Da una barca a tavola, con i Serafina Boys

Letizia Airos (April 12, 2012)
Ceno con Vittorio Assaf e Fabio Granato, i due eterni ragazzi dietro il successo della fortunata catena di ristoranti newyorkesi. Tra una pizza al tartufo e una burrata con dell'ottimo vino il racconto della loro storia americana. Con noi anche la loro amica e sommelier, Alessandra Rotondi. Il loro nuovo 'Serafina Meatpacking' sta per aprire: "ci siamo inventati un menù solo per maggiorenni. Occorrerà avere 21 anni per ordinarlo. E’ a base di Tequila.”

ENGLISH VERSION >>

“Imbarcarsi in un’avventura” si dice in Italia. E’ un modo di dire più che indovinato per Vittorio Assaf e Fabio Granato, che però non sono nè marinai nè esploratori.

Si tratta invece degli ormai ‘leggendari’, e molto noti nell’ambiente, proprietari della fortunata catena di ristoranti Serafina. Ma pochi amici sanno che la loro avventura americana è cominciata in barca. La loro è una storia che va raccontata.

Li incontro insieme, nel migliore dei posti, seduta ad un tavolo del loro nuovo locale Serafina Upper West.  – fra pochi giorni il penultimo ristorante aperto a New York. Il 17 aprile viene battezzato infatti Serafina Meatpacking. Al tavolo con noi anche Alessandra Rotondi, loro sommelier da diversi anni.
 

E’ una delle conversazioni più divertenti che abbia mai avuto. Vittorio Assaf e Fabio Granato mi raccontano molto della loro vita. Tra un annedoto e l’altro, spesso tanta divertente confusione nei ricordi, i loro piatti parlavano a loro volta con colori, profumi, sapori.

“E’ un ristorante magico, questo. E’ una zona per famiglie e siamo invasi anche da piccolissimi. I genitori li portano. Nel pomeriggio c’è un atmosfera molto particolare ed io sono felice che sia così. Sono loro i nostri futuri clienti. Poi ogni sera abbiamo sempre più gente.” Vittorio mi accoglie con un sorriso molto dolce, dall’altra parte del tavolo, Fabio che all’inzio è più distaccato, mi scruta.
 

Ma mi faccio subito raccontare la storia della barca. Ovvero del catamarano.

“E’ nato tutto quel giorno. Avevamo deciso di fare del parachuting nel fine settimana. Siamo andati a Southampton ma dopo una giornata di lezione ci hanno detto che c’era troppo vento. Non potevamo lanciarci quindi. Chiaramente – osserva scherzando Fabio – Vittorio non aveva alcuna intenzione di farlo fin da quando aveva firmato impaurito le liberatorie da ogni responsabilità”.
 

Vittorio interviene: “Una cosa tremenda! 64 mila pagine con scritto: se perdi l’orecchio non ci denunci, se diventi scemo non ci denunci, se muori non ci denunci…”

Così, non potendo paracadutarsi, decisero di affittare un catamarano. “Vittorio, io non so niente del mare – gli dissi  – lui mi rispose: non devi fare niente, stai tranquillo! Prendiamo una barca a vela e vediamo dove ci porta il vento”

Dove ci porta il vento…. Ma il vento era troppo forte anche per una barca. E poco dopo in mare se ne sono resi conto. Troppo tardi.
 

“Le nostre ragazze ci abbandonano– dice Vittorio – siamo partiti noi due.  Dopo solo dieci minuti si stacca l’albero della barca. C’erano 50 nodi di vento. “
 

Rimangono da soli in mezzo alla baia. In lontananza le luci si accendono nelle case. Si fanno le 8 di sera. Non li nota nessuno. Nessuno viene ad aiutarli.
 

“Le onde erano altissime. Non ci vedevano. Urlavamo inutilmente. Ad un certo punto per sdrammatizzare ci mettiamo a parlare di cibo. Di cosa ci piace. Di pizza e pasta. Le fidanzate, ormai a casa, non vedendoci tornare, chissà, pensavano che forse avevamo trovato delle altre! Passa tanto tempo e noi decidiamo: una volta usciti vivi avremmo inventato la pasta e la pizza che non c’era a New York!”
 

Solo molto tardi le loro ragazze si rendono conto dell’assenza prolungata. Chiamano il 911 ed un elicottero li avvista verso le 2 di notte. Tornano a casa infreddoliti ma salvi. Devono realizzare quanto si sono promessi. “Abbiamo cominciato subito a cercare la location, l’apertura un anno dopo:  il 17 luglio del '95 .”
 

Gli aneddoti che raccontano tra una prelibatezza e l’altra sono tantissimi. Purtruppo non posso raccontarli tutti, ma sono tornata a casa ridendo fra me e me.
 

Vittorio: “Abbiamo visto allora quanto nessuno ancora vedeva. Nessuno credeva nel nostro progetto. I nostri amici, poveri o ricchi, dicevano: ma cosa pensate di fare, un ristorante? E poi al secondo piano? Buttate i soldi!"
 

Fabio: “Le nostre stesse famiglie non ci appoggiavano. Poi mi ricorderò sempre un signore ciccione americano che un giorno mi disse: Who the fuck do you think is gonna come upstairs?  Ma poi mi ha chiesto scusa, appena aperto il ristorante, quando ha visto la coda”.
 

Ma cerco di capire, di carpire qualche segreto da questi ristoratori che hanno ormai aperto tantissimi ristoranti e non solo a New York.
 

“E’ stata fin dall’inzio una combinazione di elementi – dice Vittorio – l’energia, il décor,  ma soprattutto ripeto abbiamo inventato un’industria che allora non c’era.

Esistevano infatti ristoranti italiani stiff, di lusso e poi non c’era niente. Ovvero non una via di mezzo. Abbiamo deciso di cambiare il modo di far mangiare. Abbiamo trovato una nicchia con lo slogan: ‘Benvenuti a casa’. La gente si doveva sentire bene e  doveva pagare il giusto.

Un esempio oggi? Penne alla vodka a 10 dollari. Ti cosa di meno mangiarle qui che cucinarle a casa! Devi comprare le penne De Cecco, poi il Parmigiano Reggiano, poi il Sale marino sicilano, poi la Vodka, poi il Vero pomodoro Sammarzano di Napoli….”
 

“Siamo aperti 7 giorni alla settimana. Con 1500 dipendenti diamo da mangiare a 5000-6000 persone al giorno” .
 

Una storia di successo. Sono nati poi molti altri ristoranti. Un po' di nomi: Serafina Fabulous Grill, Serafina Osteria, Serafina Broadway, Serafina at The Time Hotel, Serafina East Hampton, Serafina Philadelphia, Serafina White Plains, Serafina Upper West and Serafina Sao Paulo in Brazil.  E poi altri  non solo di cucina italiana: Geisha Brasserie e Cognac.

Ma ecco un altro aneddoto. Il locale Serafina 61 prima non si chiamava così ma Sophia. Era il nome di una ex fidanzata che si sperava tornasse. “Sì, ha catturato il romanticismo della gente. C’era la coda ma un tavolo era sempre vuoto. La gente sapeva che si aspettava Sophia. Sophia non è mai tornata!”
 

E per cambiare nome al ristorante hanno fatto un concorso molto fortunato. Ancora una volta un successo: “Sì una grande pubblicità. E’ uscito il nome nuovo: Serafina. Tutto questo ci ha procurato tre pagine sul New York Times. Era il '98!”
 

Il coraggio ed il gusto dell’esplorazione. Anche i ristoranti ispirati al Giappone e alla Francia sono un successo. Lì l’occhio italiano velatamente presente propone altre cucine. Anche al ristorante Serafina Upper West una piccola sala è dedicata alla cucina orientale. Qui ho assaggiato un curioso ma straordinario sushi al tartufo. Lo consiglio a tutti.
 

Dunque tradizione ma anche il gusto, a volte un po' folle, della sperimentazione.

“Stiamo aprendo Serafina Meatpacking e ci siamo inventati un menù solo per maggiorenni. Occorrerà avere 21 anni per ordinarlo. E’ a base di Tequila.”
 

Alessandra Rotondi assiste alla chiacchierata e ci racconta come li ha incontrati al Fancy Food Show. “Li conoscevo di fama, avevo scritto su di loro mentre ero in Italia ancora prima di conoscerli. Ero emozionata, ma si è creata subito empatia e mi hanno offerto di lavorare  da loro come sommelier. Dobbiamo aprire Cognac – mi hanno detto – vieni da noi!”
 

Vittorio spiega, davanti a me, ad un collaboratore che c’è troppa salsa sul carpaccio, gli chiedo da dove nasce questa passione per la cucina. “ Da mia nonna. Tutti i mercoledi aveva gente a casa. Erano intellettuali, artisti. A 4 anni sapevo fare la pizza e ad 8 il branzino. “
 

Non è lo stesso per l’amico che confessa di non essere un granchè ai fornelli: “Mi piace assaggiare! E sono anche molto critico. Io in cucina faccio solo baldoria ma ho il senso del gusto, dei sapori”.
 

“Lui mi fa da critico ed io cucino in sostanza! Io sono matto a volte me ne esco con dei menù che non stanno nè in cielo nè in terra”, dice Vittorio.
 

Ma cerchiamo di carpire ancora qualche altro segreto. L’ambiente familiare. Il prezzo giusto e poi?
 

“La qualità degli ingredienti che non esisevano ancora quando abbiamo aperto. La semplicità che non è tanto facile. Tutti i sapori si devono bilanciare. Anche i dolci che spesso sono troppo dolci. Questi sono come patatine qui. Uno tira l’altro. Provare per credere. – dice Vittorio – Nessun compromesso da sempre sulla qualità. La mozzarella di bufala viene da Caserta lo stesso giorno che viene prodotta ed è sul tavolo la sera. E così per altri prodotti. Il sapore deve rimanere in gola, in bocca. Se succede il prodotto diventa una dimensione straordianria della tua vita.
 

Tutto questo in un posto che deve essere l’estensione della tua casa. Le location sono tutte magiche e poi ci sono gli affreschi di Michela Martello che sono speciali.”
 

Apriranno anche a Tokio, poi in Brasile ed in Russia. Gli chiedo come pensano di mantenere lo spirito originario a cui dicono di tenere tanto espandendosi così. C’è il rischio di perdere il controllo sulla qualità ed il rapporto con i clienti.
 

“Un segreto è nel training che facciamo. Dura 3 mesi con solo 5 persone in cucina. Dopo che hanno preparato 300 paste e 500 pizze al giorno cucinano anche ad occhi chiusi.”
 

Sembra di parlare sempre con quei due ragazzi un po' balordi che hanno preso la barca nel pomeriggio sbagliato. Eppure il loro successo non è un gioco.  Sono diventati famosi anche grazie alla presenza nei loro locali delle cosidette celebrities. Tantissimi gli articoli, le foto che raccontano queste visite e spesso anche gossip. Tra i tanti divi Lady Gaga e Tom Cruise.
 

Eppure non sembra si siano montati la testa.

“Per noi ogni giorno è come il primo giorno. Ogni ristorante che apriamo siamo eccitati come se fosse il primo. Ci piace, anche se siamo un po' fuori di testa! E’ divertente. Cerchiamo di trasmettere l’entusiasmo, molti lavorano con noi da oltre 10 anni."
 

Fabio Granato:  “Io non credo di essere cambiato.  Siamo gli stessi. C’è stato un momento che non avevamo i soldi per comprare i piatti. Vicino all’apertura si era rotta la facciata e nessuno ci voleva dare un prestito. Noi eravamo proprio inesperti e nel lease c’era scitto che eravamo responsabili di tutto. Anche di eventi come questo”.
 

Vittorio Assaf : “ Siamo quelli che per il forno hanno portato in valigia la lava del Vesuvio ed il sale della Sicilia per assorbilre l’umidità della pizza nel forno. “
 

“A volte qui succedono delle cose veramente comiche – dice Fabio che insieme a Vittorio continua a raccontare…
 

“Hai 110 persone che lavorano insieme e non necessariamente si amano . Questo è il lavoro più difficile del mondo. Ogni piatto  poi può uscire diverso. Succede di tutto”.
 

E c’è la vecchietta che ti picchia perchè il marito diabetico riceve il cibo sbagliato a causa del cameriere che sbaglia il numero dei tavoli. C’è la donna con il boa che prende fuoco per colpa di una candela e viene salvata con l’acqua minerale. C’è la signora che protesta con il bastone del marito cieco…
 

Alla fine viene spontaneo chiedergli cosa faranno da grandi. Vittorio vuole aprire un ristorante nella sua Milano. Fabio è contrario “Non se ne parla in quell’Italia”. Una cosa è ‘certa’, la dice ancora scherzando Fabio: “Io voglio produrre un film e Vittorio sarà il mio protagonista!”. Io il film credo di averlo già visto.

Comments

i-Italy

Facebook

Google+

Select one to show comments and join the conversation