Mezzogiorno. Solo un problema ereditato dal passato?

Gennaro Matino (June 27, 2015)
Nel suo primo viaggio da presidente emerito a Napoli, Giorgio Napolitano esclama: «Non esiste, non se ne vede traccia, una strategia per lo sviluppo del Mezzogiorno ». La frase che suona come una critica alle politiche del governo verso il Meridione. Il Mezzogiorno evoca ancora l’idea del fallimento, della delusione, dell’impresa impossibile, non appassiona più le coscienze e le intelligenze. Quindi strategicamente meglio evitare l’argomento.



GIORGIO Napolitano, ex Capo della Stato, torna a Napoli nel suo primo viaggio da presidente emerito e lancia un forte richiamo alle istituzioni: «Non esiste, non se ne vede traccia, una strategia per lo sviluppo del Mezzogiorno ».


Parole che hanno scosso e provocato diverse reazioni, in verità limitate alla sola realtà napoletana, ma che avrebbero potuto riaprire un tema che a molti”politicamente” sembrava chiuso.


Forse perfino alla stessa presidenza della Repubblica degli ultimi due decenni, più preoccupati di dare risalto alla complessa questione settentrionale che a risotterrare quella meridionale che, per opportunità politica, era conveniente ritenere superata. Superata ovviamente non nel merito, visto che lo sviluppo del Meridione resta incompiuto, distorto e frammentato, ma dal punto di vista delle priorità da affrontare: da quando l’Italia intera è scivolata tra i Sud dell’Europa e il Nord del Paese, il motore dell’economia, si è vista risucchiare in una crisi abissale.


E non solo. Il Mezzogiorno evoca l’idea del fallimento, della delusione, dell’impresa impossibile, non appassiona più le coscienze e le intelligenze. Quindi strategicamente meglio evitare l’argomento. Vi è ormai una censura tra Mezzogiorno e gli italiani e la cosa che più deprime è che questa censura non risparmia i politici, gli intellettuali e perfino quelli meridionali stanchi di essere descritti come subalterni a quelli del Nord e per questo paradossalmente, invece di reagire, sfuggono dall’impegno di riflettere su se stessi, dalla responsabilità di andare oltre il tempo del vittimismo e rispondere a un’accusa incancrenita di parassitismo statale con un’appassionata lotta visionaria di riscatto.


C’è ancora chi, pochi in verità, sostiene a ragione che non c’è futuro per l’Italia intera se l’unità del Paese non sarà compiuta anche dal punto di vista dello sviluppo economico, convinto che il Paese crescerà solo se sarà insieme.


Ma la percezione che in realtà si rileva attraversando l’Italia è un’altra, quasi oltraggiosa nei confronti della gente del Sud, nei commenti degli opinionisti, nei sondaggi, nell’aggressiva politica protezionistica di movimenti populistici: «Vi è stata data l’opportunità», sembrano voler dire al Sud, «l’avete sprecata. Ora non potete essere una palla al piede del Paese».


Anche Renzi nell’ultima direzione del suo partito ha affermato che solo per pudore la Lega Nord non parla più di secessione ma che nei fatti resta la rappresentanza politica, il collante di quegli egoismi in progressiva espansione che sempre di più coagula una larga parte di cittadini italiani che a loro dire sono stanchi di pagare per tutti. Soprattutto di quei cittadini del Nord e del Sud che non ritengono più di poter essere solidali con chi ha sprecato risorse pubbliche, con un Meridione dove ogni centesimo di euro dovrebbe essere allocato a spesa come se fosse l’ultima risorsa e dove invece il denaro pubblico viene utilizzato come se fosse solo una parte di una serie mai terminata e che mai terminerà. A fronte di ciò il Sud più che un progetto per il futuro, diviene per la politica solo un problema ereditato da un passato che non ha futuro.


La fuga della politica dal Sud uguale a quella dei rappresentanti eletti dal popolo che cercano voti nel meridione solo per scappare a Roma, lontani anni luce dai problemi della gente, la dice lunga su quanto opportuna, ma tardiva, sia stata la provocazione di Napolitano: è giusto che il Meridione e Napoli diventino protagonisti di un cambiamento ora più che mai necessario che deve poter contare sulle energie intellettuali, professionali, culturali.


Opportuno l’invito di Napolitano ma da rivolgere soprattutto al mondo delle decisioni perché se nuove visioni di sviluppo del Sud non verranno coniugate con una nuova proposta culturale e politica che affascini la classe dirigente e che costringa le istituzioni di governo a ripensare se stesse, difficile che produca qualche risultato.


Oggi il Meridione d’Italia è per intero governato da giunte di centrosinistra. Le riforme del “sistema Italia” volute dal presidente del Consiglio forse renderanno migliore nel suo complesso l’Italia, ma non ravvicineranno da sole aree del Paese che si allontanano sempre di più.

Può permetterselo il governo Renzi? Può permetterselo l’Italia?

 


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