Napoli. Terra mia. Pino Daniele e Francesco Rosi. L'eredità che la loro arte consegna

Gennaro Matino* (January 11, 2015)
La dipartita di Pino Daniele e Francesco Rosi ha colpito Napoli con la virulenza con cui nel film “Magnolia” il regista americano Paul Thomas Anderson fa piovere rane su ignari e attoniti personaggi che animano la sua pellicola. Mi aspetto che l'eredità, che arriva alla città dal genio di uomini così, scuota la sua coscienza civile.


“Piovono rane”, sembra che in questo inizio d’anno una voce fuori campo sussurri queste parole alla città di Napoli. La dipartita di due nostri illustri concittadini, Pino Daniele e Francesco Rosi, ha colpito la nostra comunità con la virulenza con cui nel film “Magnolia” il regista americano Paul Thomas Anderson fa piovere rane su ignari e attoniti personaggi che animano la sua pellicola.


Il breve succedersi dei due luttuosi eventi sembra aver lasciato in eredità ai napoletani un particolare sgomento, quasi un senso di disorientamento. Ma altra è l’eredità che la loro arte consegna, altra ne arriva alla città dal genio di uomini come Pino e Francesco e mi aspetto che scuota la sua coscienza civile.


Francesco Rosi non ha cantato Napoli, l’ha dipinta, l’ha descritta nella sua straordinaria e drammatica bellezza, contraddizione di verità e finzione, troppo spesso al soldo di potenti armati di parole di fumo, inganno di illusi che da troppo tempo aspettano miracoli celesti più che avere dimestichezza con rivoluzioni e impegno civile. Ancora drammaticamente attuali risuonano le denunce di Francesco Rosi che con crudo realismo tratteggiava profili e caratteri di una classe politica e di una imprenditoria locale che allungava le proprie laide e fameliche mani sulla ricostruzione e la riqualificazione urbanistica della nostra città.


L’immortalità del film “Le mani sulla città” rappresenta allo stesso tempo limiti e grandezza del nostro popolo e se a tanti della mia generazione ha contribuito alla formazione di una coscienza civica, ora, in un tempo di coscienza compromessa e di civiltà quasi assente, dovrebbe essere proiettato nelle nostre scuole. A noi comunque ci è dato il privilegio di essere quotidiani spettatori postumi sul set del film di Francesco Rosi. Ricorderete sicuramente la scena in cui il personaggio noir, il costruttore Nottola, dall’alto di Via Piave indottrinava gli ingenui politici dell’epoca sul potere e sul moltiplicatore economico del “dio-mattone”.

*Gennaro Matino  è docente di Teologia pastorale e insegna Storia del Cristianesimo presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Editorialista di 'Avvenire' e 'Il Mattino'.  Opinionista di 'La Repubblica". Parroco della SS Trinità. Il suo più recenti libri: “Economia della crisi. Il bene dell'uomo contro la dittatura dello spread" (Baldini & Castoldi - 2013) e "Tetti di Sole" (2014).


Chiunque si trovi a percorrere il tratto di Tangenziale che va dalla Collina di Capodimonte direzione Pozzuoli, by-passando il quartiere Vomero, può notare con curioso disappunto interi quartieri costruiti dove prima c’erano lussureggianti giardini alberati, quartieri formati da palazzi di cui ancora si scorgono le fondamenta costruite a mo’ di palafitte, e Dio solo sa quanta speranza di vita disattesa e quanta deportazione urbana reca con sé quel cemento impastato di calce e lacrime. Quanti Nottola hanno contribuito a deturpare il viso di Partenope decantata come terra lussureggiante che degrada dolcemente verso il mare. Chi conosce davvero la mia città, sa che tutti i mali traggono origine da una politica urbanistica famelica, arrivista e arrogante a vantaggio di pochi e da una scellerata politica industriale che vedeva nella Baia di Bagnoli il sogno utopistico di una industrializzazione che irrimediabilmente ha sfregiato quanto di unico e singolare il buon Dio ci aveva concesso.


“Terra mia, - canta Pino - benedetta da Dio e maledetta dagli uomini”. Di re e viceré Napoli ne ha avuti tanti, troppi, e ancora ne ha. Il dramma è che nessuno può pensare ancora di gabbarci con ruffiani saluti e con commiati degni del più imbellettato red carpet: che spalle pesanti deve averci la morte per sopportare tutto questo!


Ora che tutto la morte cancella, ora che sembrerebbe che nulla ancora c’è da aggiungere a quello che è già stato detto e documentato da uomini come Rosi, che con la potenza delle immagini hanno reso al mondo testimonianza di verità passata al secolo come “il sacco di Napoli”, una incredibile possibilità ci è concessa, quella di rendere possibile una rivolta pacifica che nasca dalla forza catalizzatrice di tutte le volontà e abbracci tutte le coscienze. Una rivoluzione di “mille culure” che finalmente e per sempre superi “le mille paure”. Oggi più di prima ci è data l’occasione di dire: Napoli, terra mia.




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