Una società che anestesizza la morte

Gennaro Matino (October 29, 2017)
Oggi non parliamo della morte perché o non crediamo nella vita oltre la vita o non abbiamo il coraggio della vita fatta perfino di quotidiana morte e pensiamo di sfuggirla nascondendola a noi stessi.

Non mi fa paura Halloween, non mi invento diavoli per esorcizzare stravaganze. Rispetto la mentalità, il tempo che cambia e, anche se non tutto il cambiamento mi piace, provo a capirlo piuttosto che a demonizzarlo. Mi fa paura al contrario una società che scientificamente nasconde la morte, una rimozione che temo finisca col provocare effetti devastanti nella quotidianità della gente. Una volta si moriva in casa e perfino i ragazzini erano là, presenti, ad imparare un percorso doloroso che faceva parte del vocabolario della vita, perché l’unico modo per difendersi da un nemico è conoscerlo.

Oggi non parliamo della morte perché o non crediamo nella vita oltre la vita o non abbiamo il coraggio della vita fatta perfino di quotidiana morte e pensiamo di sfuggirla nascondendola a noi stessi. I nostri ragazzi non sono attrezzati alla verità, sono fragili, esposti al rischio di una evidenza taciuta, costretti a crescere da soli senza un mondo di adulti che si prenda la responsabilità di essere adulto. Non conoscono la morte e proprio perché non la conoscono la sfidano quotidianamente, la provocano, la mettono in condizione di agire nei loro videogames, nei loro incubi, negli sballi del sabato sera. Abbiamo smontato la morte dal nostro vocabolario come se fosse un fatto che non ci riguarda, l’abbiamo anestetizzata pensando che la scienza sia sempre capace di dare le risposte che ci servono per detronizzarla.

La cosa più drammatica è che a volte per nascondere la paura della morte, cancelliamo perfino il ricordo di chi ci ha preceduto. Spargiamo al vento, e non solo metaforicamente, le ceneri del caro estinto. Ma nascondere la morte non servirà per evitarle di fare il suo ingresso nella nostra storia. Nessuno sarà risparmiato. Non sarebbe meglio attrezzarsi a riceverla, piuttosto che negarla, ignorarla, peggio cancellarla dal vocabolario della nostra esperienza? “Memento homo”, ricordati uomo che polvere sei e polvere diventerai, era la giaculatoria quotidiana dell’asceta per ripetere a se stesso che il tempo gli era concesso come talento da sfruttare. I percorsi di conoscenza di sé e di avventura nella frontiera dello spirito, impedivano all’uomo di ricerca di mentire a se stesso. Un teschio, che al contemporaneo sa di macabro, era sempre in bella mostra sullo scrittoio del filosofo o sull’inginocchiatoio del monaco.

Immagini andate e certo non riproponibili, ma il concetto che esse esprimevano per provocare la vita a fare i conti con la morte, andrebbe riproposto. Anche Amleto, l’eroe shakespeariano, dialoga con il mistero e, nel suo “Essere o non Essere”, l’Oltre diventa l’interrogativo delle sue scelte. Francesco, il santo delle stimmate, capace di cantare la vita e di scoprirla come assoluta bellezza, sa che perfino la morte, “da la quale nullo homo vivente po’ skappare, è sorella”, parte della natura con cui bisogna fare i conti. Indubbiamente, un’arrogante e terroristica strategia di annuncio, usata come frusta sulle miserie degli uomini, ha reso le religioni antipatiche, oppressive, oscurantiste e sorella morte, con cui si dovrebbe dialogare, un mostro da affogare nell’oblio, tanto da non aiutare l’uomo a fare un percorso di conoscenza della verità. C’è una lotta tra la vita e la morte, c’è un conflitto che va affrontato per essere uomini liberi e se non lo si affronta a vincere, comunque e in ogni caso, sarà la nemica e non solo quella dell’ultimo giorno.

Ci sta, allora, per credenti e non credenti che il calendario questa settimana rimandi alla Commemorazione dei defunti, ci sta che la pietra nuda di un cimitero ci faccia fare i conti con l’estremo e, oltre le pratiche, recuperare la memoria dei congiunti andati come provocazione per una vita che abbia il sapore della verità. Ci sta il celebrare in una sola ricorrenza i morti per fare cerniera di memoria e profezia; ricordare i nostri cari che ci hanno anticipato nel percorso definitivo; riconsiderare la loro vita e per questo esprimere la gratitudine per averli ricevuti. E per chi crede sarebbe straordinario se proprio in questo giorno, forti della fede, al freddo marmo consegnassimo il nostro convincimento: non cercare tra i morti coloro che sono vivi.

Così, la pur necessaria memoria aprirebbe lo scrigno del passato al futuro e permetterebbe la comunione dei santi che lega per sempre vivi e morti, il passato e il futuro, i vivi nel tempo e i vivi oltre il tempo. Con la morte la vita non è tolta ma è trasformata, così è nella natura, così il seme che diventa pianta, così per la fede di chi crede nel futuro di un incontro futuro. È il giorno in cui non il nostro dolore, le nostre difficoltà, la nostra paura della morte, ma i nostri cari andati altrove sono protagonisti della vita. Della loro, della nostra.

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