Non si diventa uomini, se non fra gli uomini

Gennaro Matino (September 23, 2015)
Non si diventa uomini, se non fra gli uomini. Sembra essere questo lo slogan del viaggio di Papa Francesco negli Stati Uniti, il primo Papa nella storia a parlare davanti al Congresso di Washington prima di recarsi a New York, alle Nazioni Unite, e poi a Filadelfia per il congresso mondiale delle famiglie.


 Il Papa venuto dall’altra parte del mondo, ora è nel suo ‘mondo’, in quelle Americhe che in pochi secoli hanno saputo cambiare il destino del pianeta e hanno imposto il loro ‘stile’ a nazioni lontane e a storie antiche quando il mondo.


Un continente prevalentemente di ‘spostati, di provenienti da altra parte, come le origini dello stesso Francesco raccontano, una terra fantastica di sorprese, forte di contraddizioni e diseguaglianze, Nord e Sud, passaggio veloce tra potere economico e povertà, tra sviluppo possibile e povertà assoluta. Un passaggio veloce come quello fatto dal Papa da giugno a settembre che ha saputo raccogliere e fare propria la sfida dei poveri in Ecuador, Bolivia, Paraguay; che ha profeticamente auspicato una nuova fraternità mondiale a Cuba e che ha saputo gridare con forza  la difesa del creato negli Stati Uniti. Papa Francesco aveva detto: «Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!».


 E ha ribadito con nuova sostanza quello che per lui è il fondamento della sua predicazione: «La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore». La "custodia" del creato, ovvero non solo gli atteggiamenti individuali, ma anche la costruzione comunitaria fraterna della polis. Papa Francesco dice che non possiamo "custodire" il creato se prima non custodiamo noi stessi, nella pienezza spirituale di questo termine. La custodia del creato «chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza».


Non si diventa uomini, se non fra gli uomini, tuttavia preferiamo nasconderci, restare soli è pane quotidiano. Le nazioni si contendono i beni della terra e per poterli ottenere rischiano conflitti. «La sfida urgente – sostiene il Papa – di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare. Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. La sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci toccano tutti». Quando siamo costretti a parlarci, nella nostra diversità scopriamo mostri, paure che ci perseguitano, che insidiano la nostra tranquillità. Semmai dobbiamo relazionarci, se proprio ne siamo costretti, allora preferiamo i nostri doppioni, i nostri specchi, quelli che ci stanno di fronte senza reagire, dei quali riconosciamo l’esistenza solo perché non ci contraddicono.


La paura del confronto inventa processi distruttivi: o ci porta a fuggire dall’altro o ad aggredirlo per annientarlo. Stiamo insieme, lavoriamo insieme, camminiamo uno accanto all’altro nella confusione delle nostre strade, ma restiamo soli, irrimediabilmente soli. Eppure per essere bisogna ritrovarsi.  Un bellissimo midrash recita: «Guarda le mie opere, quanto sono belle e degne di lode. Tutto quanto ho creato, l’ho creato per te. Stai attento a non rovinare. E a non distruggere il mio mondo, perché se farai così non ci sarà dopo di te chi possa porre rimedio ai tuoi danni» (Qohelet Rabbah 7,28). Il possesso delle cose, la paura di perderle generano tanta sofferenza e ansia quanto il piacere di averle. È evidente allora che gridare libertà dalle cose, come ha fatto in modo nuovo ed originale Francesco a New York,  può significare ribadire il giusto uso dei beni della terra, che non mina l’idea di proprietà, ma esalta il principio della condivisione: «Il dovere di regolare il potere in modo che l’uomo, facendone uso, possa rimanere uomo».


Non si diventa uomini, se non fra gli uomini. L’armonia dell’essere genera la persona solo se discende dal dialogo, dalla comprensione e dalla compromissione con la diversità, solo dal tormento e dalla fatica della parola condivisa. Senza l’altro rischiamo di non essere. Senza parola non si costruisce l’uomo.



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