Articles by: Maria rita latto and Letizia airos

  • Fatti e Storie

    Con i piedi per terra tra le stelle

    L’abbiamo raggiunta con un ponte telefonico tra New York, Roma e Ginevra. E la prima domanda è obbligatoria. Soprattutto per tutti quelli che fanno parte della nostra generazione e nel 1969 sognarono guardando il primo uomo che passeggiava sulla luna.

    Cosa ha provato quando ha toccato la terra dopo la grande avventura nello spazio?
    “Predomina una sensazione fisica, c’è un impatto violento con il terreno. E poi c’è una forte sensazione fisica legata al peso dopo aver trascorso 6 mesi a fluttuare nella capsula in assenza di peso. Si fa fatica a risentire tutto il proprio corpo, a risollevare gli oggetti. E’ tutto molto faticoso. Diciamo che la sensazione predominante è quella.”

    E quando sono arrivate le emozioni, dopo questa sensazione fisica?
    “Non c’è un momento in cui si viene sopraffatti dalle emozioni, è tutto molto graduale, naturale. Non ci sono momenti in cui dici riuscirò mai a gestire tutte queste emozioni!”

    E’ vero che fin da bambina voleva fare l’astronauta? Com’è nata questa cosa?
    “Assolutamente vero ma non so come è nata. Un po’ il fascino delle stelle, un po’ l’avventura, le lettura della fantascienza, gli insegnanti che a scuola parlavano di geografia astronomica. Credo sia stata una combinazione di cose.”

    Ha girato il mondo: Germania, America, Russia, Francia… Quanta Italia continua a rimanerle dentro?
    “Difficile valutare, rendere in percentuali. L’Italia è il posto dove sono nata, dove sono cresciuta. Io ho trascorso tutta la mia infanzia in Italia, lì ho fatto il mio percorso scolastico. Credo che sia qualcosa che dà un imprinting per tutta la vita anche se poi la mia vita adulta l’ho vissuta più all’estero che in Italia.  Ma certo l’Italia è un elemento fondamentale della mia identità”.

    Cosa vuol dire guardare quest’Italia dallo spazio?
    “È emozionante ... ed è facile identificare l’Italia. Ha una forma molto definita, molto luminosa nel buio. In particolare, di notte è molto bello vedere questo Paese con la sua forma particolare, luminosa e definita che poi si staglia nel Mediterraneo. Molto spesso ci sono notti senza nuvole, ci sono questi bellissimi riflessi di luna. C’è una luna speciale  sul Mediterraneo. L’Italia è una delle viste più pittoresche, non solo per un italiano ma pe r tutti credo.”

    Nel 2009 è stata selezionata per  l’agenzia spaziale europea. Cosa ha provato quando ha capito che iniziava a realizzare il sogno della sua vita?

    “Anche lì, è una cosa a cui ci si avvicina passo per passo non in maniera improvvisa perché è una selezione lunghissima. E’ durata un anno. Ad ogni fase della selezione si diventa sempre di meno. All’ultimissima fase eravamo rimasti in dieci ed è chiaro che a quel punto le possibilità sono abbastanza grandi, non è che arriva come una sorpresa. Quello che ho provato principalmente è stato un grande sollievo perché sei lì che sei quasi arrivata, però aspetti sempre la telefonata in cui ti diranno sì o no, e quindi può sempre succedere di dover dire addio a questo sogno. Molto molto sollievo, dunque, nel momento in cui la telefonata è arrivata, un sacco di tensione accumulata nei giorni precedenti che all’improvviso si scioglie.”

    Essere donna è  stato più difficile per la realizzazione di questo sogno o c’è qualche difficoltà in più?
    “Non sono mai stata uomo, quindi è difficile fare il confronto…”

    Cosa ha portato nello spazio con lei? Ha portato dei libri e se sì, quali?
    Ho portato qualche libro ma poi in realtà ho letto poco e niente perché poi lassù non ti viene voglia di leggere perché tanto puoi leggere altrove. Avevo portato dei libri più simbolici come Palomar di Calvino, avevo Pilota di guerra di Saint-Exupéry, La guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams.

    Il menu dello spazio cosa prevedeva? Il nostro immaginario è quello dei liofilizzati...
    Di tutto, il menu’ dello spazio è molto molto più vario di quanto si creda.. Certo, liofilizzati, in conserva, carni.

    La pasta?
    Si qualcosa c’era, fusilli con gamberetti liofilizzati e neanche male devo dire!

    Da tutto il mondo l’hanno vista preparare il caffè nello spazio. Cosa vuole dire per un’italiana preparare il caffè nello spazio?
    Devo dire che è stato più il piacere mio di poter bere il caffè che il simbolo di un’appartenenza italiana, nel senso che sarebbe stato un bel regalo per chiunque apprezzi il caffè.

    E’ stato divertente vederglielo fare da qui giù...
    Sì, una cosa molto carina. E sono contenta per il team che ha sviluppato questa macchina.

    Non era solo un gioco per fare il caffè, un mossa pubbicitaria. Va chiarito.  Tutto quello che voi fate nello spazio, anche un esperimento come questo, ha un ritorno importante nella ricerca....
    Si, più che un esperimento era visto come una piccola dimostrazione, un tipo di tecnologia perché la macchina espresso liquido ad alta temperatura e ad alta pressione è una cosa che difficilmente si realizza e si è fatta nello spazio anche per una questione di sicurezza. Ci si è dovuti inventare un po’ di soluzioni tecniche anche per garantire che la macchina fosse sicura, che non potessero esserci incidenti

    Ha scritto dallo spazio molti tweet che l’hanno resa famosa anche tra i giovani. C’era anche una nostalgia per la terra? Come li viveva?
    No, non ho avuto nostalgia. Forse l’unica cosa che mi mancava era una bella doccia perché dopo un po’ di mesi a lavarsi con asciugami imbevuti di acqua manca un po’ la sensazione del pulito. Ma a parte questo, mi sono goduta molto il mio tempo. Chiaro ci sono tante cose sulla terra che nello spazio mancano, pero’ non stai nello spazio per sempre quindi non mi sono concentrata sulle cose che mi mancavano anzi mi sono concentrata nel godermi il mio tempo nello spazio. Tanto a terra ci sarei tornata.

    L’emozione più forte che ha vissuto da lassù guardando la terra?
    Ogni giorno una cosa diversa, un’esperienza estetica particolare, è molto vario. Non è che ci sia poi una cosa che sta in cima alla classifica, non c’è una classifica.

    E’ stato più  difficile abituarsi allo spazio oppure quando è tornata sulla terra?
    Forse tornare è  stato più  difficile. Anche perché nello spazio sei talmente supportato dal fatto che c’è questa avventura che comincia, è  tutta una scoperta, un’avventura. Anche fisicamente mi sono abituata molto rapidamente. Ho avuto fortuna in questo senso perché ci sono astronauti che stanno male per alcuni giorni; io invece non ho avuto nessun tipo di nausea, sono stata bene fin dall’inizio. Lo spazio mi ha accolta a braccia aperte.

    Qual è il suo più grande desiderio legato al suo lavoro di astronauta? E quali sono secondo lei le prossime frontiere? Ripeto, sognavamo in tanti lo scorso secolo  di mettere piede sulla luna, ma poi le cose sono andate in maniera diversa...
    A lungo termine mi piacerebbe una missione lunare, poter rimettere piede sulla luna nella fine del prossimo decennio. Prima di allora spero di avere un’altra opportunità di tornare ancora nello spazio, di nuovo sulla stazione spaziale e sicuramente mi piacerebbe non dover aspettare ancora 10 anni.

    C’è un limite di età per andare nello spazio?
    Non c’è un vero e proprio limite, finché si rimane sani e si continua a soddisfare i requisiti medici, non ci sono limiti.

    Quali sono invece più in generale le sfide spaziali più importanti per il futuro?
    Sicuramente fare bene la transizione però alla fine del programma della stazione spaziale, un ritorno all’esplorazione lunare. Una sfida anche vicina nel senso che se la stazione spaziale dovesse durare fino al 2024 come ci si aspetta e ci auguriamo, e se non vogliamo avere un buco tra questo programma e l’esplorazione lunare dobbiamo iniziare a lavorarci adesso. La sfida è molto prossima ed è in corso, ed è quella di concretizzare un programma e di trovare i finanziamenti ... non particolarmente ambiziosi perchè poi non sono sostenibili. Ma un programma sostenibile, realistico, che ci porti un passo alla volta alla fine del prossimo decennio ad avere missioni con astronauti sulla superficie lunare

    La sua famiglia come ha vissuto questo suo lavoro?
    Chiaramente con un po’ d’ansia, però di fondo sono sempre stati felicissimi.

    Ma Samantha non si ricorda quando ha capito di voler fare l’astronauta e quando lo ha detto ai suoi genitori. E come se fosse stato un destino, scritto nel cielo.
    “E’  una cosa che si perde un po’ con l’infanzia, nessuno si ricorda in realtà la prima volta. E’ come se fosse sempre stato cosi.”

  • Life & People

    Samantha Cristoforetti: Grounded in the Stars

    We reached Samantha by phone, a three-party conference call connecting New York, Rome, and Geneva. Our first question had to be asked, especially for the other members of our generation, who began to dream in 1969 as they watched the first man walk on the moon. 

    How did it feel to touch down on earth after your amazing adventure in space?
    A physical sensation prevails: there’s a violent impact with earth and then there’s a strong physical sensation – related to weight – after spending six months of floating weightlessly in the capsule. It’s tough to carry your whole body again, to lift objects. It’s all very tiring. I’d say that is the prevailing sensation. 

    How about after that physical sensation, when your emotions kicked in? 

    There’s not a specific moment when you feel overpowered by your emotions. It’s all very gradual, natural. There’s no moment when you say, “How will I ever handle all these feelings!” 

    Is it true you wanted to be an astronaut since you were a kid? What sparked the desire? 

    It’s totally true but I’m not sure what sparked it. In part the allure of the stars, in part the adventure, reading science fiction, teachers at school talking about astronomical geography. I think it was a combination of things.  

    Germany, America, Russia, France—you’ve traveled the world. How much of Italy still runs in your veins? 

    That’s tough to evaluate, to express in terms of percentages. Italy is the place I was born, where I grew up. I spent my entire childhood in Italy. It’s where I studied. I think that you carry that with you your whole life, even if, like me, the majority of your adult life has been spent outside Italy. But there’s no doubt Italy is a fundamental part of my identity.  

    What does it feel like to look at Italy from space? 

    It’s thrilling. Italy is easy to identify. It has a very well defined shape that is quite luminous in the dark. It’s particularly beautiful to see the country at night, looming above the Mediterranean. Often there are cloudless nights when you can see these beautiful reflections of the moon. There’s a special moon over the Mediterranean. Italy is one of the most picturesque views—not just for an Italian but for everyone, I think.   

    In 2009 you were selected by the European space agency. What was it like to realize your lifelong dream was beginning to take shape?

    As I said before, it dawns on you gradually, not all of a sudden, since the selection process is very long. It lasted a year. People are cut at every stage of the process. By the final stage there were just ten of us and it was clear that at that point my chances were pretty good. It didn’t come as a surprise. Primarily I felt very relieved, because you’re there and you’ve almost made it and yet you’re still waiting for them to call and say yes or no. There’s always the chance you’ll have to bid your dreams goodbye. It was a relief, therefore, a great relief to receive the call. A ton of tension that accumulates in the days leading up to the call suddenly evaporates.  

    Did being a woman make it harder to realize this dream or were there other challenges?

    I’ve never been a man, so it’s hard to compare… 

     

    What did you bring with you in space? Books? If so, which ones? 

    I brought a few books but I read next to nothing because up there you don’t feel like reading, since you can read elsewhere. I brought with me books with a symbolic value: Calvino’s Palomar, Saint-Exupéry’s Flight to Arras, Douglas Adams’ The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy.  

    What’s on the menu in space? Freeze-dried food, we imagine… 

    Everything. The menu in space is a lot longer than you’d think… Sure, freeze-dried food, preserved food, meat. 

     

    Pasta?

    Yeah, we had some pasta. Freeze-dried fusilli with shrimp. It really wasn’t that bad!   

    The whole world watched you making coffee in space. What did it feel like to do that, as an Italian? 

    I have to say it was more a pleasure to be able to drink coffee than a symbol of my Italian background. I mean, it would have been a wonderful gift for anyone who likes coffee.  

    It was fun to watch you doing that up there from down here…

    Yes, it was very cute. And I’m happy for the team that made the coffee machine. 

    It wasn’t just a game or a publicity stunt. That should be clear. Everything you do in space, even an experiment like that, benefits research...

    Right. It was seen less as an experiment and more like a small technological demonstration, since a liquid espresso machine at high temperatures and under high pressure is hard to make, and we made it in space partly to resolve a safety issue. A few technical solutions had to be invented to guarantee that the machine would be safe, that there wouldn’t be any accidents. 

    You wrote many tweets from space that became famous among young people too. Did you miss earth? 

    No, I didn’t. Maybe the one thing I missed was a warm shower; months of washing with damp towels doesn’t leave you feeling that clean. But besides that, I really enjoyed myself. Of course there are a lot of things on earth that are missing in space, but you’re not in space forever, so I didn’t concentrate on what was missing. Actually, I concentrated on having a good time in space. I’d be back on earth soon enough. 

     

    What was the dominant emotion you felt from up there on earth? 

    Every day there was something different. It’s a very particular aesthetic experience. It varies a lot. There isn’t one thing that ranks above another. In fact there is no ranking system.  

    Was it harder to adjust to space or when you came back to Earth? 

    Coming back to earth may have been more difficult. In part because in space you’re really buoyed by the fact that there’s this adventure beginning, it’s all one big discovery. I was very quick to adjust to it physically too. I was lucky in that regard; some astronauts are sick for days. I, on the other hand, didn’t experience any nausea. I felt well from the start. Space welcomed me with open arms. 

    What would you most like to do now, professionally speaking? What’s the next frontier? Last century, many people dreamed of setting foot on the moon, but then things turned out a little differently…

    As far as long-term goals are concerned, I would like to go on a mission to the moon, to set foot on the moon by the end of the next decade. Before then, I hope to get the chance to go back to the space station. And I definitely don’t want to have to wait another ten years. 

    Generally speaking, what are the most important future missions in space?

    Definitely to execute the [space shuttle] transition program well, and at the end of the space station program, return to exploring the moon. The mission is at hand, too, in the sense that if the space station should last until 2024, as we expect and hope, and if we want to avoid a gap between this program and lunar exploration, we have to start working now, find funding... And it must be a realistic, sustainable program that could bring us a step at a time to the end of the next decade to have missions with astronauts on the surface of the moon. 

    How has your family felt about your work? 

    They’ve been a bit worried at times, obviously, but deep down they’ve always been very happy. 

    Yet Samantha can’t remember when she first realized she wanted to become an astronaut. Nor when she told her parents. It was as if it was her destiny, written in the stars. “It’s something that you lose a little when you grow up,” she adds. “No one really remembers the first time. It’s as if that was always the way it was.”