I cortigiani della mafia

Stefano Vaccara (May 19, 2008)
Pochi giorni fa è accaduto in Italia che un giornalista ha attaccato la seconda carica dello Stato in televisione dando informazioni su fatti pubblicati già in un libro uscito un anno fa, ed è successo il finimondo. Ecco perché l'Italia ci appare come la Birmania d'Europa.


Intervista con Lirio Abbate, autore con Peter Gomez de "I complici: tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento"

Dispiace pensarlo, ma la democrazia Italian Style, riguardo alla libertà d'informazione ci appare sempre più, almeno da qui, in uno stato regressivo. Oltre che nell'efficenza e nelle garanzie della giustizia, è in questo campo che si misura il livello di maturità raggiunto da una democrazia. La Cina per esempio oggi ci appare un po' meno dittatoriale grazie ai seppur lenti progressi sulla libertà d'informazione avvenuti grazie alle olimpiadi e, purtroppo, alla tragedia del terremoto. Nella Birmania altrettanto colpita da una tragedia naturale, spicca agli occhi del mondo democratico invece la quasi impossibilità di ricevere una corretta informazione.

Ebbene, pochi giorni fa è accaduto in Italia che un giornalista ha attaccato la seconda carica dello Stato in televisione dando informazioni su fatti pubblicati già in un libro uscito un anno fa, ed è successo il finimondo. Ecco perché l'Italia ci appare come la Birmania d'Europa. A pagina 4 e 5 trovate altri due commenti su questo episodio, qui invece ci occupiamo del libro "I complici" (Fazi Editore, 2007), scritto dai giornalisti Lirio Abbate e Peter Gomez. Ci occupiamo di mafia, politica e libertà di informazione intervistando l'autore che da mesi vive e lavora in Sicilia sotto scorta per le minacce e gli attentati mafiosi nei suoi confronti.



 

Quando il libro esce più di un anno fa, Lirio Abbate, cronista dell'Ansa in Sicilia, è subito fatto oggetto di minacce. Addirittura dovrà lasciare Palermo per un periodo, dopo che la polizia scopre una bomba sotto la sua macchina. Al telefono, da Palermo, ci racconta: «Il libro esce a fine febbraio del 2007 e suscita subito grande clamore almeno nell'ambiente della politica e della borghesia mafiosa palermitana. Dopodiché iniziano una serie di problemini. Poi si scopre questo progetto di attentato nei miei confronti e questo ordigno sotto la mia macchina. L'idea degli investigatori è stata quella che la minaccia fosse già legata alla mia attività giornalistica e che fosse stata accelerata dalla pubblicazione del libro in cui si parla di fatti realmente accaduti e in cui si fanno nomi di politici che in qualche modo sono stati collusi con la mafia, i professionisti che andavano a braccetto con i boss. Quando parlo di politici collusi con la mafia, parlo di collusione morale».

"Il principio di elementare prudenza che porta, nelle democrazie mature, a escludere ed emarginare chi ha amicizie discutibili, chi tiene comportamenti non trasparenti, in Italia non scatta mai... Il garantismo deve valere nelle aule di tribunale, dove l'imputato va condannato solo se è colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio. In politica invece deve prevalere il buon senso. Tra chi è specchiato e chi ha addosso una macchia, candido solo il primo, non il secondo".



 

Nel tuo libro non si parla solo dell'attuale presidente del Senato Renato Schifani, ma di altri politici e anche del centrosinistra. Ecco forse per questo il libro non è stato dibattuto in tv? Insomma la stragrande maggioranza dell'opinione pubblica italiana, fino all'episodio di sabato scorso con Marco Travaglio alla Rai, non ne conosceva l'esistenza. Chiediamo a Lirio: forse a nessuno, né a destra così come a sinistra, interessava "spingere" quel libro, dato che colpiva tutti?

«Sì, hai centrato in pieno la situazione. Nel libro noi raccontiamo questa storia come se fosse un romanzo ma è tristemente tutto vero, e i protagonisti sono reali. E questi non sono sempre mafiosi puri, i Riina, i Bagarella, i Provenzano, ma parliamo anche di coloro che sono i cortigiani di Cosa Nostra, cioè quell'ambiente borghese, fatto di medici, avvocati, politici, gente che in qualche modo ha un ruolo anche nelle istituzioni. Ecco parlare di certe persone che appartengono a diversi schieramenti politici e dei loro rapporti con certa gente ti attiri molte inimicizie e soprattuto non fa promuovere il tuo libro. Infatti il nostro è stato boicottato all'inizio dai giornali e poi soprattutto dalle televisioni, raccontare la realtà in tv in Italia fa male... ».

Ed eccoci alla cronaca di questi giorni. Solo dopo oltre un anno dall'uscita de "I complici", Travaglio attacca in tv il neo presidente del Senato Schifani e ricorda quando era "in affari" con personaggi discussi che alla fine verrano perseguiti e condannati per mafia. Travaglio parla alla Rai, scatenando un putiferio con conseguente querela nei suoi confronti da parte di Schifani e con il presentatore della trasmissione Fazio che chiede pubblicamente scusa.... Travaglio è querelato da Schifani, ma il tuo libro no. Eppure voi scrivete quello solo accennato da Travaglio in tv. È così?

«Quello che posso dirti è che il libro quando è uscito fu subito letto dall'avvocato di Schifani che poi ci disse di averlo letto due volte proprio per verificare se c'erano gli estremi per la querela.. Lui stesso ci disse che leggendo non aveva trovato alcun spiraglio per denunciare. Perché i fatti erano i fatti, non c'era alcuna sfumatura di calunnia. Poi sono arrivate le minacce, gli attentati, è arrivato soprattuto una sorta di isolamento mediatico nei confronti del libro. Se alla fine ha venduto le sue copie, questo è avvenuto grazie al passa parola che c'è stato in Italia».

Quando è stato eletto Schifani alla presidenza del Senato, nei profili che uscivano nei giornali mancava la parte raccontata nel tuo libro. Ora tu non affermi che Schifani sia un mafioso, quello che però sostiene il libro è che ha avuto rapporti, chiamiamoli così, troppo ravvicinati con persone che poi sono risultate mafiose e di rango, dato che i Mandalà assicurarono per un certo periodo la latitanza del boss Provenzano. Ecco come ti spieghi che in Italia qualcuno possa essere eletto alla seconda carica dello Stato e a quasi nessuno venga in mente di raccontare all'opinione pubblica quello che c'é scritto nel tuo libro? Ciò che avverrebbe in qualsiasi democrazia, in America come in Europa, perché non accade in Italia?



«È quello che mi chiedono altri giornalisti americani e anche francesi, spagnoli, svedesi... che hanno letto "I complici" e sono rimasti meravigliati. Un giornalista straniero, che segue molto la politica italiana, il giorno dopo le elezioni mi chiamò dicendo: "Li hai azzeccati proprio tutti i politici nel tuo libro, sono stati tutti rieletti e non so come ti finirà..." Quando abbiamo scritto il volume io e Peter non volevamo fare un libro su Schifani. Sono semplicemente dei fatti, delle circostanze che abbiamo trovato nelle carte giudiziarie e nelle intercettazioni, conversazioni e verbali e così li abbiamo raccontati. Abbiamo fato una inchiesta giornalistica, che parte da inchieste giudiziarie per arrivare fino ai giorni nostri, il tutto incentrato su un pentito, Francesco Campanella, che ha continuato a parlare. Così abbiamo raccontato la vicenda di Schifani così come di altri politici che erano vicini a persone che erano tra i favoreggiatori di Provenzano, favoreggiatori morali di un capomafia rimansto latitante per 43 anni».

Provenzano non deve scappare in questi anni. Anzi sembra un manager di un'azienda, ben posizionata in un vortice di interessi economici nel campo del business della sanità.. Solo verso la fine si riduce in fuggiasco, e così va a finire in quella casupola nei pressi di Corleone, dove verrà trovato e tu sarai il primo giornalista a dare la notizia della sua cattura. Eppure prima, intorno alla zona tra Villabate e Bagheria Provenzano fa per anni una vita da, come dire, stimato professionista... Ecco pensi che possa accadere solo in Italia che un latitante, ritenuto uno dei capi della mafia, possa restare tale per 40 anni restando coinvolto in affari con personaggi che sono importanti esponenti della società civile? Potrebbe accadere questo in un altro paese democratico dell'Occidente?

«Credo che non possa accadere nemmeno in un altra regione italiana, ma solo in Sicilia. Vedi Cosa Nostra è mafia proprio perché riesce a tenere questi contatti con la politica, perché riesce ad andare a braccetto con i politici. Altrimenti sarebbe semplice organizzazione criminale, sarebbe quella che è la Camorra, che spara e ammazza, ma non sono gente che pensa alla politica in un certo modo, che riesce a far legiferare in suo favore».

Ovviamente non c'è solo l'attuale presidente del Senato tra i protagonisti di questo libro... «Infatti, per noi Schifani è soltanto un piccolo paragrafo in tutta la storia... ».

Appare ancora più vicino ad antichi legami con certi personaggi, l'ex ministro Enrico La Loggia, compagno di partito di Schifani che notiamo, a differenza del suo amico e collega, in quest'ultimo governo Berlusconi non ha ricevuto ancora un prestigioso incarico come in passato. Che certi fatti narrati ne "I complici" abbiano influito? O si tratta solo di una coincidenza?



«Io penso che possa essere una coincidenza che non abbia più avuto un ruolo al governo La Loggia, e può anche essere una coincidenza che non sia stato ricandidato un altro deputato, l'avvocato Mormino, che è stato anche vice presidente alla commissione giustizia. Certo è che il libro su di loro ha raccontato dei fatti che forse sono arrivati all'orecchio di Berlusconi e il libro potrebbe essere una scusa per non dargli altri incarichi. Comunque il libro ha contribuito a far emergere storie che non sono penalmente rilevanti, ma che possono far riflettere i cittadini e farli indignare».

Si indignano forse i cittadini che certi fatti riescono a conoscerli, perché sembrerebbe invece che non è che la gente sapesse granché...

«In Italia purtroppo è così, se tu racconti la verità con nomi e cognomi, e se poi quei cognomi appartengono a persone importanti in politica, allora non vai avanti. Se tu invece racconti delle storie, anche di criminalità ma che sono fantastiche, in cui si mette ogni tanto qualche nome di qualche criminale vero, ma ci fai un grande romanzo allora sì che piace. La gente vuole quello, vuole la fiction. Altrimenti, faranno in modo che sia ignorato».

Ci sono certe ricostruzioni nel tuo libro sconvolgenti. Mi riferisco all'omicidio del leader comunista siciliano Pio La Torre. Le riflessioni su a chi giovasse quella morte, portano a conclusioni terribili. Elencate gli affari che le cooperative rosse avrebbero cercato con certi ambienti mafiosi. Forse neanche questo ha giovato alla pubblicità del libro, hai avuto la sensazione che dava fastidio a tutti?

«Si certo, abbiamo notato, facciamo delle ricostruzioni, anche su quelli della sinistra, che hanno fatto male a qualcuno. Ma noi riportiamo fatti non solo sulla vicenda dell'omicidio La Torre, arrivando ai giorni nostri, nel libro riportiamo la registrazione di un filmato che la polizia fa dell'incontro di un politico della sinistra con un capo mafia.... ».

«Sì, Crisafulli viene filmato mentre si abbraccia e bacia con un capomafia in un incontro riservato, in cui parlano di affari. Per questa vicenda Crisafulli viene indagato dalla Procura, caso poi archiviato, perché non c'è dolo. Ma nonostante il filmato ecco che il partito a cui appartiene Crisafulli lo prende e lo candida al Parlamento nazionale. Cioè lo promuove, invece di cacciarlo dal partito»

Questo prima dell'uscita del libro, poi anche dopo la sua pubblicazione non accade granché dato che Crisafulli viene ripresentato alle ultime elezioni con un posto in lista sicuro e quindi ovviamente rieletto....

«Sì, noi nel libro raccontiamo le sue vicende ma non serve a nulla, lui viene nuovamente ricandidato mentre non veniva ricandidato Beppe Lumia, ex presidente della Commissione antimafia. Chiedi se questi libri possono far cambiare la politica? Per certi versi se ne fregano, però quando venne fuori che non candidavano Lumia, già presidente della Commissione Antimafia, ma c'era posto per Crisafulli, è successo qualcosa. A Genova, durante un comizio di Veltroni, dei ragazzi fotocopiano delle pagine del libro e davanti al palco protestano, gridando a Veltroni slogan contro la mafia e di vergogna per la candidatura di Crisafulli. Così Veltroni ci ripensa e almeno a Lumia lo ha candidato al Senato».

Ecco l'informazione che diventa fondamentale, ma se i cittadini non vengono informati, di cosa potrebbero protestare? Assistiamo in questi giorni allo scontro tra il vicedirettore di Repubblica Giuseppe D'Avanzo che attacca il collega Travaglio accusandolo, in occasione delle sue dichiarazioni in tv su Schifani, di fare un giornalismo sensazionalistico su storie vecchie... Attacchi da un giornale vicino al Pd proprio quando tra Berlusconi e Veltroni scoppia una luna di miele. Anche questa una coincidenza? Il presidente del Senato Schifani, se non sbaglio, prima ancora di annunciare la querela per Travaglio, aveva avvertito che certi atteggiamenti mettevano in pericolo l'atmosfera d'intesa tra governo e opposizione sulle riforme...

«Io non penso che dietro le idee espresse da Beppe D'Avanzo ci possa esere la politica. Sono delle idee che lui ha e le ha espresse. La libertà di pensiero ci deve essere sempre, spero che ci possa essere ancora in futuro. Io mi preoccupo che vogliano mettere il bavaglio a chi vuol fare giornalismo d'inchiesta».

La notizia dell'elezione di Schifani alla presidenza del Senato, non ti ha fatto sentire inutile il tuo libro come moralizzatore della politica? Con che spirito riesci a continuare il tuo mestiere?



«Il libro non vuole moralizzare la politica, vuole raccontare soltanto ai cittadini cosa è la politica italiana. Questa è la democrazia, alla fine è stato eletto Schifani e a larga maggioranza. Io mi rammarico che in Italia il sistema elettorale non consenta ai cittadini di scegliere il candidato per cui votare. I partiti impongono i loro, anche quelli moralmente discutibili e poi sono loro che legiferano e decidono per le leggi contro la criminalità organizzata, ecco tutto questo fa rabbia e fa venire un groppo allo stomaco».

«Continuo a farlo in maniera serena. Certo ho paura per me e la mia famiglia, ma finché lo stato mi potrà proteggere, il mio mestiere continuerò a farlo. Continuo a fare il lavoro che facevo prima, il bavaglio ancora non mi è stato messo».

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