Ilica. Intervista ad Anthony Tamburri. Nuove motivazioni per gli italo americani del 21mo secolo

Vincenzo Marra (October 28, 2010)
Ilica è al settimo anno e festeggia. Il 9 Novembre viene celebrato il aaestro aretino Alessandro Marrone. Il 10 Novembre ospiti illustri della serata speciale organizzata da Ilica saranno: il talento di Cristiana Pegoraro, la visione di Anthony J. Tamburri e l’innovazione dell’Italy America Chamber of Commerce. Pubblichiamo le interviste che li riguardano. E cominciamo da Anthony Tamburri, Dean del J.D. Calandra


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E’ arrivato a New York da 4 anni e sembra sia stato qui da sempre. Dopotutto Dean Anthony Julian Tamburri è nato a Stamford, ha studiato in Italia e in America, ha cominciato ad insegnare Italiano in Connecticut, poi in Indiana e via… insomma, siamo fortunati, nel periodo storico in cui viviamo, ad avere una personalità di questo spessore culturale nella Grande Mela. 

Anthony Tamburri riceve il Premio Stella solo un mese dopo la scomparsa di Frank Stella che, cominciando dai Dottori Frank Monteleone e Antonio Miele e dal suo ultimo protégé, Antonio Rugiero, ha sempre scelto e approvato chi continuasse la sua eredità culturale.

Intervistare il Dean del Calandra sarebbe stato presuntuoso. Abbiamo fatto con lui una chiacchierata amichevole sui temi per i quali Stella, insieme con Jeno Paolucci, aveva vissuto e lavorato: “L’affermazione degli Americani di origine Italiana nel tessuto socio/politico/economico degli USA”.

L’uffico del Prof. Tamburri è sempre molto ordinato nel disordine di pratiche, carte e cartelle che rivelano il suo costante impegno su tutti i fronti dove si combatte la battaglia culturale per gli Italiani d’America.

Ci offre il caffè espresso che prepara personalmente e poi cominciamo il nostro colloquio.

 

 

 Il XX secolo era pieno di motivazioni per gli Italo Americani. Quali sono quelle XXI secolo?

Io credo che siano tante quante lo spazio che offrono ancora gli Stati Uniti. Mi spiego, anche se stiamo vivendo un momento economico poco felice, l’America continua ad accogliere una nuova ondata di giovani italiani che, a differenza del secolo scorso, sono qualificati al punto che si parla in Italia di “fuga dei cervelli ovvero dei talenti”. Ecco io spero che queste nuove intelligenze incontrando i figli di terza e quarta generazione degli emigranti del secolo scorso, cerchino un comune denominatore, per guardare con fiducia ad un’evoluzione del nostro gruppo etnico. Gli Americani di origine italiana hanno poco o niente dell’italianità che vorrebbero apprendere, mentre gli italiani che arrivano in America, anche parlando perfettamente l’Inglese, sono solo italiani.

L’Italia per un americano che ha deciso di studiare la lingua italiana dovrebbe rappresentare un riferimento ‘geoculturale’ da conoscere nella sua realtà attuale.

E i giovani italiani rappresentano al meglio questo nuovo aspetto del Bel Paese. Mentre, sono sicuro, che la maggioranza di loro non sappia nemmeno che oltre il 50% di chi li ha preceduti è poi tornato in Italia. Vedi, sono queste le incomprensioni che fanno percepire un distacco generazionale e culturale tra gli Italiani e le grande emigrazione Italiana in America.

 

 

Voglio informarti sulla mia impressione dalla visita fatta a vari gruppi di studenti e ricercatori italiani in alcune delle Università più prestigiose degli USA. Hanno formato, in genere, Clubs influenzati dalla politica che li condiziona nell’Italia di oggi. Tu credi che questo sia comprensibile tra i loro coetanei Americani?

La politica resta pur sempre un fenomeno culturale. E io credo che la svolta negativa per la perdita italiana fu la sciagurata avventura politica del 1942 quando si vietò, in America, di parlare la lingua Italiana perchè era considerata ‘la lingua dei nemici’. Prima di quella data l’America aveva una serie di quotidiani e soprattutto una rivista ‘The Atlante’ scritta al 90% in inglese che affrontava tutti gli argomenti che oggi non si discutono più. La NIAF con Ambassador e l’OSIA, con Italian American, sono le sole organizzazioni con due riviste di 30 pagine che escono 4 volte l’anno….. Troppo poco! Nell’era Internet, abbiamo solo due portali, i-Italy e un altro per il Mid West, a St.Louis… E’ veramente difficile qualificarsi in questo modo. La grande intuizione di Paolucci e Stella fu ‘Attenzione’, una rivista mensile nazionale che informava l’America sulla realtà degli Italo Americani. La rivista durò solo due anni grazie ai grandi investimenti di Jeno che la volle fortemente. Ancora oggi avremmo bisogno di un punto d’incontro; Jeno e Stella chiesero la nostra Attenzione e la nostra risposta non ci fu….

Oggi esistono mezzi elettronici come Google per leggere l’italiano e, a tal proposito, ho scritto recentemente un articolo su i-Italy:” Non è mai troppo tardi per imparare l’Italiano”.

 

 

Scusa ma non vorrei parlare solo della lingua italiana. Torniamo alle motivazioni: se io nasco in America negli anni 80, oggi ho 25 anni, pratico il basketball, il baseball e amo il football. Per quale ragione dovrei interessarmi ad un Paese dove i giovani come me emigrano perchè non riescono ad essere motivati? …. E poi andiamo al Columbus Day e vediamo sfilare una volta la Campania e un’altra volta il Veneto. Le rappresentanze Diplomatico/Commerciali dell’Italia propongono ogni settimana un’altra regione…. Nel secolo scorso nessuno si chiedeva dove fosse fabbricata la caffettiera espresso Bialetti o la Vespa. Ma l’Italia come Paese è presente?...

Io credo che sarà poi la storia a determinarese la percezione di chi riceve i messaggi regionali li

 interpreti sempre come Italia, ovvero come elementi di distrazione. Dopotutto sono state sempre le regioni a sponsorizzare ora l’una ora l’altra organizzazione italo-americana. Tra l’altro l’Italia ha regalato al mondo il Rinascimento, un fenomeno culturale così unico e immenso che ha oscurato tutto quello che è venuto dopo.

 

 

Si ma l’Italia continua a promuovere il Montepulciano d’Abruzzo o la Falaghina di Avellino mentre il mondo sa cosa è il Beaujolais Nouveau di Francia, non sa cosa è l’Abruzzo o Avellino.

La Francia ha sempre venduto la sua cultura mentre noi Italiani, dovunque ci siamo trovati nel mondo, siamo sempre stati reattivi.

Abbiamo individui che hanno raggiunto realtà economiche da classifica Forbes, ovvero rappresentati politici che parlano dei Messicani nello stesso modo che si parlava dei loro nonni. Ecco, noi conosciamo poco la cultura altrimenti saremmo più cauti. Come ha rimarcato Tony Lo Bianco, a chi gli contestava l’interpretazione di ruoli da Mafioso, senza un supporto economico ovvero una spinta cultural/finanziaria, noi dobbiamo recitare nei ruoli dove ci percepiscono quelli che ci pagano.

Noi Italiani non abbiamo una casa editrice e non riusciamo a discutere su questo argomento in maniera sinergica. Noi del Calandra abbiamo cominciato con un gruppo due mesi or sono e dobbiamo continuare ad incontrarci per discutere i problemi del XXI secolo.

Sono d’accordo con te, se continuiamo a parlare della storia passata non riusciremo a costruire quella futura. D’altro canto gli ebrei hanno avuto l’olocausto, i neri la schiavitu`¨e gli ispanici hanno una lingua come comune denominatore. Noi siamo in difficoltà perchè, laddove l’Italia sembrerebbe sganciata dale sue comunità in USA, anche noi dobbiamo riuscire a far comprendere la nostra realtà all’Italia.

Per esempio, io, Fred Gardaphè e Paolo Giordano scrivemmo, nel 1991, ‘From the Margins’. La gente ci chiedeva come poteva avere il nostro libro invece che chiedere ‘dove’ poteva aquistarlo. Era difficile per noi spiegare che il libro bisognava ordinarlo in libreria e aquistarlo perche’ “Culture doesn’t fall off a truck” (La cultura non si trova per la strada.n.d.r.)…..

E fammi aggiungere che con tutti soldi che hanno i nostri leaders, dovrebbero almeno documentarsi sulla realtà di una cultura che pretendono di rappresentare. Io posso solo proporre di fare una grande conferenza in territorio ‘neutro’, nel senso di concentrare tutte le Fondazioni maggiori magari all’Ambasciata Italiana per discutere, in sinergia, come possiamo meglio servire questa grande cultura che ci accomuna”.


 

E io vorrei aggiungere che ormai siamo nella necessità di organizzare meglio la nostra azione per mantenere l’identità forse più forte del mondo occidentale.

Quest’anno la Cina ha distribuito un libro ricordo all’Expo di Shanghai e, tra tutti i personaggi che hanno influenzato la Cina, erano menzionati solo due: Marco Polo e Matteo Ricci. Ora dobbiamo confessare che tutto quello che abbiamo, lo abbiamo ereditato senza troppo merito. Credo sia giunto il momento di capire, al di fuori delle retoriche degli oratori di turno, se siamo ancora capaci di contare.








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