Locri - Rileggere, cento anni dopo, gli scritti giovanili di Corrado Alvaro

Domenico Legozzo* (February 05, 2015)
Incontro letterario con Vittorio Teti per ripercorrere l'opera giovanile di Corrado Alvaro



LOCRI - Rileggere cento anni dopo gli scritti giovanili di Corrado Alvaro e far conoscere gli inediti ai ragazzi del nuovo millennio è l’opera meritoria che con successo hanno realizzato due illuminati calabresi: lo scrittore Vito Teti e l’editore Carmine Donzelli. Sta infatti incontrando molto interesse il libro “Un paese” e altri scritti giovanili (1911- 1916) di Corrado Alvaro. Verrà presentato martedì 10 febbraio, alle 17.30, nella sala consiliare del comune di Locri nel corso dell’incontro letterario con il prof. Vito Teti, coordinato da Maria Teresa D’Agostino e le letture di Francesco Nicita.

L’iniziativa è del sindaco Giovanni Calabrese, che introdurrà i lavori, e dell’assessore alla cultura Anna Sofia, che sta svolgendo una positiva azione per il recupero e la valorizzazione delle grandi tradizioni storiche e culturali di Locri. Il docente dell’Università della Calabria, che è l’autore dell’introduzione del libro con un saggio di Pasquale Tuscano sul giovane Alvaro poeta, ha scoperto gli inediti nell’archivio del Fondo Domenico Lico di Catanzaro. Ricorda: “Quando ho incominciato a leggere queste carte di cui nulla si sapeva, mi è stato difficile non pensare a una sorta di sorpresa, di dono, a un qualche segreto che mi veniva affidato, per via misteriosa, dallo scrittore dei segreti”. Domenico Lico è il compagno del liceo al quale lo scrittore di San Luca ha consegnato nel 1940 “la primissima prova narrativa, un tentativo di romanzo, scritto a Livorno nel 1916, tra un’operazione chirurgica e l’altra, a seguito delle ferite riportate in combattimento nella Grande guerra”. Ricordiamo che Alvaro fu curato nell’ospedale militare di Chieti e che proprio nella città abruzzese tanti anni dopo trovò un rifugio sicuro dopo essere scappato da Roma per sottrarsi alla cattura dei tedeschi. Sotto falso nome, si guadagnò da vivere dando lezioni di inglese. Nel libro “Quasi una vita”, ha raccontato i mesi trascorsi a Chieti con immensa gratitudine nei confronti degli abruzzesi che durante l’occupazione tedesca hanno dato generosa assistenza a tutti i fuggiaschi. Tra questi Carlo Azeglio Ciampi, con il quale “divisero il pane che non c’era”, come ha scritto nel suo diario l’ex Presidente della Repubblica.

Poco meno di un secolo più tardi, non lontano dalla sua San Luca, nel cuore della Magna Grecia, si analizzerà l’inizio del cammino letterario di Alvaro.In effetti ”Un paese” si rivela un’anticipazione di tante tematiche e atmosfere alvariane: prima su tutte, l’attenta, quasi etnografica e diaristica descrizione dell’ambiente sociale e umano del suo paese d’origine, con riferimenti all’universo popolare e alle culture alimentari, con la narrazione di vicende che ricordano la storia d’amore tra il padre e la madre, inizialmente contrastata dal nonno materno”. Una occasione per riflettere e trarre insegnamenti di estrema attualità. “Sono convinto - sottolinea Teti - che Alvaro sia stato uno dei più grandi e prolifici intellettuali della prima metà del Novecento europeo, autore di poesie, saggi, note di viaggio, articoli, romanzi, racconti, memorie, ma anche animatore della vita culturale e intellettuale italiana tra le due guerre. Credo sia stato unico nella sua capacità di restare fedele e ancorato a un luogo e insieme nella facilità di aprirsi al mondo, alla cultura esterna, di sprovincializzare sia le culture regionali che quella nazionale, che egli non vede separate”.

Il luogo della memoria. Ricordiamo a questo proposito quanto scritto da Saverio Strati sull’Unità di domenica 7 gennaio 1962. Racconta così il suo primo incontro lo scrittore di San Luca.

Conobbi Alvaro al mio paese nel giugno del ’53. Alvaro era andato a Caraffa per salutare sua madre, desideravo molto conoscerlo; e andai apposta da Messina a Caraffa. Lo incontrai per la strada, insieme a suo fratello prete. Mi presentai. “Ah!” – esclamò Alvaro, stringendomi calorosamente la mano. “Mi hanno parlato di lei i Debenedetti. Avrei dovuto leggere dei suoi racconti .Ancora non li ho avuti. Se volesse darmeli lei stesso, li leggerei in questi due giorni che starò a Caraffa da mia madre”. Provai una grande gioia perché Alvaro si offriva di leggere i miei racconti.

“Viene giù con noi? Si fa due passi”, mi disse. Nulla di più straordinario e di inatteso per me. C’incamminammo verso giù. Tutti sapevano, contadini, artigiani, impiegati, che in paese c’era Alvaro. E un uomo di cui parlano i giornali e la radio diventa, agli occhi dei più umili, un dio.

“Cosa fa lei?”, mi domandò Alvaro, mentre si camminava.

“Studio a Messina alla facoltà di Lettere. Ho letto quasi tutti i suoi libri”, mi affrettai a dirgli.

“Mi fa piacere”.

“Delle sue opere, quelle che mi piacciono di più, anzi credo che siano addirittura le migliori, sono Gente in Aspromonte, L’età breve, Quasi una vita (ancora non avevo letto L’amata alla finestra). E di queste tre opere quella che mi parla di lei direttamente e mi tocca è Gente in Aspromonte”.

 

“Doveva essere un romanzo, Gente in Aspromonte”, disse Alvaro. “Ma ho dovuto tagliare”.

Arrivammo alla torre da dove si abbraccia un paesaggio immenso e meraviglioso.

“E’ proprio bello questo paesaggio“ disse Alvaro. “Verso lì ci dovrebbe essere San Luca”, aggiunse rivolto al fratello.

 

“Sì, Corrado. Da quella collina si vede San Luca”.

“Si va lì, prima di partire per Roma”, disse lo scrittore.

E’ da molto che non torna al suo paese? Gli domandai. Ma subito mi pentii della indiscrezione. Avevo sentito raccontare che Alvaro, ogni volta che scendeva in Calabria, al suo paese non ci andava.

“Da molti anni. Né ci voglio mai più ritornare. Ho un bel ricordo del mio paese e non voglio sciuparlo. Sono stato felice a San Luca, durante la mia fanciullezza e desidero conservare per sempre questo ricordo”.

Ricordi. Sulla Stampa del 1949 Alvaro scriveva: “Un altro aspetto della Calabria, è quello dei paesi abbandonati e disabitati sui monti e sui colli, le finestre vuote, il campanile vuoto ancora in piedi, il castello diroccato. Non soltanto le frane ne consigliarono l'abbandono, ma la maggiore sicurezza di dopo la Unità, la creazione di centri di commercio e di centri agricoli. Le associazioni a delinquere che qualcuno tentò di instaurarvi a imitazione della mafia, non attecchirono, e la Calabria è ancor oggi uno dei paesi più sicuri a qualunque ora in ogni sua parte solitaria; è perfino la meno infestata dalla mendicità”.

La Calabria dimenticata dallo Stato e lasciata in balìa delle forze antisociali, a partire dalla seconda metà del Novecento ha subito una pesantissima trasformazione. Terreno fertile per far crescere le cosche. Tessuto sociale progressivamente disgregato. La ‘ndrangheta si è progressivamente impossessata con la violenza di spazi sempre più ampi, con complicità palesi ed occulte. Connivenze pericolose, sia a livello politico che istituzionale. La malapianta si è estesa. Oggi non è solo un problema calabrese, ma una emergenza nazionale. La piovra mafiosa ha allungato i tentacoli da un capo all’altro della Penisola. E non solo. Ha messo le mani sui traffici internazionali di droga. La ‘ndrangheta viene considerata tra le più potenti e diffuse organizzazioni criminali del mondo. E il nome di San Luca è tristemente salito alla ribalta delle cronache mondiali per la strage in Germania. Che tristezza! E quanta amarezza nel rileggere oggi Saverio Strati e la confidenza che gli aveva fatto Alvaro: “Ho un bel ricordo del mio paese e non voglio sciuparlo. Sono stato felice a San Luca, durante la mia fanciullezza”.

*già Caporedattoree del TGR Rai


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