Game Plan. Il Moma celebra l’arte Povera di Alighiero Boetti

Francesca Di Folco (August 30, 2012)
La retrospettiva completa di 100 opere copre l’intera carriera dell’artista e sarà visibile fino al 1 ° ottobre per celebrare la diversità di materiale, la complessità concettuale e la bellezza visiva del lavoro del pittore

Si potrà ammirare fino al 1° Ottobre la personale che il MoMA di New York ha dedicato all’intera carriera di Alighiero Boetti 1940-1994, genio timido dell’arte contemporanea, consacrandolo come uno degli artisti più significativi del secolo.
 

Noto come uno dei maggiori esponenti dell’Arte Povera, Boetti viene valorizzato in Alighiero Boetti: Game Plan, questo il nome della mostra, organizzata da Christian Rattemeyer in collaborazione con il Museo Reina Sofia di Madrid e la Tate Modern di Londra.
 

L’artista ha cercato di rappresentare l’universo mediante l’utilizzo di diversi medium, che troviamo esposti: i cartoni ondulati, i tubi di eternit sovrapposti, i legni colorati dei primi lavori di Arte Povera...

Si fa strada così tutta la ricerca sui temi del doppio, sull’ordine e disordine, i viaggi impossibili delle lettere spedite a persone reali con destinazioni immaginaria, la documentazione sull’One Hotel che l’artista aprì a Kabul nel 1971, e infine i lavori più iconici, costituiti da le Mappe, i Tutto, gli Arazzi, disposti nel salone del museo come un puzzle di coordinate spazio temporali.

Il percorso della mostra si snoda in ordine cronologico. Dal nucleo torinese formatosi negli Anni ’60 con Luciano Fabro, Mario Merz, Giulio Paolini e Michelangelo Pistoletto, sino alle nuove esplorazioni della fine del decennio.

Nel 1969 infatti Boetti comincia ad accostarsi ai concetti di dualità e molteplicità, da cui lo sdoppiamento di se stesso in Alighiero e Boetti, ordine e disordine, viaggi e geografia. Questa curiosità e volontà di conoscenza lo spingono quindi a esplorare nuovi orizzonti e a volte anche a inventarli, ironicamente. È il caso dei Viaggi Postali, cioè buste che invia ad amici, parenti e colleghi artisti, ma utilizzando indirizzi immaginari; l’inoltro di ciascuna busta restituita in un luogo inesistente, creava viaggi immaginari per le persone che ammirava.

Ed è proprio il senso di giocosità e ironia, comunque ponderata, che viene enfatizzato dal titolo della mostra, Game Plan, strategia di gioco.

«Boetti è il contrario dell’artista serioso, noioso, verboso», ricorda uno dei suoi galleristi, Massimo Minini, decano dell’arte contemporanea in Italia. «Piace agli americani ma piace molto anche agli italiani e piaceva agli afghani. Il fatto è che Boetti tocca con leggerezza corde nascoste in noi: ovvietà, proverbi, modi di dire, calcoli matematici, contraddizioni, buone azioni. Boetti gioca con leggerezza e schiaccia l’occhio arrotolando una sigaretta».

Negli Anni ’70 infatti Boetti lavora con John Weber prima, e Holly Solomon poi, due gallerie di New York che hanno fatto la storia. «Alighiero guardava il mondo con gli occhi di un bambino», dice Filippo Fossati, curatore e amico di Boetti, «e con il suo lavoro apparentemente facile da decifrare ha conquistato gli americani, aprendo anche la strada degli Usa anche ad altri artisti italiani come Dessì, Pizzi Cannella, Clemente».

I suoi Aerei o le Mappe su tela sono stati acquisiti da importanti musei americani come il MoCA di Los Angeles, il Walker di Minneapolis, il Dallas Museum e dallo stesso MoMA, che espone la Classificazione dei mille fiumi più lunghi del mondo, opera tra le più complesse di Boetti, realizzata nei ’70 proprio per classificare i fiumi più lunghi del pianeta ed entrata in collezione nel 1994.

L’amore da parte degli afghani invece, deriva dalla passione di Boetti per la scoperta di nuovi orizzonti e per il viaggio: Alighiero infatti, mosso dall’idea romantica di emulare le avventure di un antenato del XVIII secolo, come molti hippie nel 1971 andò in Afghanistan e si installa a Kabul, lavorando per One Hotel fino all’invasione sovietica del 1979 ed entrando in contatto con la filosofia Sufi. Affascinato dalla sapienza degli artigiani afghani, è proprio a loro che ordina le sue conosciute Mappe in cui il profilo dei paesi ha i colori della bandiera.

Questa tipologia di prodotto artistico frutto di un’idea poi realizzata o terminata da altri, è diventata di uso comune solo dopo decenni. Talvolta i risultati di questa operazione hanno sorpreso l’artista stesso, quando le ricamatrici afghane, non riconoscendo l’immagine del mare, finirono per adoperare del filo di un colore qualsiasi. Questa casualità non sono dispiaciute affatto a Boetti, regalando un accento ancor più ironico, antinaturalistico e artistico alle sue Mappe.

Boetti è amato anche per la semplicità e la genialità delle sue intuizioni spontanee, per la sua curiosità verso il mondo e la sua inclinazione alla cooperazione, per la sua diversità rispetto all’egocentrismo degli artisti che non scindono idea e creazione: con l’opera Mettere a mondo il mondo (1972-73), realizzata con fittissimi tratti di biro, è semplicemente di se stesso e del mondo che vuole parlare coniugando un pluriennale progetto di ricerca per classificare i più lunghi fiumi del pianeta. Un’idea poetica e scientifica, rigorosa e assurda.

Gli arazzi e i ricami hanno significato per Boetti la scoperta di un lavoro collaborativo che solo decenni dopo è diventato d’uso comune. Curioso vedere come i risultati fossero talvolta inattesi, ad esempio nelle mappe mondo le ricamatrici, non riconoscendo l’immagine del mare, finirono per adoperare del filo di un colore qualsiasi. A Boetti piacque questo errore apparente e lasciò che fossero loro a decidere se il mare dovesse essere arancione, dorato, verde…

L’idea di mettere al mondo il mondo contenuta nel titolo è compiuta dall’artista affidando a un uomo e a una donna il compito di riempire, rispettivamente, uno dei due fogli che compongono l’opera; in secondo luogo, coniugando l’intuitiva invenzione del codice con il tempo lento di un’esecuzione manuale certosina, la solitudine dell’artista creatore con la ricchezza plurale delle mani che realizzano la sua idea, apportando nel lavoro una propria cifra. I tratti di biro cambiano infatti non solo a seconda della quantità d’inchiostro della penna, ma anche di chi li compie e dello stato d’animo con cui lo fa.

Dualità. Scissione. Ordine e disordine. Collaborazione. Conoscenza dell’altro e viaggi. Questo e altro ancora è Alighiero Boetti.

Boetti, che è morto prematuramente nel 1994 avrebbe voluto che le sue ceneri venissero disperse in Afghanistan, nelle “acque lapis dei sette laghi di Band-e-Amir, nei crateri delle montagne del deserto di Kush”, ma la guerra non lo ha ancora consentito.

Era mosso dall’idea romantica di emulare le avventure di un antenato del XVIII secolo, si installò a Kabul, entrò in contatto con la filosofia Sufi, che coltiverà per il resto della vita, e rimase affascinato dalla sapienza degli artigiani afghani: a loro ordinò le sue famose mappe, nelle quali il profilo dei paesi ha il colore della bandiera.

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