Violenza. Denunciare è un atto di amore

Gennaro Matino (August 12, 2018)
Poche ancora sono le donne che accusano presso l'autorità competente, poche quelle che riescono a farlo soprattutto per quella violenza subita tra le mura di casa costrette al silenzio per mantenere il buon nome della famiglia

Violenza sulle donne, ancora. Insopportabile catena di dolore, vergogna, abuso. Non bastano appelli, non riesce il tam tam quotidiano di nuovi crimini a far ragionare chi si sente autorizzato a far prevalere la forza bruta sul dialogo, chi forte di codici d'onore disumani si fa giustizia ferendo, brutalizzando, perfino uccidendo chi una volta si diceva amore, chi ancora pensa che una donna sia proprietà personale, che deve essere sua e di nessun altro. Ultima ma non ultima la giovane donna accoltellata sul lungomare di Napoli dal suo ex, insopportabile per lui vederla al braccio di un altro uomo.

Subcultura che viene da lontano e non muore, che anzi si rafforza di nuovi significati, si colora di nuovo linguaggio, si attrezza con nuovi strumenti di tortura dovunque una donna abbia la cattiva sorte di capitare sulla strada di un compagno, amante, amico, sposo, padre o figlio che si sentono suoi padroni e non accettano insubordinazioni, non osano nemmeno pensarlo.

Poche ancora quelle che denunciano, poche quelle che riescono a farlo soprattutto per quella violenza subita tra le mura di casa costrette al silenzio per mantenere il buon nome della famiglia. Quante ne ho accolte nella mia vita pastorale e quante ne ho ascoltate, difficile convincerle che essere cristiani non significa perdonare se il sopruso si ripete.

Il primo dovere di chi crede è difendere la dignità della propria vita che si è avuta in dono, è peccato grave subire senza reagire, senza dare valore anche alla propria sofferenza che diventa offerta solo se pretende la conversione del reo. La santità non può essere passata come subire e tacere e di sicuro di modelli a riguardo ne abbiamo offerto tanti, troppi. Criminale ancora più spietato chi in quel silenzio complice riesce a giocare il doppio ruolo di padre e marito devoto fuori casa e di torturatore in casa, tanti nella città borghese dove non t'aspetteresti, dove il perbenismo dilaga e il disastro relazionale si espande a vista d'occhio. Meglio separarsi che dannarsi, meglio trovare una via di fuga che accettare una violenza ingiusta che grida al cospetto di Dio.

Anche noi preti, forse in buona fede, di certo per ignoranza, siamo stati complici dei torturatori, per troppo tempo abbiamo permesso come Chiesa che questo scempio avvenisse, come se fosse normale che una buona moglie, una buona compagna accettasse "qualche debolezza" del partner per il bene della famiglia, perché la famiglia andava difesa a tutti i costi.

Non è vero, è una menzogna contro il Vangelo che invece rivendica alla verità tutta intera il dominio della libertà, che come massima lancia la sfida: "Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te" e che peraltro perfino nei Codici canonici ritiene giusta una separazione per violenza subita. Capisco che non sia facile per chi ama ancora denunciare, ma quale amore è possibile da chi ha trasformato le parole di incontro in menzogna, sopruso, inganno, dispregio per la vita dell'altro? Capisco che si nutra la speranza che un giorno la situazione possa cambiare in meglio e che l'uomo di cui si è innamorati si penta, cambi, e che smetta di rendere la loro vita un inferno. Ma quando un uomo alza le mani su una donna probabilmente è già troppo tardi e se una possibilità sussisterebbe sarebbe nel parlarne, farsi carico della denuncia dell'amato per salvare l'amore, perfino il compagno, forse, di sicuro la vita.

Denunciare è un atto di amore, è esperienza di libertà e forza di civiltà. Lo è anche di sicuro quando la violenza la subisce l'uomo e di questo in realtà si parla di meno, per vergogna. È un altro tema, un altro argomento? Non credo, se di violenza vogliamo parlare, se la libertà vogliamo difendere, allora è bene non confondere, certo, ma è meglio non occultare, non nascondere sotto il tappeto del politically correct la spazzatura di soprusi perpetrati da donne ai danni dei loro uomini. Non c'è paragone di sicuro, femminicidio è parola che è stata coniata apposta.

Ma l'inciviltà delle relazioni tradite ormai dilaga oltre i sessi, oltre i ruoli. Mariti cacciati di casa che perdono in un istante i figli e la moglie e si ritrovano a vivere in macchina, violenza senza appello anche se innocenti, tacciati dei più infamanti epiteti solo per giustificare la scelta egoistica di una parte, obbligati agli alimenti pur sapendo che a volte saranno costretti alla povertà.
La violenza è contro le donne, ma quella contro gli uomini è meno violenza e dimenticarlo rende meno credibile la giusta lotta, meno comprensibile la protesta. Vorrei un mondo senza violenza, sempre, in ogni caso. Mentre il caldo di ferragosto ancora prova a insidiare il sonno, non dorme la ragione dei giusti, non può assopirsi nel tempo dove più che mai c'è bisogno di un pensiero di pace, per le donne, per gli uomini.

 

*Gennaro Matino, teologo, scrittore, docente di teologia pastorale e parroco a Napoli

 

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