La legge dell'alternanza: chi ha vinto e chi ha perso

Emanuela Medoro (November 09, 2016)
Le elezioni viste dall'Italia. Donald Trump ha voltato pagina, ha scritto una pagina di storia nuova, mettendo nel dimenticatoio il paesaggio politico tradizionale del ventesimo secolo

Ha vinto, sia pure in modo anomalo, la legge dell’alternanza, una legge non scritta, ma molto forte, secondo cui i due partiti principali, il repubblicano e il democratico si alternano alla Casa Bianca. In modo anomalo, perché nella Convention repubblicana di Cleveland, Donald Trump non ebbe l’appoggio ufficiale del partito che lui ha scalato dall’esterno durante le primarie, trascinato da una fortissima ondata di simpatia popolare. Per la stessa ondata, oggi lui ha la maggioranza sia al congresso che al senato, e diviene dunque onnipotente, può tutto. Per questo si parla di Trumpismo, un soggetto politico originale, sorprendente e per ora sconosciuto, alternativo ai due partiti storici e tradizionali.

Donald Trump ha voltato pagina, ha scritto una pagina di storia nuova, mettendo nel dimenticatoio il paesaggio politico tradizionale del ventesimo secolo, già pesantemente toccato in Europa dal recente Brexit. Hanno vinto gli scontenti, tutti quelli bianchi o di colore che protestano, la classe media bianca impoverita dai cambiamenti radicali del mondo del lavoro, gli impauriti dalle novità della emigrazione degli ispanici e dei musulmani. Ha vinto perché li ha fatti sognare in grande, promettendo di creare fabbriche e posti di lavoro, alzare mura di difesa e scacciare gli intrusi, cioè i poveracci del resto del mondo che aspirano alla loro briciola di sogno americano. Nordamericano.

Sconfitta Hillary Rodham Clinton: voleva, fortissimamente essere la prima donna nella sala ovale della Casa Bianca. Sebbene sconfitta durante le primarie del 2008 da Barack Obama, sette anni dopo, nell’aprile del 2015, con largo anticipo rispetto all’ inizio delle votazioni primarie, si mise di nuovo in gara, con un comizio di apertura piuttosto deludente. Moglie di Bill Clinton, 8 anni alla Casa Bianca come First Lady, senatrice per lo stato di New York e ministro degli esteri durante il primo periodo Obama, chiude oggi tristemente la sua carriera politica. A questo punto come donna, scrivo che non mi è mai piaciuto il fatto che sia entrata in politica usando il cognome del marito. Bill era solo Clinton, ma lei non è mai stata solo Hillary Rodham. Nella sconfitta non c’entra che è donna, c’entra invece il fatto che lei rappresenta l’élite di Washington, l’arroganza dei poteri economici e finanziari, che dovunque nel mondo creano proteste.

Sconfitta la sua comunicazione. Non si può votare una persona solo perché donna. La frase più ripetuta durante la sua campagna: “Sei con me? Se sei con me versa un dollaro”, mi è sembrata petulante e meschina. A parte la indiscussa preparazione giuridica e politica e le strabilianti capacità dialettiche, non mi è giunto (potrei sbagliare) un pensiero originale, suo personale, o uno slogan efficace, che portasse avanti i programmi e le idee del suo predecessore, adattandoli ai tempi nuovi e capaci di scuotere e trascinare i sentimenti e le speranze delle masse dei probabili votanti.

Sconfitti i maggiori organi di stampa americana, e tutti quelli che avevano dichiarato esplicitamente il sostegno alla Clinton, ritenendo D. Trump caratterialmente inadatto alle funzioni di presidente. A questo punto cito una frase di Barack Obama: “Mettereste questa valigetta nelle mani di quest’uomo?” parlando della valigetta contente le chiavi del sistema nucleare. Ed insieme a questi, sconfitti ed inutili i dibattiti televisivi, in cui lei risultava certamente la più preparata in politica interna ed estera, e la più capace di reggere il filo logico di un discorso senza divagazioni inutili.

Sconfitto anche uno dei punti chiave dell’etica pubblica americana: la chiarezza nei rapporti con il fisco. Sebbene sollecitato da più parti, D. Trump non ha mai pubblicato la sua dichiarazione dei redditi, come a suo tempo fece B. Obama e come ha fatto H. Clinton. Recentemente è uscito fuori che non paga le tasse da vent’anni per un vecchio credito d’imposta. Geniale, secondo Rudolf Giuliani, ma criticatissimo da Bernie Sanders. Questione di punti di vista.

Nel suo discorso iniziale il nuovo presidente si è sforzato di chiudere crepe e superare differenze sforzandosi di riunire e superare divergenze e contrapposizioni. Staremo a vedere, questa novità storica ci darà tantissimo materiale per scrivere. Per ora non ci resta che dire, con un po’ di ottimismo americano alla Rossella O’Hara. “Domani è un altro giorno.”

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