"Conobbi Gabriel Garcia Marquez nel 1958, l'anno della rivoluzione venezuelana che spodestò il dittatore Jimenez. Gabo era arrivato da Parigi qualche mese prima, alla fine del 1957. Si era trasferito nella capitale francese come inviato speciale del giornale El Espectator di Bogotà. Quando in Colombia andò al potere il dittatore Pinilla, il povero Gabriel rimase senza lavoro perché il suo giornale, che era un giornale di opposizione di impronta liberale, scomparve. Rimasto disoccupato, iniziò a viaggiare e a gioronzolare per vari paesi, compresa l'Italia, dove tentò di iscriversi al Centro di Cinematografia Sperimentale, a Roma. Da Roma partì di nuovo, destinazione Caracas, e, una volta stabilitosi, cominciò a lavorare per un giornale che si chiamava "Momento". Ci conoscemmo subito. All'epoca la capitale venezuelana era sì una città in piena espansione economica - un'espansione favorita dal petrolio - ma era ancora una piccola città e soprattutto era piena di giornalisti, provenienti da tutto il mondo. Io ero arrivato in Venezuela qualche anno prima, nel 1950, preceduto di un anno dal mio amico Gaetano Bafile, anche lui aquilano, insieme al quale fondai un giornale che si chiamava "La voce d'Italia", una testata scritta in italiano che cercava di difendere i diritti degli emigrati italiani. Caracas mi apparve subito come una città turbolenta, piena di contrasti ma anche di passione e di vita, le cose di cui andava alla ricerca Marquez in quel periodo. Lui era un comunista e per questo diventò subito inviso al regime di Jimenez ma va detto all'epoca eravamo tutti sospettati, anche noi della "Voce d'Italia, perché eravamo un giornale antifascista mentre in quegli anni in Venezuela si era rifugiata tutta la feccia della destra europea fascista e nazista. Con Marquez parlavamo di politica, della situazione dell'America Latina, di emigrazione, di antifascismo e di comunismo. Gabo era giovane, all'epoca aveva trent'anni, ed era molto intelligente e molto simpatico. Una personalità vivacissima, curiosa, dotata di una straordinaria capacità di assimilare e assorbire tutto ciò che le capitava attorno ".
"Questi occhi videro sette siciliani morti": l'inchiesta della "Voce d'Italia" diventa un racconto firmato da Gabo. Intanto a Cuba scoppia la rivoluzione: Cecchini e l'intervista mancata a Fidel Castro
Marquez intitolò il racconto dedicato alla vicenda della scomparsa dei sette siciliani 'Questi occhi videro sette siciliani morti'. "Fu grazie a quell'inchiesta che si approfondì il nostro rapporto con Gabo. Interessatosi alla vicenda, Marquez ne trasse ben presto il racconto-reportage, che ebbe successo anche in Italia sia grazie alla traduzione che ne fece Feltrinelli sia grazie a un'antologia scolastica nella quale venne inserito. Ed è in quel reportage che Marquez parla di me. Rimanemmo a contatto per tutto il 1958. Poi, nel 1959, ci fu la rivoluzione castrista, che mise fine alla dittatura di Fulgenzio Battista.
Quando scoppiò la rivoluzione, Marquez era già amico di Castro. Si erano conosciuti grazie a un poeta cubano che aveva vissuto a Parigi negli stessi anni di Marquez. Infatti, il regime rivoluzionario lo invitò subito a L'Avana, già nel 1959 . Anch'io partii per Cuba, l'anno seguente, sempre come cronista. Una volta a L'Avana chiesi un'intervista a Castro e arrivai molto vicino a ottenerla. Dovetti però rinunciare perché fui costretto a ripartire in fretta e furia per l'Italia. All'epoca per uscire da Cuba c'era bisogno del visto americano ma quando mi presentai al consolato me lo rifiutarono perché ero stato segnalato come un antiamericano e un filocastrista, essendo stato, all'inizio, un sostenitore della rivoluzione. Fu allora che persi i contatti con Gabo: dopo l'esperienza della rivoluzione non lo incontrai più".
pubblicato su: news-town.it
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