Una politica globale di economia solidale e di giustizia sociale

Gennaro Matino (April 07, 2016)
Non sarebbe stato preferibile rinunciare solo al dieci per cento della nostra economia per garantire spazi più liberi a paesi disperati, più dignità, sviluppo, pace? Non sarebbe stato giusto restituire ai quei popoli parte delle ricchezze da noi defraudate per secoli? La fame fa uscire i lupi dai boschi, recitava un antico proverbio, e i lupi ora sono in mezzo a noi.


Doevo essere in Brasile in questi giorni, un viaggio programmato da tempo per ritornare a Rio, via Parigi, per celebrare il trentennale della mia prima visita di solidarietà in favore dei ninos de rua nella Favela Major. Le vicende di Bruxelles, e non solo, hanno consigliato di rimandare.




Nessuna paura, nessun timore, nessuna ipotesi di nuovi attacchi terroristici allo scalo francese ma, d'accordo anche l'agenzia, se si poteva rimandare, era consigliabile spostare il viaggio in altra data. Meglio evitare strani pensieri in aereoporti super militarizzati e ansia d'attesa esasperata per i giusti ma asfissianti controlli. Le procedure di imbarco troppo lente, possibili ritardi, soprattutto l'incertezza di trovare le coincidenze per il ritorno a casa all'ordinario lavoro obbligano, chi come me deve fare i conti con altri impegni improrogabili, a rimandare il viaggio.




«Bisogna abituarsi alla nuova situazione internazionale», mi diceva l'impiegata dell'agenzia, «ormai bisogna convivere con il terrorismo ». Frase che in questi giorni sento ripetere spesso, la stampa ne sta facendo un refrain, che certo andrà pure bene per chi deve rimandare un viaggio di piacere o di lavoro, ma convincerà i congiunti delle vittime del terrore a rassegnarsi? Potranno mai accettare che hanno perso i loro affetti in disumane vicende perché non si poteva evitare? Il ruolo della politica, delle istituzioni, delle intelligence non è forse quello di rispondere a questa domanda? Si poteva evitare? E nel futuro si potrà evitare? 




Ho sentito ripetere che per far fronte alla nuova guerra, che usa folli interpreti di sacri testi, bisogna cedere spazi di libertà individuale conquistati a fatica, bisogna dichiarare lo stato d'assedio e militarizzare il quotidiano per poterlo controllare. 




È questa la risposta? È difficile, mi rendo conto, pensare, come ha detto qualche esperto, di tenere sotto controllo spazi enormi abitati ordinariamente dalla folla, frequentati a ogni ora da tantissima gente come stazioni, mercati, teatri, non basterebbe un poliziotto-badante per ogni cittadino per garantire la sicurezza. Meglio mettere i telefoni di tutti sotto controllo, meglio restringere gli spazi di autonomia personali per la salvezza di tutti.




Ma in questo modo saranno evitate le stragi? È chiaro che no, ma nel frattempo senza quelle libertà il mondo sarà cambiato in peggio e la responsabilità del cambiamento non sarà addossata ai politici, alle istituzioni, all'intelligence. 




Anche per Napoli, per diversa situazione, espressi perplessità sulla decisione di schierare l'esercito a fronte della recrudescenza della criminalità camorristica che peraltro ha continuato comunque a fare i suoi affari e a mietere vittime. E anche allora mi permisi di consigliare di stare attenti a far passare l'idea che più uomini in strada, più mezzi militari, più coprifuochi avrebbero fermato la mano armata dei delinquenti. 




Le cause vanno eliminate a monte e "quel monte", per quanto possa essere fastidioso sentirselo dire, non ha per nome l'Islam, i fanatici, l'integralismo, che sono solo trasduttori del vero responsabile che è l'odio, il solo odio contro chi è ritenuto responsabile di una strage più larga di uomini, donne e bambini, di chi ha sacrificato la dignità di popoli interi per garantirsi il più largo vantaggio per la propria casa. Paghiamo oggi le conseguenze di politiche coloniali devastanti, di abomini perpetrati per secoli ai danni di popolazioni inermi. Paghiamo il dazio di guerre preventive che di prevenzione avevano solo la necessità di allargare il bottino, mercato a basso costo, di interventi militari inventati ad arte per inaugurare democrazie là dove avevamo garantito per anni dittature spietate.


E i poveri, i disperati, i senza patria provocati dalla nostra politica globale ora vagano a milioni in cerca di risposte, di pane, di aria ai confini delle nostre aree protette, chiuse all'accoglienza, alla solidarietà, al futuro. Unica soluzione che abbiamo saputo inventare sono altri campi di concentramento, altre scuole di odio per indottrinare futuri kamikaze. 



Non sarebbe stato preferibile rinunciare solo al dieci per cento della nostra economia per garantire spazi più liberi a paesi disperati, più dignità, sviluppo, pace? Non sarebbe stato giusto restituire ai quei popoli parte delle ricchezze da noi defraudate per secoli? La fame fa uscire i lupi dai boschi, recitava un antico proverbio, e i lupi ora sono in mezzo a noi. E per quanto mi riguarda il problema loro è anche il nostro, perché resta un problema di libertà che non sarà risolto con l'inasprimento dei controlli di sicurezza e la limitazione della libertà personale, ma solo con una nuova politica globale di economia solidale e di giustizia sociale.

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