Teresa De Sio a New York. Folk come Rock del popolo

Letizia Airos (May 03, 2010)
Incontriamo la cantante napoletana Teresa De Sio a margine della sua partecipazione al festival "Divinamente New York". E' un'occasione unica per farla parlare ai sui numerosi fan negli USA, ma anche per portare la sua musica ai lettori di i-Italy che non la conoscono. L'artista napoletana si racconta con grande generosità e calore. Suo nonno era il medico di Frank Sinatra, i suoi antenati vivevano a Jersey City e la sua bisnonna nativa americana ...

La vediamo arrivare da lontano nella fredda sala d'attesa dell'albergo dove abbiamo appuntamento,  spiccano i suoi colori.
 

Vestiti caldi, variopinti, una massa infinita di capelli, ed un sorriso accogliente.  Subito sotto,  i suoi occhi neri che scrutano incuriositi l'interlocutore. Che guardano vicino, cercano dentro.

All'inizio sembra quasi volerle fare lei a noi le domande. Ma cominciamo subito una conversazione libera da convenevoli, con un tu spontaneo, senza mediazioni. Straordinariamente piacevole.  Unico problema da risolvere: l'aria condizionata. E' fortissima e Teresa si fa portare subito un caldo scialle che la copre tutta con i suoi colori. Ma saranno le sue parole a colorare l'atmosfera.

"E' la prima volta che vengo per lavoro a New York. Ma per un motivo piuttosto banale: non amo volare. Ho rifiutato diverse proposte allettanti. Finalmente ho deciso che è il momento di superare questa fobia.

Il motivo per cui mi fa anche piacere partecipare al festival 'Divinamente Roma'  è nella scommessa di farlo da totale agnostica, anche se credo nella spiritualità a cui fa riferimento lo spettacolo, una spiritualità che trascende tutto il materialismo e l’economicismo della vita.

E dopo aver riflettuto  sulla scelta del materiale da suonare in questo contesto ho deciso di mantenere presente tutto quello che io faccio di solito.

Tutte cose che probabilmente farei anche se venissi a suonare in un contenitore differente, però privilegiando un pò alcuni aspetti, come l'appartenenza alla musica popolare e Folk.

Mi piace molto dire che il folk é il rock del popolo, perchè è alternativo e potente come il rock.  Perchè come il rock usa un linguaggio diverso per dire cose che la musica commerciale, pop o i circuiti ufficiali non direbbero.

Inoltre usa allo stesso modo il potere del ritmo. Il ritmo e i contenuti sono due fattori fondamentali della mia musica, oltre naturalmente quella parte di me che è napoletana, e quindi la parte più melodica essendo Napoli considerata la patria della melodia.

E nella musica del folk si parla molto anche di pugno del diavolo, di dio e di santi che non sono proprio esattamente dio, il diavolo e i santi...ma qualcosa di diverso.

Io l’immagino in un universo sospeso a metà, e il divino inteso in senso sincretico, cioè quella parte del divino che è dentro di noi, per convivere con le tradizioni di derivazione pagana. Questi diavoli vengono convocati per vari motivi, uno fra tutti mi è molto caro. Il mito del morso del ragno, legato alla pizzica e al tarantismo.

E’ una musica che amo molto, che conosco e che mi ha portato a svrivere il mio primo libro Metti il diavolo a ballare, una storia ambientata in Salento negli anni cinquanta. La protagonista è un’adolescente che si dice posseduta dal ragno, per cui deve ballare grazie a questa terapia domiciliare (i musicisti si recavano a casa della malata e suonavano per giorni), finchè il male interiore non viene espulso e il tarantato è salvo. E' un romanzo corale fatto di tanti personaggi che assistono alla sofferenza di questa ragazzina, e c’è anche un aspetto noir, una causa che verrà velata soltanto alla fine di questo romanzo."

La conversazione sempre più piacevole diventa quasi giocosa e le chiediamo di presentarsi. Di presentarsi come musiciasta a chi non la conosce. Al pubblico americano per esempio.

"Sono una musicista folk, un genere musicale che sicuramente gli americani conoscono bene, perchè ogni paese ha un suo folk e loro come tutti.  In Italia, e questo mi dispiace dirlo, il folk non è ben visto e non riceve sostegno istituzionale.

Il folk è la tradizione, la nostra storia; se non conosciamo la nostra storia, ciò che noi siamo e siamo stati, non abbiamo un futuro delineato.

Nei miei  25 anni  di carriera ho fatto tanta strada nella musica, interpretando e scrivendo ho unito al mio folk, il fatto di poter usare il dialetto napoletano e altre cose.

Negli anni ottanta quando ho iniziato, l’ho mischiato con la musica pop e questo mi ha portato a vendere milioni di dischi. Poi verso la fine di quel decennio anni  ho deciso di sperimentare altro perchè ho lavorato per tre anni con un grande della musica, Brian Eno.

E' stato un altro “viaggione” nel mondo della musica, unendo vari stili: dal jazz al folk, cantando in italiano e non più in napoletano.

Poi negli anni novanta ho scritto moltissime canzoni più legate alla musica d’autore. Ho avuto il piacere di cantare con moltissimi artisti italiani, di tutti i generi: da Piero Pelù ad Ivano Fossati, da Raiz a De Andrè.

Con Fabrizio De Andrè ho avuto una lunga ed indimenticabile stagione di amicizia. Con lui ho condiviso una canzone della quale vado molto fiera, perchè credo di essere una dei pochi musicisti ad aver scritto una canzone che lui ha cantato. E poi ho lavorato anche con Mario Pagani, per me lui è un mito vivente."

E parlando con Teresa scopriamo che il suo legame con l'America non è solo musicale...
 

"Ho rapporto molto forte e familiare con New York perchè mia nonna era newyorkese, esattamente di Jersey City. Lei mi ha iniziato a parlare di questa città sin da quando ero piccola.

Una nostra trisavola era invece un’indiana dacota. Quindi ho un pò di sangue americano.

Sono già stata altre volte a New York ma ripeto, per suonare è la prima volta. Io sono fortemente convinta che quello che c'è nella mia musica ha molto da raccontare qui perchè non somiglia a nient’altro. E sono cresciuta come tutti quanti gli italiani negli anni settanta,  con John Bytez, Dylan...  Dopo ho imparato ad ascoltare altre cose ma nei primi 25 anni della mia vita ho ascoltato soprattutto musica americana."

Ma prima di tutto Teresa De Sio è una donna del sud. Si sente subito, anche  solo dopo pochi minuti  con lei. Si sente aria di casa, di mediterraneo, si vede e si sente il calore il sole. E si fa la conoscenza anche con i lati oscuri del sole della sua terra.

E nella sua musica anche influenze sudamericane. Per questo suo ricercare liberamente, senza vincoli culturali, radici e sentimenti se non comuni, vicini.

"Canto il Sud. Ed esiste qualcosa che accuma il sud del mondo. Ho collaborato moltissimo con Gaetano Veloso con cui mi trovo molto in sintonia perchè facciamo lo stesso lavoro, scrivere facendo riferimento alla  tradizione musicale, mischiandola con il suono potentissimo della  musica rock . Questo mio primo concerto newyorkese è un pò più morbido rispetto al mio sound che di solito é più acuto.Abbiamo scelto una via di mezzo"

E la riportiamo in America. Tornando al presente. Ci piace sentirla parlare di Obama, si illumina ancora di più.

"Come per molte persone della mia generazione per me l’elezione di Obama ha significato 'l’immaginazione al potere' , come si diceva all’epoca. Fantastico ed inimmaginabile negli anni settanta che una persona di colore potesse diventare presidente degli Stati Uniti. E’ stato un sogno che si è realizzato, anche se poi il sogno viene messo da parte per realizzare qualcosa d’importante. Speriamo che si muova in questa direzione e che faccia bene. Ma a me sembra che queste prime cose siano fatte nel segno giusto."

Ma torniamo nel suo Sud. Siamo quasi al termine della nostra conversazione. La facciamo parlare di Napoli. Del suo cantare di brigantaggio. Di briganti "buoni".

"Napoli è una capitale straordinaria della musica. E’ stata capitale di un regno che quando è stato ceduto ai Savoia aveva, nel bene e nel male, un proprio assetto economico e politico ben preciso. Il disfacimento del regno ha portato alla disgregazione e ha dato origine al brigantaggio. Ho dedicato parte del mio lavoro a questo fenomeno. Considero i briganti di allora, senza le armi ovviamente, come un modello da seguire per tutti quelli che non vogliono accettare delle imposizioni. Per me cantare il brigantaggio di ieri è anche cantare il brigantaggio di oggi. Purtroppo molti giovani oggi accettano le cose supinamente. Non hanno la forza di dire la loro e di contestare."

E ci lascia ricordando sua nonna...

"La mia famiglia si è trasferita qui perchè mia nonna era americana. Ho una storia in famiglia legata all’emigrazione. Il mio bisnonno era medico a Little Italy. Non ci crederai ma è stato il medico che ha fatto nascere Frank Sinatra. La prossima volta che vengo voglio finalmente cercare di ripercorrere le mie origini, anche se non è facile.

Rimane nella mia memoria la soria della mia antentata raccontata da mia nonna. Questa madre della mia bisnonna che era pellerossa e che incontrò il mio bisnonno di NY. Scapparono e vennero a vivere nel NJ. Ho scritto anche una canzone che si chiamava Ombre Rosse anni fa' su questo."

Ed il suo racconto raccoglie un mistero, quello di culture così apparentemetne diverse che si incontrano, riconoscono, crescono e si condensano nella storia di un artista vera come lei. Dai racconti sugli indiani d'America al brigantaggio napoletano.

La promessa che ci fa - salutandoci ancora da lontano -  è quella di tornare prestissimo.

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