Pasqua. E la vita intera viene provocata ...

  • Resurrezione. Milano. Castello Sforzesco .
È così difficile la Pasqua che anche i preti fanno fatica ad annunciarla, perfino a parlarne tra di loro. Più facile per loro l’allegoria del presente da rintracciare nella narrazione del bene da fare e del male da evitare, del peccato che condanna al castigo e della grazia che consegna al paradiso, che fare i conti con il mestiere esaltante e arduo di chi deve vedere per sé e far vedere agli altri l’Oltre, al di là del già visto, e proclamare vinta la morte e consegnata per sempre la storia alla Pasqua di ogni resurrezione.

Pasqua è la festa più difficile, più di tutte le altre messe insieme. Difficile da decifrare, da passare, da vivere, da interpretare, a cui dare spazio significativo nella propria vita e nella quotidianità credente. Niente a che vedere con l’atmosfera magica che crea il Natale, tanto che anche il non credente ne viene attratto, sorpreso dal vagito di un bimbo. Poco importa che qualcuno dica sia il Figlio di Dio a nascere, l’importante è che sia vita nuova, tenerezza di uno scambio affettuoso di speranza, calore di un evento che allarga vita senza altre complicazioni di una strenna, senza altre conseguenze di un pensiero che provochi senso, visioni, futuro, chiuso da un sorriso augurale, desiderio di serenità e pace che pure un bambino acchiappa. Anche se Natale non è questo, facile addentarne la solo cornice, lasciandone il potente valore a chi vuole complicarsi la vita.

Pasqua no, non può essere celebrata senza che la vita intera ne venga invece provocata. Non c’è cornice di riferimento, non ne esiste giustificazione ambientale o culturale, è un assurdo. L’assurdo di una verità che vorrebbe annunciare vita oltre la morte, lanciare una sfida, mettendo al centro della scena non la cultura di un evento, non la tradizione, non la convenzione rituale, né il culto o la religione, ma la fede, l’assurda provocazione in una croce strappata alla morte.

È così difficile Pasqua che anche i preti fanno fatica ad annunciarla, perfino a parlarne tra di loro. Più facile per loro l’allegoria del presente da rintracciare nella narrazione del bene da fare e del male da evitare, del peccato che condanna al castigo e della grazia che consegna al paradiso, che fare i conti con il mestiere esaltante e arduo di chi deve vedere per sé e far vedere agli altri l’Oltre, al di là del già visto, e proclamare vinta la morte e consegnata per sempre la storia alla Pasqua di ogni resurrezione. Sarà per questo che il popolo, quando ancora c’è a gremire le chiese, scelga piuttosto Domenica delle Palme, presa di consegna di verde ulivo che facile racconta il desiderio di pace.

Sarà per questo che per i più, semmai resti ancora una settimana santa, il giorno più indicato per celebrarla è il venerdì con ascolti straordinari di Via Crucis teletrasmesse o commoventi itinerari processionali. Osanna e Crucifige legano i loro significati a quello che la vita consegna, speranza di vittoria, dolore e compassione per la sconfitta. La resurrezione invece non allunga la storia che devi vivere adesso, non la cambia, non aggiunge un’ora in più al tuo vissuto terreno, non fa miracoli, non ti protegge dalla solitudine di fare i conti con la responsabilità del presente. Ti mette in faccia la sua brutale e folgorante verità: la morte non la puoi evitare, ma se credi, oltre la morte c’è la vita.

A chi conviene ragionare di futuro quando tutti sono convinti che salvarsi sia aggrapparsi tenacemente al presente che non deve finire, che deve conservarci la dote di affetti, di esperienze, di risultati ottenuti? Meglio semmai piangere un morto anche se autorevole capace di storia di prodigi e miracoli, meglio stare sotto una croce che provare un viaggio oltre la croce. A piangere insieme ci si sente più famiglia, per lottare contro la morte bisogna imparare l’eroismo della speranza. Siamo ancora lì, come nel giorno del martirio del Giusto, ai piedi di quella croce dove vorremmo, come quelli che lo hanno relegato al ruolo di criminale, un segno per poter trasformare la nostra opaca religione in sostanza di salvezza.

“Scendi dalla croce e crederemo in te”, facci un miracolo, ancora uno e ti accontenteremo, crederemo in quello che ci hai raccontato. Resta tuttavia solo il silenzio per i veri adoratori del Padre e l’attesa per chi sa aspettare l’alba del terzo giorno, per chi vuole fare della Pasqua l’unico prodigio. Difficile allora, difficile oggi.
Nella cattedrale di Napoli non ci saranno telecamere oggi come nel giorno di San Gennaro, le attese di spettacolo sono per presunti prodigi non per la verità della fede, per l’unico annuncio che cambia la storia.

Difficile la Pasqua, difficile raccontare che anche il tempo in quel giorno si è fermato stupito dinanzi al travaglio della storia che è stata dalla morte sedotta e dalla vita vera in Cristo risanata. Ci sarà una ragione se il Maestro di Galilea a chi chiedeva miracoli offriva la sua parola, a chi prodigi prometteva solo un segno, la sconfitta della croce, perchéquella liberazione raccontasse l’estrema speranza di vittoria per tutti i crocifissi. Oggi è Pasqua, c’è speranza, c’è n’è ancora, malgrado le croci ancora conficcate nel cuore del mondo, c’è ancora luce da visitare anche se avvolte da profonde tenebre. Difficile da annunciare, ma questa è la fede per chi vuole credere, questa solo resta anche per chi non conoscendola, se ne sente attratto. Buona Pasqua.

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