Capogrossi dall’idea al progetto

Roberta Michelino (November 07, 2013)
Ritorna a New York dopo oltre cinquant’anni la mostra di Giuseppe Capogrossi, organizzata da Guglielmo Capogrossi e Laura D'Angelo, in collaborazione con la Fondazione Archivio Capogrossi. L’esposizione è stata allestita alla Casa Italiana e sarà aperta al pubblico fino al 13 dicembre 2013.

Il maestro dell’astrattismo Giuseppe Capogrossi ritorna nella Grande Mela dopo più di cinquant’anni d’assenza. L’ultima volta una sua mostra era stata allestita al Leo Castelli Gallery di New York. Il 6 novembre la Casa Italiana Zerilli Marimò ha accolto questo evento esclusivo ed imperdibile. Il Direttore Stefano Albertini e la curatrice Isabella Del Frate hanno
collaborato insieme alla Fondazione Archivio Capogrossi, Guglielmo Capogrossi e Laura d’Angelo, per organizzare quest’esposizione di grande importanza per la cultura italiana a New York.

Ma chi era Giuseppe Capogrossi. Capogrossi è un pittore che prima di diventare tale ha studiato Giurisprudenza a Roma. Non riuscendo a vestire i panni di uomo di legge decide di seguire le sue passioni e le sue attitudini dedicandosi alla pittura. Inizia con uno stile figurativo per poi passare negli anni ’50 definitivamente all’astrattismo. L’artista stesso segna questo passaggio con testuali parole : Ho sentito il bisogno di ricominciare da capo, per non essere più schiavo. Era diventato per me un bisogno morale. Inizialmente il suo tratteggio astratto e la scissione tra immagine e tecnica hanno suscitato critiche non positive soprattutto da parte del popolo italiano riluttante ad accogliere le nuove tendenze dell’arte contemporanea.
 

Nella mostra sono esposti sia il bozzetto del quadro sia l’opera definitiva. Questa singolare scelta è stata presa per far comprendere ai visitatori l’idea primordiale dell’artista e l’evoluzione della stessa idea nella tela completata. Dai suoi dipinti emerge la potenzialità della grafica del segno, essenziale ma decisa e comunicativa. Oltre ad un’innegabile valore artistico la produzione grafica è considerata anche fonte  documentaria inestimabile, grazie agli appunti che l’artista lasciava ai margini dei suoi quadri. Le poche righe scritte d’impulso erano spesso richieste a stampatori o affettuose dediche  a persone a lui care.

Questa concatenazione di frammenti segnici rappresenta un’infinita possibilità di varianti che modificano la struttura della superficie. Disposti a catena o isolati nella tela, i suoi segni danzano armonicamente con lo spazio ed il colore. La rappresentazione del grafema a tridente rieterato è la ricerca di un ordine e di una metrica ritmica espressa attraverso moduli grafici. L’artista stesso ha affermato che in questa tecnica pittorica si riassume la sua libertà, la felicità, la pienezza del proprio essere e l’espressione diretta del proprio esistere.

Il collage dei segni, in realtà, ha un preciso significato: scoprire le molteplici dimensioni dello spazio pittorico e del tratteggio corrisponde ad un’accurata lettura di noi stessi. Forse è proprio per questo motivo che il pittore ha lavorato per così tanti anni al perfezionamento della grafica, perchè attraverso quell’infinita sequenza di segni coglieva la sua essenza.

L’artista sarebbe ben lieto di ritornare a New York dopo l’esito positivo che ha avuto la sua mostra alla Leo Castelli Gallery molti anni fa. Questo evento è stato per la sua carriera una grande occasione di dialogo con un paese che nel ’59 era sicuramente il più all’avanguardia nell’arte contemporanea. La sua amica Elisabeth Reed Keller, conosciuta  a Roma e da lui ritratta, l’ha spinto ad allestire una mostra al Museo d’Arte Moderna di Dallas, in quanto, lo rincuorava, che in America incoraggiavano i giovani talenti italiani. E questo consiglio è stato prezioso per l’arte di Giuseppe Capogrossi.

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