C'È da preoccuparsi, davvero. Un mese di baraonda elettorale, parole inutili a sfregio delle più elementari regole del buon senso, uomini e donne, tanti, troppi, in cerca di un consenso personale che niente ha a che fare con la città e il suo futuro. Impazzano in ogni dove, in rete, in strada, nei bar per portare a casa per lo meno un voto. La deriva populistica passata per nuova democrazia svende il collettivo, lo sacrifica egoisticamente a vantaggio dell'individuo, sposta il bene comune, che è il bene di tutti, verso la ricerca del solo interesse personale.
La somma dei pretendenti alle poltrone, agli scanni e ai sediolini, tutti insieme non fanno un'idea, una visione comune, un ideale da condividere, ma massa, corpo fragoroso senza sostanza, poltiglia insapore al solo scopo di riempire senza saziare. Se la politica della città, se il benessere collettivo è fuori portata, perché è divenuto secondario all'utile di chi vorrebbe rappresentarla, la deriva populistica si avvia a diventare autoritaria. Non voglio generalizzare, ma è sotto gli occhi di tutti il fatto che Napoli sia la città che nelle ultime tornate elettorali abbia fatto registrare il più basso tasso di affluenza alle urne, indice di disaffezione alla politica, distanza abissale tra cittadini e istituzioni.
Quale mago o quale prodigio per incanto ha convinto 16 mila cittadini di questa stessa città a essere parte attiva, politicamente convinta e preparata del percorso elettorale del partito o del movimento con cui si schierano, convinta dai progetti e convertita all'impegno politico? Quale arcano mistero ha potuto ridare un volto credibile, una reputazione accettabile a quegli stessi gruppi, partiti, schieramenti fino a un momento prima biasimati se non addirittura ignorati?
Tutto può essere e i miracoli pure possono avvenire ma se di miracolo non si tratta è facile prevedere che l'interesse privato, personale, egoistico che resta a base della scelta di candidarsi, a urne chiuse e risultati ottenuti, ritorni come nauseante pratica nella vita amministrativa della città, come sfruttamento legalmente autorizzato del bene comune come vantaggio personale. Il riflusso nel privato politico- istituzionale non solo cerca bottino per il singolo a danno del bene comune, ma diventa pervasiva malata pratica di rapporto interpersonale, struttura di relazione, dove a vincere è la scientifica strategia dell'inganno, della truffa, della menzogna, della corruzione.
Intanto la città dovrebbe partecipare all'evento, dovrebbe essere interessata alla costruzione del suo futuro bene. Dovrebbe poter capire cosa ne sarà delle nostre periferie dove ancora impera il verbo camorristico, dovrebbe comprendere quale prospettiva esiste per i quartieri insanguinati che periferia non sono, Sanità, Forcella, Rione Traiano, Scampia, Secondigliano e anche Bagnoli che non può diventare la favola a giorni alterni del riscatto della città, che ora c'è, che forse ci sarà, o forse vedremo.
La città vorrebbe farsi un'idea, oltre le parole di fumo, su quale sia la differenza nello scegliere uno schieramento rispetto a un altro, oltre il rumore dei vaneggiamenti e capire cosa significa affidare la città nelle mani di uno, di un gruppo e di altro. Se non riescono a capirlo la pletora dei candidati, e di sicuro non lo sanno perché non hanno ragione di saperlo, in quanto sono stati captati come improvvisati attori in cerca di una parte, impossibile che lo capisca la città. Provate a chiedere a uno dei mille e più candidati quale sia il suo programma e se ne abbia uno.
E il peggio è che coloro che sembrano poterne trarre il massimo vantaggio da questa sceneggiata, i capibastone, potrebbero trovarsi nella sciagurata condizione che abbandonati dai fedeli di oggi, sedotti per un giorno di baldoria, affascinati da un tranello di parole senza futuro, potrebbero dichiarare la fine dell'inganno aprendo gli occhi, e questo davvero sarebbe un miracolo, chiedendo a stessi quanto passa tra una politica senza etica e una città senza legge.
Già, perché dire democrazia è dire etica e la morale non è qualcosa di diverso dalla politica. La cultura del populismo egemonico trascura la morale, sono il machiavellismo e altre forme di moderno reclutamento paraideologico che considerano la necessità di una sospensione della morale rispetto alla politica.
Al contrario, la politica, soprattutto quella della città, è scienza morale perché è scienza del rapporto tra gli uomini. E il rapporto tra gli uomini suscita, anima, provoca gli interessi essenziali della politica. Così dovrebbe. L'opera progressiva della polverizzazione della politica ha portato all'antipolitica strutturale e ora gli interessi parziali e occulti, quelli che davvero sono in lista per governare la città, sono difficili da poter essere controllati.