Migranti di ieri e di oggi

Roberta Michelino (December 13, 2013)
In occasione della Giornata Internazionale sui Migranti, il 18 dicembre si terrà alle Nazioni Unite una discussione sulla fondamentale relazione tra migrazione e sviluppo. Intervista con il Professor A. J. Tamburri, relatore al convegno

 Viviamo ormai in un mondo globalizzato in cui i mezzi di trasporto e di comunicazione hanno di gran lunga agevolato la mobilitá di moltissime persone. La storia insegna ad osservare il fenomeno migratorio come fulcro e fonte di profondi cambiamenti. Al centro dell’analisi c’è l’essere umano, che per volontá, ma ancor più spesso per necessitá, prende la drastica decisione di partire e lasciare il proprio luogo di nascita, per cercare altrove la possibilitá di migliorare la propria condizione. Purtroppo disposizioni legislative restrittive e la mancanza di un’adeguata protezione per i diritti fondamentali dei migranti, rendono questo spostamento sempre più arduo e sofferto.

Ad aggiungersi all’oggettiva difficoltà rappresentata dal sistema legislativo, vi è l’ostacolo sociale che si manifesta una volta che il migrante si stabilisce nel luogo di adozione. Sempre più spesso assistiamo all’emarginazione sociale del nuovo arrivato, la cui cultura può essere oggetto di incomprensione e, talvolta, di derisione e relativa esclusione. Favorire politiche di inclusione e di libertà di movimento darebbe adito ad un ripensamento sulla condizione sociale e psicologica del migrante, che si sposta alla ricerca di una speranza, di una possibilità di miglioramento, spesso difficile da trovare nel paese di origine.
 

 i-Italy incontra il Direttore del John D. Calandra Institute, Anthony Tamburri, per parlare della sua partecipazione alla conferenza che si terrà alle Nazioni Unite il 18 Dicembre. Presenti, con lui, anche Richard Alba, professore del Graduate Center di CUNY, Roland Schatz, fondatore e CEO di Media Tenor International, Bela Hovy, Capo della sezione migrazione di DESA, il tenore Luciano Lamonarca e avrà come moderatore Maher Nasser, Direttore della “Outreach Division” di DPI.

Quanto è importante nel 2013 parlare della problematica della migrazione soprattutto dopo la crisi finanziaria del 2008?

E’estremamente importante nel contesto italiano per una serie di ragioni. A mio avviso l’Italia non ha ancora fatto i conti con la sua storia migratoria. Basti vedere il comportamento delle testate giornalistiche italiane quando vengono in America. Nonostante abbiano da tempo ormai uffici negli Stati Uniti,  non parlano mai della comunità italo-americana e delle loro origini. Nel 2008 la città di New York ha dichiarato l’italiano come lingua veicolo obbligatoria se viene richiesta un’informazione in italiano. Questo è molto significativo per la storia italiana negli Stati Uniti. Una delle ragioni per cui è rilevante parlare di migrazione, nel caso di specie dell’Italia, è sicuramente la disoccupazione giovanile che ormai nella penisola  si attesta al 40 %, dato sbalorditivo se lo mettiamo a confronto con i costi e i privilegi dell’apparato politico. Un altro elemento ancora da prendere in considerazione è il razzismo tuttora esistente tra il Nord ed il Sud.


Faccio un parallelismo con la Francia e cito autori come
Albert Camus e Frantz Fanon. Nonostante algerini di nascita, la Francia li fa propri e la loro letteratura viene identificata con quella francese. Perchè, invece, l’Italia non si appropria della letteratura degli italiani d’America?

E’ stato proprio questo l’errore. Gli studiosi di americanistica non fanno riferimento alla letteratura italo-americana, vengono considerate solo la letteratura afro-americana, asiatico-americana, ispanica ed i nativi americani. Eppure Don DeLillo e John Fante sono considerati tra i più famosi ed importanti scrittori americani di origine italiana. L’unico modo per poter comprendere un silenzio così clamoroso è pensare che questi studiosi focalizzino la loro attenzione soprattutto negli studi della letteratura britannica. Dobbiamo rifarci a sociologi degli anni ’60 come Herbert Gans per conoscere un po’di storia italo-americana. Rimangono pochi e insufficienti gli studi rivolti a questo tipo di analisi.

Il problema dei migranti si pone perchè molti di loro svolgono lavori spesso sottopagati che i cittadini non accetterebbero. Quale correlazione si crea tra questa problematica e la cittadinanza?

Il discorso è strettamente economico. Quando in Arizona due anni fa sono state inasprite le leggi sui flussi migratori, le industrie si sono svuotate della loro manodopera. Per questo motivo la governatrice rese più blanda la legislazione. Cinquant’anni fa quando una ditta aveva un profitto del 35-40% era quasi l’ideale. Oggi se un’industria non fattura almeno il 100% fallisce. Un’altra rilevante questione è lo squilibrio tra la paga del direttore e dell’operaio, c’è un divario troppo stridente tra l’una e l’altra figura.

La legge sui flussi migratori, soprattutto dopo l’11 settembre, si è molto inasprita  per scoraggiare l’inevitabile mobilità dell’uomo in questo periodo di crisi. E’ necessario riformulare una legislazione ad hoc per la difesa dei diritti umani dei migranti?

Dalla mia prospettiva è stato molto difficile per le Università, sia dal punto di vista degli studenti che vogliono studiare all’estero sia dal punto di vista professionale per coloro che vogliono intraprendere una carriera accademica. D’altronde l’essere umano è pieno di contraddizioni, basti pensare alle leggi che mantengono in vigore l’istituto della pena di morte. Credo che si dovrebbe creare una legislazione diversa e sicuramente più tollerante.

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