

    << ITALIAN VERSION

    We are all looking forward to the visit from President of the Italian Republic, Giorgio Napolitano, who has decided to continue the sesquicentennial anniversary celebration of Italy’s unification in the United States.

    The last time I saw him was in Washington during the spring of last year. I shook his hand and spoke with him briefly.

    The President of the Republic’s visit in 2010 was short but intense. It was a visit which perhaps was not covered enough by the media, neglecting the historical significance of his meeting with the President of the United States. I would like to consider it again, this time to coincide with his return to the U.S.

     

    The first former communist leader to become Italy's President met with the first African-American President in the White House. I have often wondered what was going through Giorgio Napolitano’s mind that day...

    Especially in light of his previous visit to the U.S. in 1978, a visit that was historic in its own right.

    Those were difficult times for our country; when Napolitano landed in the U.S. on April 4, 1978 it had been 18 days since the kidnapping of Aldo Moro (president of the Democratic Christian party) by the Red Brigades. Mr. Moro had just opened the path to a new form of institutional collaboration between the Christian Democrats and the Communists in Italy called “historic compromise.”

    At the time Mr. Napolitano, a leader of the moderate wing of the Italian Communist Party (PCI), had come to explain to Americans what was happening in Italy, what the Italian communists were becoming, and what "Euro-communism" was.

    The black and white images of “comrade Napolitano” in the U.S. show a young leader full of intellectual and political energy. I discussed that visit briefly with Professor Joseph LaPalombara of Yale University, who accompanied Napolitano on many meetings during his trip. It was truly another world, and we would like to look back on it as we welcome President Napolitano on his next visit here to celebrate the sesquicentennial anniversary of Italy’s unification.

    As a communist he was nicknamed "The Lord" for his elegance, poise, restraint, diplomacy, and  meticulousness, while others called him the "Red Prince," or "King Umberto" for its resemblance to Umberto the Second, the King of Savoy.

    There is a grain of truth to these nicknames – the nobility of spirit and elegance of a man, communist or not, who has served the State well. He was the first communist to become Interior Minister and even won the support of a hardened conservative, the late, great journalist Indro Montanelli.
     

    “I, along with two other colleagues,” recalls Professor LaPalombara, “had to engage in a fierce struggle to persuade the American government to allow him to come and visit the various leaders of so-called Eurocommunism. He was the first to arrive in ‘78 and we hosted him. I was the one to introduce him.”
     

    “It was great. He made a very positive impression wherever he went throughout the United States. Of course it was a fairly restricted trip; the federal government wanted to know everything, minute by minute, where this communist was. He was the first communist of a certain stature who was given permission to enter the country. They wanted there to be a detailed itinerary.”

     
    Over the course of a few days Napolitano met with prominent scholars such as James Tobin and the political scientist Robert A. Dahl. He had contacts in New York and Washington, at Princeton, Harvard, Yale, the Gilder Lehrman Institute of American History, the Council on Foreign Relations, Johns Hopkins, and Georgetown. He participated in seminars about Italy and the PCI.

    At the time, the speakers and attendees were from the world of academia – there were no politicians, members of Congress – but it is clear that he must been held in very high regard, not only as a political leader but also on a personal level.

    “He was very happy to come,” Palombara continues. “He gave unforgettable talks. At my school we thought that we would have a small audience, but were at least 200 people there.”

    “I particularly remember a meeting at the Council on Foreign Relations where he gave a speech on the economic situation in Italy and Europe with lawyers, professors, bankers. I remember their faces; they were nearly stunned and I think they were for three reasons.”

    “First, he was a communist leader who spoke English fluently. Second, his speech had an unexpected depth and intensity. Third, he was dressed in the Italian style, in a beautiful, handmade suit.”

    And Palombara’s memories and recollections about Napolitano’s 1978 trip nearly parallel Napolitano’s last visit to the U.S. when he met President Obama at the White House.

    “The meeting of these two prominent public figures is a historic moment of great symbolic value: a black man who is the first of his race to arrive at the White House meets with a former member of a communist party, an enemy of the U.S., who goes on to become the President of the Italian Republic.”

    The meeting with President Obama was most assuredly the culmination of his life’s work that has been inextricably linked to Italy’s history for almost seventy years.

    And so Napolitano was the first leader of the PCI admitted into the United States thanks to a visa granted in spite of restrictive legislation. His trip last year was very different, and remarkably, an opportunity to meet Nancy Pelosi, the frst Italian-American woman to be Speaker of the House, the third highest position in the State.

    This time he comes to ask his fellow Italian citizens abroad and all those who love Italy for what our country needs: “A new flash of inspiration and national understanding shared by Italians of all opinions and from all regions.”

     

    Another personal memory: in speaking to me for the first time about the trip in '78 was John Cappelli, an Italian journalist who un fortunately passed away in 2009. A correspondent for the United Nations at the time, John continued to identify as a communist until the end, despite beingan American citizen.

    Cappelli recounted with pride the time when the future president of the Italian Republic came to NewYork, how his English was excellent but needed to be edited because it was very academic, and how they worked on it together.
     

    With his eyes moist with memories, the elderly journalist told me that while working on the text of the report it had gotten very late, and GiorgioNapolitano’s sensitivity surprised him: he was worried because John lived far awayin the Bronx and would have to return home alone at night.
     

    I fondly remembered Cappelli, who loved to describe himself as an “Italian-Italian-American,” as soon as I learned about the meeting between Barak Obamaa and GiorgioNapolitano, and I think of him again on the occasion of the celebration of Italy’s unification here in NewYork.

     
     
     
     

  • Opinioni

    Il Presidente della Repubblica Italiana. Dall’Eurocomunismo all’Unità d’Italia

    << ENGLISH VERSION

    Aspettiamo tutti con ansia la visita del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha deciso di continuare negli Stati Uniti le celebrazioni del centocinquantesimo dell’Unità d’Italia.

     
    L’ultima volta l’ho visto a Washington, nel corso della primavera dell’anno scorso. Gli ho stretto la mano e parlato con lui brevemente.
     
     

    Quella del 2010 è stata un breve ma intensa visita per il Presidente della Repubblica. Una visita di cui forse non si è parlato abbastanza, trascurandone un pò la portata storica che ha visto il suo culmine nell’incontro con il presidente degli Stati Uniti. Vorrei ricordala ancora, nel momento del suo ritorno negli USA.
     
    Un ex comunista incontrava un presidente americano nero alla Casa Bianca. Mi sono chiesta più volte in quei giorni cosa sia passato per la mente di Giorgio Napolitano, soprattutto alla luce di una sua altra visita, quella del 1978. Una visita a sua volta storica.
     
    Erano momenti altrettanto difficili per il nostro Paese, erano passati 18 giorni dal rapimento di Aldo Moro (Presidente del partito Democrazia Cristiana) da parte delle Brigate Rosse quando Napolitano atterrò negli USA.
     
    Allora cercò di spiegare agli americani cos’era e cosa stava diventando il Partito Comunista Italiano (PCI), l’ “eurocomunismo”, l’Italia del “compromesso storico.”
     
    Sono ricordi in bianco e nero quelli del “compagno Napolitano”, allora giovane dirigente del PCI, negli Stati Uniti. Ne ho parlato con Joseph LaPalombara, Professore Emerito di Scienze Politiche presso l’Università  Yale. Fu lui ad accompagnarlo allora in molti incontri. Era veramente un altro mondo, ma ci piace ricordalo per accogliere il Presidente in questa altra visita importante che lo porta a celebrare l’Unità d’Italia.
     
    Lui il comunista a cui per l'eleganza, la compostezza, la moderazione, diplomazia, precisione, venne dato il nomignolo di Lord Carrington (politico britannico conservatore), mentre altri lo hanno chiamato Principe Rosso, o Re Umberto, per la sua somiglianza Umberto II Re di Savoia.
     
    In questi nomignoli un fondo di verità, nobiltà d’animo ed eleganza, quello di un uomo che, comunista o no, ha saputo servire lo Stato. E’ stato il primo comunista a diventare addirittura Ministro degli Interni con il consenso anche di un conservatore incallito come il grande giornalista ora scomparso Indro Montanelli
     
    “Io, con due colleghi – racconta LaPalombara - abbiamo dovuto fare una lotta feroce per persuadere il governo Americano e permettere che venissero a trovarci i vari dirigenti del cosidetto euro-comunismo. Lui fu il primo ad arrivare nel ‘78 e venne ospitato da noi. Sono stato io presentarlo.
     
    Fu bellissimo. Fece un’impressione molto positiva, ovunque andasse per gli Stati Uniti. Certo fu un giro abbastanza ristretto, il Governo federale voleva sapere tutto, minuto per minuto, dove si trovava questo comunista. Era il primo di una certa statura che aveva il permesso di entrare nel Paese. Hanno voluto che ci fosse un iter dettagliato."
     
    Napolitano incontra, in pochissimi giorni, prestigiosi studiosi come l’economista James Tobin e lo scienziato politico Robert A. Dahl. Tiene relazioni a New York, Princeton, a Washington, Harvard, Yale, al Lehrman Institute of American History, al Council on Foreign Relations, alla Johns Hopkins e a Georgetown. Partecipa a seminari sull’Italia ed il PCI.
     
    Certo allora gli interlocutori furono solo del mondo accademico, nessun politico, membro del congresso, ma è chiaro per lui deve essere stato molto importante non solo come leader politico ma anche a livello personale.
     
    “Era molto contento di venire - continua a raccontarci LaPalombara - ha tenuto dei discorsi indimenticabili. Alla mia facoltà pensavamo che avremmo avuto un pubblico ristretto, invece vennero almeno 200 persone.
     
    Mi ricordo poi benissimo una riunione al Council on Foreign Relations dove tenne un discorso sulla situazione economica italiana ed europea con avvocati, professori, banchieri. Ricordo i loro volti, erano quasi sbalorditi. E penso per almeno tre motivi.
    Primo, era un leader comunista che parlava inglese scorrevolmente. Secondo il suo discorso era di una profondità inaspettata. Terzo era vestito all’italiana, con un bel vestito tagliato a mano.”
     
    Ed il ricordo di quei tempi si affianca anche nelle parole di LaPalombara in maniera quasi naturale all’ultima visita di Napolitano negli USA. Quella in cui ha incontrato Barack Obama alla Casa Bianca.
     
    “Un momento storico di un grande valore simbolico. L’incontro tra due personalità. Il primo presidente nero degli Stati Uniti, poi un ex comunista membro di un partito nemico degli USA che diventa il Presidente della Repubblica.”
     
    Certo l’incontro con Obama è stato sicuramente il coronamento di quel lavoro da cesellatore che ha saputo accompagnare la storia d’Italia per quasi settanta anni.
    Napolitano fu dunque il primo leader del Pci ammesso in quanto tale negli Stati Uniti grazie a un visto d’ingresso concesso in deroga ad una legislazione restrittiva. Ben altro è stato il suo viaggio lo scorso anno, viaggio in cui ha incontrato, non va dimenticato, anche Nancy Pelosi, donna italo-americana, Speaker della Camera, terza carica dello Stato.
     
    Questa volta viene sicuramente a ribadire ai connazionali, e a tutti coloro che amano l’Italia qui,  che il nostro Paese ha bisogno di: "Uno scatto nuovo di sentimento e di consapevolezza nazionale che accomuni gli italiani di tutte le opinioni e di tutte le regioni." Così come ha detto nel corso delle celabrazioni del centocinquantesimo in Italia.

     

     

     
    Un altro ricordo personale: a parlarmi per la prima volta di quel viaggio del ’78 fu John Cappelli, un giornalista italiano che purtroppo è venuto a mancare nel 2009. Allora corrispondente alle Nazioni Unite, John aveva continuato a rivendicare il suo essere comunista fino alla fine, nonostante fosse cittadino americano.
     
    Cappelli raccontava con orgoglio di quando il futuro presidente della Repubblica Italiana venne a New York. Di come il suo inglese fosse ottimo, ma da rivedere, perché molto accademico. Di come lo editarono insieme.
     
    Con gli occhi umidi di ricordi il vecchio giornalista mi disse come, nel rieditare il testo della relazione, s’era fatta notte, e Giorgio Napolitano lo stupì per la sua sensibilità: si preoccupava perchè John abitava lontano, nel Bronx, e avrebbe dovuto tornare a casa da solo nella notte.
     
    Non poteva non venirmi in mente Cappelli che amava definirsi  “italo-italo-americano”, appena ho saputo dell’incontro tra Giorgio Napolitano e Barack Obama, non posso che ricordarlo ancora in occasione delle Celebrazioni dell’Unità d’Italia, qui a New York.
     
     
     
     

  • Op-Eds

    Bocca di Rosa, Ruby and the Love for Passion

    ITALIAN VERSION
     

    “What song represents you the most?”

    “Surely Bocca di rosa”.

    That was Fabrizio De Andrè’s answer to journalist Vincenzo Mollica.

    So, Frabrizio, help us again.

    (The lyrics are at the bottom of the article)

     
     

    NEW YORK. How can we teach the young generation of today that love can be made freely also for passion? How can we explain that the Ruby affair is simply a sad story of an immigrant girl exploited by the powerful and not the road to success, or to a political career? That Nicole Minetti’s story is not a good example to follow? And how to explain that what happened to the unlucky Moroccan girl is not the best road to liberation?

    How can we then tell those like Vittorio Sgarbi (Italian art critic, politician, cultural commentator) Ferrara (Italian politician, journalist, founding editor of Il Foglio) , and many others, that ours is not an attack of puritanism, that this is not indignation born from moralism?

    Fabrizio help us!

     

    “For passion and not for money”. Make love for passion. This is the key to everything. Bocca di Rosa is not an exploited girl bewitched by the powerful, she is an uninhibited girl, free, unconventional, only moved by her own passion for love and, yes, for sex.
     

    She knows no exploitation and does not ask for gold Rolexes, jewels and expensive clothes in exchange. Perhaps she comforts the priest, the policeman, the worker, as well as the mayor.
     

    Unwillingly she is paradoxically close to the sexual liberation of the 1970s. She is so naturally, without the need to conceptualize.

    And the village of Sant’Ilario seems very small to her. It is a place like many others, as was common at the time, with its good-thinking women, disappointed husbands, a barrack of Carabinieri, a priest, and a station.

    She had sex as a mission. Too bad our Prime Minister never met her. He would have saved money and frustration. But perhaps she would have been too leftist for him. We doubt he ever met such women and such an uninterested way of loving. Actually, we are sure. Otherwise he would have more esteem for them instead of using them only for paid Bunga Bunga dances.
     

    Bocca di Rosa is not a prostitute. She is some kind of angel. How many men have dreamed of a girl like this, who loves freely? And De Andrè doesn’t judge her – as always in his songs – but tells her story and welcomes her in the village priest’s procession. Sacred and profane are simply mixed.
     

    Bocca di Rosa was having a revolution, in her own way. She did it then and would do it even more today in a less “proper” world. She would revolt because of her purity, for her free way of loving.
     

    Sex, today, is not only a market phenomenon, but also an instrument for entering politics. Not that bedchambers haven’t always been a place to get close to power, but was it ever so publicly recognized and absolved? Even wished by the parents of the gorgeous daughters? Is this a return to the high class concubinage of a few centuries ago?
     

    “The vagina is mine and I do what I want with it” women cried out forty years ago. They were looking for even rights to males and not for a price on their gender.

    Plenty of water has passed under the bridge since then. Feminism left its mark and lost others. March 8 seems fake, nowadays. And yet, seen from New York, for instance, it recalls another tragic episode that saw the death of exploited women in the Triangle Factory, mostly female European immigrants, half of which Italian. Not Moroccan, then…
     

    It is difficult to tell this to many girls, today. But to accuse as Pharisees/moralists those who protest against the lifestyle of those women who dream of entering the Arcore villa…
     

    It is difficult to explain that Ruby Rubacuori is not an emancipated woman, but the daughter of an immigrant who lived in Italy for many years of difficult integration, a country always researching easy shortcuts to personal success.
     

    There are no “good” women on one side, and prostitutes on the other. There is simply a lot of exploitation and sadness behind these stories. There are women who are used, fooled and exploited, to the face of those who dreamed of a completely different sexual liberation.
     

    The ease of some young women today has very little to do with the battles of the 1970s for abortion and divorce. It doesn’t challenge high values such as loyalty and marriage, or that hypocritical catholic Italy, deeply chauvinist, where law used to punish women for adultery and men for concubinage. Ruby and Nicole aren’t fighting the system, they are feeding it, using it and being used by it, they are an integrated part of it.
     

    So Fabrizio, what can we do about it?

    ---

    "Bocca di Rosa" di Fabrizio De Andrè (1967)

    La chiamavano bocca di rosa
    metteva l'amore, metteva l'amore,
    la chiamavano bocca di rosa
    metteva l'amore sopra ogni cosa.

    Appena scese alla stazione
    nel paesino di Sant'Ilario
    tutti si accorsero con uno sguardo
    che non si trattava di un missionario.

    C'è chi l'amore lo fa per noia
    chi se lo sceglie per professione
    bocca di rosa né l'uno né l'altro
    lei lo faceva per passione.

    Ma la passione spesso conduce
    a soddisfare le proprie voglie
    senza indagare se il concupito
    ha il cuore libero oppure ha moglie.

    E fu così che da un giorno all'altro
    bocca di rosa si tirò addosso
    l'ira funesta delle cagnette
    a cui aveva sottratto l'osso.

    Ma le comari di un paesino
    non brillano certo in iniziativa
    le contromisure fino a quel punto
    si limitavano all'invettiva.

    Si sa che la gente dà buoni consigli
    sentendosi come Gesù nel tempio,
    si sa che la gente dà buoni consigli
    se non può più dare cattivo esempio.

    Così una vecchia mai stata moglie
    senza mai figli, senza più voglie,
    si prese la briga e di certo il gusto
    di dare a tutte il consiglio giusto.

    E rivolgendosi alle cornute
    le apostrofò con parole argute:
    "il furto d'amore sarà punito-
    disse- dall'ordine costituito".

    E quelle andarono dal commissario
    e dissero senza parafrasare:
    "quella schifosa ha già troppi clienti
    più di un consorzio alimentare".

    E arrivarono quattro gendarmi
    con i pennacchi con i pennacchi
    e arrivarono quattro gendarmi
    con i pennacchi e con le armi.

    Il cuore tenero non è una dote
    di cui sian colmi i carabinieri
    ma quella volta a prendere il treno
    l'accompagnarono malvolentieri.

    Alla stazione c'erano tutti
    dal commissario al sagrestano
    alla stazione c'erano tutti
    con gli occhi rossi e il cappello in mano,

    a salutare chi per un poco
    senza pretese, senza pretese,
    a salutare chi per un poco
    portò l'amore nel paese.

    C'era un cartello giallo
    con una scritta nera
    diceva "Addio bocca di rosa
    con te se ne parte la primavera".

    Ma una notizia un po' originale
    non ha bisogno di alcun giornale
    come una freccia dall'arco scocca
    vola veloce di bocca in bocca.

    E alla stazione successiva
    molta più gente di quando partiva
    chi mandò un bacio, chi gettò un fiore
    chi si prenota per due ore.

    Persino il parroco che non disprezza
    fra un miserere e un'estrema unzione
    il bene effimero della bellezza
    la vuole accanto in processione.

    E con la Vergine in prima fila
    e bocca di rosa poco lontano
    si porta a spasso per il paese
    l'amore sacro e l'amor profano.

     

  • Opinioni

    Bocca di Rosa, Ruby e l’amore per passione

    "Qual è la canzone che più ti somiglia?
    Sicuramente Bocca di rosa"

    Così rispondeva Fabrizio De Andrè al giornalista Vincenzo Mollica.
    Allora, Fabrizio, aiutaci ancora tu.
     
    (Il testo della canzone in fondo all'articolo)
     

    NEW YORK. Come facciamo a spiegare alle giovani di oggi che l’amore si può fare liberamente anche per passione? Come facciamo a far capire che la storia di Ruby non è che una triste vicenda di una ragazza immigrata sfruttata dai potenti e non la strada più veloce verso il successo? E magari verso un incarico politico? Che quello di Nicole Minetti non è in fondo un bell'esempio da seguire? E come si spiega che quella della giovane sfortunata marocchina non è la migliore via verso la liberazione?
     
    Come diciamo poi anche a Sgarbi, Ferrara, e a molti altri,  che questo nostro non è un attacco di puritanesimo? Che non si tratta insomma di indignazione dettata da moralismo.
     

    Fabrizio aiutaci tu!
    “Per passione e non per denaro”. Fare l’amore per passione. Questa è la chiave di tutto. Bocca di Rosa non è una ragazza sfruttata e ammaliata dai potenti, è una ragazza disinibita, libera, anticonvenzionale, mossa solo dalla propria passione di amare e sì, di fare sesso.

    Non conosce sfruttamento e non chiede in cambio rolex d’oro, gioelli e vestiti firmati. Magari allieta il sacrestano, il carabiniere, l’operaio insieme al sindaco del paese.

     
    E’ una donna inconsciamente, paradossalmente vicina alla liberazione sessuale degli anni settanta. Lo è naturalmente, senza bisogno di concettualizzare.
     
    E nel paesino di Sant’Ilario ci sta certo un pò stretta. E’ un posto come tanti, come erano in quegli anni, con le sue donne benpensanti, i mariti delusi, una caserma dei carabinieri, un sacrestano,  una stazione.
     
    Lei faceva l’amore per missione. Peccato che il nostro premier non l’abbia incontrata. Si sarebbe risparmiato molte spese e delusioni. Ma forse sarebbe stata troppo di sinistra per lui. Dubitiamo che abbia incontrato mai quelle donne e quel modo disintessato di amare. Anzi ne siamo sicure. Altrimenti avrebbe maggior considerazione per per il gentil sesso invece di usarlo solo per ballare il bunga bunga a pagamento.
     
    Bocca di Rosa non è una prostituta. E’ una sorta di angelo. Quanti uomini hanno immaginato una donna così, che ama per niente? E De Andrè non la giudica - come sempre nelle sue canzoni - la racconta e la fa accogliere in processione dal parroco del paese. Il sacro ed il profano si affiancano, con semplicità.
     
    Bocca di Rosa faceva, a modo suo, una rivoluzione. La faceva allora e la farebbe ancora di più oggi in un mondo che forse è meno “per bene”. La farebbe proprio per la sua purezza. Per il suo modo libero di amare.
     
    Oggi il sesso non è solo un fenomeno di mercato, ma anche uno strumento per entrare in politica. Per carità il letto è sempre stato un luogo per avvicinare il potere, ma in modo così pubblicamente riconosciuto, assolto? Anzi addirittura desiderato da genitori di belle figliole? Cos'è, un ritorno al concubinato d'alto bordo di qualche secolo fa?
     
    «La vagina è mia e me la gestisco io» urlavano le donne quarant'anni fa. Cercavano un rapporto di piena parità con l’uomo e non il prezzo del proprio sesso.

    Molta acqua è passata sotto i ponti. Il femminismo ha lasciato i suoi segni ed altri ne ha persi. L’8 marzo sembra ormai una data finta. Eppure, visto da New York, ad esempio, ricorda un altro episodio tragico che ha visto la morte di donne sfruttate alla Triangle factory. Donne per lo più emigrate dall’Europa. Circa la metà italiane. Non erano marocchine, allora...

     
    Difficile raccontare tutto questo a tante ragazze di oggi. Ma dare del bacchettone/moralista a chi contesta lo stile di vita di donne che sognano di entrare nella villa di Arcore...

    Difficile far capire che Ruby, Ruby Rubacuori non è una ragazza emancipata, ma la figlia di immigrato che da anni viveva in Italia con grandi difficoltà di integrazione. In un paese sempre più alla ricerca di facili scorciatoie per raggiungere l'affermazione personale.
     
    Non ci sono donne «bene» da un lato, e dall'altro  prostitute. C’è tanto sfruttamento e tristezza dietro queste storie. Ci sono donne usate, ingannate e strumentalizzate, alla faccia delle generazioni che hanno sognato tutt'altra liberazione sessuale.
     
    La disinvoltura di alcune giovani donne, oggi, ha ben poco a che a fare con le battaglie degli anni '70 per l’aborto, il divorzio. Non mette in discussione alti valori come la fedeltà e il matrimonio. Non lancia una sfida a quell’Italia ipocritamente cattolica, profondamente maschilista, dove la legge puniva la donna per adulterio, il maschio per concubinato. Ruby e Nicole non lottano contro "il sistema", lo alimentano, lo usano e se ne fano usare, ne sono parte integrante.
     
    Allora Fabrizio. Come si fa?
    Come dire che si può amare anche per niente, senza secondi fini, solo per  la passione di amare? Per sentirsi libere. E come lo spieghiamo oggi, non solo ai preti, alle signore ben pensanti di Sant’Ilario, ma anche a molte giovani spinte a fare dell’immagine del loro corpo l'unica chiave del proprio successo? E perchè no, cone lo spieghiamo al nostro Premier, a Ferrara, Sgarbi... e a tutti gli altri...

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    "Bocca di Rosa" di Fabrizio De Andrè (1967)

    La chiamavano bocca di rosa
    metteva l'amore, metteva l'amore,
    la chiamavano bocca di rosa
    metteva l'amore sopra ogni cosa.

    Appena scese alla stazione
    nel paesino di Sant'Ilario
    tutti si accorsero con uno sguardo
    che non si trattava di un missionario.

    C'è chi l'amore lo fa per noia
    chi se lo sceglie per professione
    bocca di rosa né l'uno né l'altro
    lei lo faceva per passione.

    Ma la passione spesso conduce
    a soddisfare le proprie voglie
    senza indagare se il concupito
    ha il cuore libero oppure ha moglie.

    E fu così che da un giorno all'altro
    bocca di rosa si tirò addosso
    l'ira funesta delle cagnette
    a cui aveva sottratto l'osso.

    Ma le comari di un paesino
    non brillano certo in iniziativa
    le contromisure fino a quel punto
    si limitavano all'invettiva.

    Si sa che la gente dà buoni consigli
    sentendosi come Gesù nel tempio,
    si sa che la gente dà buoni consigli
    se non può più dare cattivo esempio.

    Così una vecchia mai stata moglie
    senza mai figli, senza più voglie,
    si prese la briga e di certo il gusto
    di dare a tutte il consiglio giusto.

    E rivolgendosi alle cornute
    le apostrofò con parole argute:
    "il furto d'amore sarà punito-
    disse- dall'ordine costituito".

    E quelle andarono dal commissario
    e dissero senza parafrasare:
    "quella schifosa ha già troppi clienti
    più di un consorzio alimentare".

    E arrivarono quattro gendarmi
    con i pennacchi con i pennacchi
    e arrivarono quattro gendarmi
    con i pennacchi e con le armi.

    Il cuore tenero non è una dote
    di cui sian colmi i carabinieri
    ma quella volta a prendere il treno
    l'accompagnarono malvolentieri.

    Alla stazione c'erano tutti
    dal commissario al sagrestano
    alla stazione c'erano tutti
    con gli occhi rossi e il cappello in mano,

    a salutare chi per un poco
    senza pretese, senza pretese,
    a salutare chi per un poco
    portò l'amore nel paese.

    C'era un cartello giallo
    con una scritta nera
    diceva "Addio bocca di rosa
    con te se ne parte la primavera".

    Ma una notizia un po' originale
    non ha bisogno di alcun giornale
    come una freccia dall'arco scocca
    vola veloce di bocca in bocca.

    E alla stazione successiva
    molta più gente di quando partiva
    chi mandò un bacio, chi gettò un fiore
    chi si prenota per due ore.

    Persino il parroco che non disprezza
    fra un miserere e un'estrema unzione
    il bene effimero della bellezza
    la vuole accanto in processione.

    E con la Vergine in prima fila
    e bocca di rosa poco lontano
    si porta a spasso per il paese
    l'amore sacro e l'amor profano.

     

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