Un tabù che si chiama morte

Gennaro Matino (November 03, 2014)
Si è creato un processo di negazione della verità che non soltanto tradisce la storia ma determina una perdita progressiva di umanità. Una rimozione, quella della morte, che ha finito col provocare effetti devastanti nella costruzione stessa della società. Un tempo, tabù era il sesso che, rimosso dall'educazione e dal linguaggio, era avvertito come qualcosa di malato ...



NON potendo evitare che la morte arrivi, abbiamo sciaguratamente narcotizzato il lutto che, benché esperienza difficile e travagliata, ci permetteva di prepararci alla sostanza del limite. Una rimozione, quella della morte, che ha finito col provocare effetti devastanti nella costruzione stessa della società. Un tempo, tabù era il sesso che, rimosso dall'educazione e dal linguaggio, era avvertito come qualcosa di malato. Le conseguenze di tale efferatezza le conosciamo tutti. Oggi è la morte a essere un tabù.

Il filosofo francese Jean Baudrillard afferma che la morte è l'unica pornografia della modernità. Un film per soli adulti. E se il nostro è un tempo in cui gli uomini hanno paura di lasciarsi l'adolescenza alle spalle, ne consegue che parlare di morte con l'uomo contemporaneo è impresa difficile quanto ricordargli i doveri di un uomo adulto. La morte non si può eliminare, si può renderla asettica, ma non si può cancellare. Lo psichiatra ungherese Sándor Ferenczi scrive: "Che cos'è la rimozione? Forse il modo migliore per definirla è il diniego di fronte ai dati di fatto. Ma mentre il bugiardo, nascondendo la verità o inventando cose che non esistono, inganna gli altri, l'attuale sistema di educazione fa sì che gli uomini mentano a se stessi, fa sì che, appunto, neghino davanti a se stessi pensieri e sentimenti che si agitano nel loro intimo».

Questo processo di negazione non solo tradisce la storia, oppiandola al punto tale che, finito l'effetto rassicurante del narcotico, la crisi di astinenza provoca ricerca di nuove sostanze mortalmente inebrianti, ma determina una perdita progressiva di umanità. E mentre si crede di evitare la morte ignorandola, la morte aggredisce di sorpresa con effetti devastanti: suicidi in aumento, violenze gratuite, anziani e bambini considerati meno di niente, le aberranti sfide del sabato sera dove, in un macabro gioco, si affrontano le frontiere del limite. Ma soprattutto la negazione della verità sveste la morte della sua naturalità e trasforma l'immancabile evento in tragico e sfortunato imprevisto, il più delle volte avvertito come punitivo. E per questo, insieme alle mille agenzie dell'imbellettamento funerario del caro estinto, sono comparse le officine della riconsegna dei morti dall'aldilà.

Ciò che si sarebbe dovuto fare in vita, dialogare con l'Oltre, si trasforma in ricerca di un dialogo paranormale, dettato più dal senso di colpa e dalla necessità di sentire il defunto legato alla terra, che dal bisogno di dare significato alla morte. L'evento più naturale della vita, indissolubilmente legato alla nascita, diviene impossibile da decodificare e pertanto causa di una disperazione così incontrollabile da portare qualcuno all'assurdo di cercare la morte come rimedio al dolore di una vita perduta. La morte non la si può eliminare e la cultura popolare, a differenza di quella pseudocolta, lo sa, lo ha sempre saputo e per questo confidenzialmente cerca di dialogare con la nemica chiedendole di restituire alla vivezza della memoria i cari estinti e per tale scopo dedica loro, in questo giorno, una speciale festa. Festa dei trapassati per cantarne la vita, per celebrarne la morte a cui la povera gente non fa certo sconti e per questo ne esce vincitrice. Le grida in faccia senza pudore la propria rabbia e così le strappa da dosso il manto della paura. Si affida al cielo a cui consegnare l'amore perduto, supplica la terra di fasciarne la carne, affida a un fiore parole impossibili da decifrare a chi è morto dentro da tempo benché ancora resti in vita fuori.

Si è creato un processo di negazione della verità che non soltanto tradisce la storia ma determina una perdita progressiva di umanità.



* Gennaro Matino  è docente di Teologia pastorale e insegna Storia del Cristianesimo presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Editorialista di 'Avvenire' e 'Il Mattino'.  Opinionista di 'La Repubblica". Parroco della SS Trinità. Il suo più recene libro: “Economia della crisi. Il bene dell'uomo contro la dittatura dello spread" (Baldini & Castoldi - 2013).


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