Madri. Arma segreta di una città

Gennaro Matino (October 04, 2015)



DIRE Napoli è dire sentimento, passione, anche la più disordinata. Sfrenata corporalità nel cercare un godimento nella posa, nella smorfia, nel tratto, nel segno che faccia parlare i corpi più che le parole, li faccia muovere e nel gesto fisico esprimere l'insofferenza a ogni costrizione. Se un napoletano ti abbraccia ti fa sentire il suo calore, se ti disprezza lo senti lo stesso. La finzione è arte che a fatica riesce a controllare.


E semmai la praticasse, lo farebbe per farti fesso. Se ti ama te lo dimostra e se gli sei antipatico non farai fatica a capirlo. E' smisurato nelle emozioni come esagerata è la città: se piange urla il dolore, se ride è incapace di controllarsi. Dalla madre impara questa confidenza con la sua fisicità: se la tenerezza dei primi abbracci è più forte del distacco controllato delle emozioni, porterà per sempre in sé un legame con la vita che, malgrado le mille difficoltà, gli permetterà di essere coraggioso e carico di ottimismo.


Le madri sono state l'arma segreta di questa città. La psicologia potrebbe essere preoccupata di questa invadenza nella vita dei figli e a giusta ragione: ma qui, a Napoli, le cose vanno in maniera diversa. Alla mancanza di uno Stato forte sopperisce il calore della famiglia, e quando c'è, la regola della madre. Nella seconda guerra mondiale Napoli come tutte le città d'Italia ha sofferto la fame, i bombardamenti, la precarietà del vivere fino all'estremo.


Ha dovuto fare i conti, nell'ultimo periodo del conflitto, con un'occupazione che toglieva il respiro e spegneva la voglia di vivere. La città era divisa tra il coraggio di una dimostrazione forte e una scelta "politica" che non facesse vittime. Da bambino mio nonno mi portava in una masseria di parenti al Vomero e mi mostrava il luogo dove i suoi cugini furono fucilati dai tedeschi. Avevano avuto il torto di ospitare in casa loro un partigiano. In tre furono messi in una botte e lì dinanzi ai genitori la mitraglia, perforando il legno, aveva sfondato i loro petti. Ma quella tragedia, a detta di mio nonno, segnò l'inizio della rivolta, quella che scoppiò proprio in questo stesso giorno di settantadue anni fa: "Le quattro giornate di Napoli".


Come dimenticare la scena del film di Nanni Loy del giovane trovato morto di cui non si conosceva la famiglia. Arrivava una lunga processione di madri sgomente, ognuna pensava che quel ragazzo potesse essere suo figlio. Solo per un istante si superava l'angoscia provocata dal timore di trovarlo in quel letto di morte, il tempo sufficiente per un respiro liberatorio se non era sangue proprio. Un tempo brevissimo, in verità, perché subito arrivava la pietà, subito si era investiti dal dolore per il sangue degli altri che sempre ti appartiene se è quello di un figlio di mamma. Da quelle madri idealmente si mosse la rivolta di questa città che permise di liberare Napoli dal giogo nazista.


Dalle madri di oggi può rinascere il coraggio di una città che non trova ancora la strada del riscatto, ancora non sa dirsi stanca delle troppe morti innocenti. Il dolore delle donne napoletane e il loro coraggio può permettere a questa città e ai loro figli di non morire, la loro rivolta, e non solo a parole, può inaugurare una lotta di liberazione che restituisca il futuro a Napoli, colori e parole di speranza.


Oggi più che mai la mancanza di prospettive per un lavoro dignitoso, per una collocazione onesta nella società, per una pacifica convivenza nei quartieri del centro o della periferia, riempie il cuore di inquietudine di tante donne napoletane che vedono compromesse le speranze dei loro ragazzi. Nessuna società, tantomeno quella napoletana, potrà sostenersi senza un principio di solidarietà che nasca alla base della sua struttura, senza la volontà di giustizia che renda possibile, non solo la ridistribuzione equa degli spazi, dei beni e delle risorse tra i suoi cittadini, ma che faccia emergere un sentimento di compassione che renda il dolore degli altri spartibile con il nostro. In gioco non sono solo i partiti in continua e opportunistica metamorfosi che si candidano a governare la città, non sono le chiese che sembrano, oggi più di ieri, lottare più per la loro sopravvivenza che per la verità che devono annunciare, ma la città casa comune, la terra nostra che sarà terra buona se saprà essere madre di liberazione e mai matrigna dal ventre cinicamente sterile.


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