Mi chiamo Francesco Totti incorona l’ottavo re di Roma

Elena DEL FORNO (October 20, 2020)
Evento speciale del Festival del Cinema di Roma il documentario "Mi chiamo Francesco Totti", prodotto dalla Wildeside e Raicinema. Le vicende pubbliche e private di un campione che ha dato nel 2017 l'addio al calcio e che rimane l'indiscusso ottavo re di Roma

La voce narrante di Francesco Totti, l’ottavo Re di Roma, è uno dei tanti pregi di questo film documentario girato da Alex Infascelli e per tre giorni al cinema, ma Vision Distribution naturalmente spera siano molti di più, che ripercorre la vita calcistica, ma soprattutto ci narra l’uomo dietro al calciatore. Commovente, ironico, emozionante anche per chi non è appassionato di calcio e anche per chi fa il tifo per un’altra squadra che non sia la Roma.

Infascelli ha il grande merito di trovare la chiave per entrare in tutta la gamma delle emozioni del Pupone e Francesco ha la capacità, ma soprattutto la lucidità, di commentare la sua vita quasi fosse quella di un altro, con la battuta sempre pronta e la lettura divertente ma anche emozionata ad ogni capitolo della sua vita che non è sempre stata rose e fiori. 

Il film si apre alla viglia dell’ultima partita di Francesco, quella del suo addio al calcio dopo 25 anni passati tra Trigoria e l’Olimpico. Felpa e cappuccio in testa, come fosse un boxeur o Kurt Russell in fuga da New York, un’icona che saluta in uno stadio pieno di memorie che gli rimbalzano in testa, in un abbraccio impressionante che il 28 maggio del 2017 il popolo della Roma gli ha tributato per l’ultima volta.

Agiografico? Certamente, ma non è peccato voler trasformare Totti in supereroe perchè in fondo è così che lo hanno vissuto i tifosi durante tutta la carriera. E poi Totti non si discute, si ama o si odia, come un monumento, una fede, un’ideologia. Fa bene quindi Infascelli a darci in pasto tutto quello che c’è e anche qualcosa di più.

Attraverso filmini in super8 d’epoca e materiale certamente per gran parte inedito la storia si snoda dal primo calcio al pallone di un Francesco appena treenne seguendo la crescita personale e professionale di un ragazzino che da via Vetulonia è arrivato alle vette impressionanti del calcio mondiale vincendo uno scudetto, un mondiale e vari altri premi, non risparmiandosi comunque infortuni e sofferenze e una vita con le sue complessità e difficile a volte da vivere normalmente. C’è un passaggio in cui Francesco dice “Vorrei veramente per un giorno, almeno  un giorno, poter uscire liberamente di casa senza fare selfie e autografi e parlare con nessuno, vorrei poter essere una persona normale. Ce la farò a farlo prima di morire?”. Mi ha ricordato il film di David Lynch, Elephant Man, in cui il protagonista, John Merrick, in fondo sogna solo di poter dormire una volta come una persona normale.

Spesso chi cerca la fama vive per quei momenti, Francesco non l’ha cercata, gli è arrivata perchè aveva dei piedi fenomenali, ma ha dovuto imparare a gestirla e a conviverci, da alieno a volte sulla Terra.

Naturalmente oltre al calciatore c’è l’uomo, con la sua simpatia innata e il suo spirito di guerriero, un vero capobanda in campo e un autentico timido fuori. Sono memorabili i minuti in cui parla del suo incontro con Ilary Blasi, come ha cercato di conquistarla e quello che sarebbe successo se quel giorno non avesse segnato il gol che avrebbe poi dedicato alla sua bella. Da quell’incontro è arrivato poi un matrimonio nel 2005 e sono nati tre figli splendidi con cui ha costruito un rapporto tenerissimo. Ma quanto sa essere dolce, tanto può essere severo,  specie nel criticare probabilmente giustamente l’ultimo allenatore Spalletti che da amico in passato gli si è rivoltato contro nelle ultime stagioni.

Ero in sala a vederlo con delle amiche, una delle quali romanista. Alla fine abbiamo pianto tutte e tre perchè quando Totti esce dal campo per l’ultima volta, non puoi non piangere con lui, che ti importi o meno del gioco del calcio.

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