Articles by: Marina Melchionda

  • Scontro (incontro?) di civiltà nella Piazza di Amara Lakhous


     Perchè ha ambientato il suo libro a Piazza Vittorio a Roma? Ha un significato particolare per lei, biograficamente parlando?

    La scelta di piazza Vittorio non è casuale. Non c’è nessun esotismo o marketing letterario. Ho trascorso i miei i primi 6 anni di immigrato proprio in questa piazza. Ho ritrovato quell’atmosfera tipica dei quartieri popolari della mia città natale Algeri. In questo senso piazza Vittorio mi ha portato fortuna: all’inizio mi ha aiutato a superare i soliti problemi di adattamento, poi mi ha offerto un palcoscenico per raccontare una storia dell’Italia di oggi ma anche del domani. Mi capita spesso di dire che a Piazza Vittorio ho visto il futuro che verrà. Infatti mio romanzo sta avendo molto successo anche nelle altre città italiane dove gli immigrati cominciano ad essere più numerosi e visibili.  


     Sa che qui a New York abbiamo dedicato il “Mese della Cultura Italiana” al tema della “piazza”. Cosa immagina istintivamente quando sente questa parola? In altre parole, cosa le ricorda?
    La piazza è un luogo straordinario di incontro e di scambio fra persone diverse. Abbiamo bisogno sempre dell’altro per definire la nostra identità. Ad esempio, io sono maschio solo perché ci sono le femmine, sono musulmano perché ci sono gli ebrei, i cristiani, i budisti, ecc. Sono giovane perché ci sono i vecchi e i bambini, ecc. La presenza dell’altro nella nostra vita dovrebbe essere una risorsa e non una minaccia. La piazza è un grande specchio di diversità per guadare meglio noi stessi e mettere in discussione le nostre certezze. La piazza è uno spazio fertile per coltivare i dubbi e la necessità di aprirsi all’altro.  

    La piazza è identificata come un posto dove le persone si riuniscono, si conoscono, passano del tempo insieme. Ma a volte è anche considerata un semplice luogo di passaggio. Come vengono riportati questi due punti di vista nel suo lavoro?

    Sono rimasto sempre colpito dalle stazioni dei treni. Sono piazze di transizione. Mi ricordo che negli anni novanta del secolo scorso i somali si incontravano alla stazione di Roma Termini. La piazza è sinonimo di circolazione e di movimento. Ci dà la sensazione che noi non siamo fermi, siamo sempre in viaggio alla ricerca di una vita migliore. La piazza non è la casa, è un momento di transizione. Questo ci evita di esaltare le radici che è una forma di chiusura su noi stessi. Mio padre che ha vissuto l’immigrazione in Francia negli anni cinquanta mi ripeteva sempre: “Gli alberi hanno radici per stare fermi, gli uomini invece hanno gambe per viaggiare e scoprire il mondo”. La piazza nel mio romanzo è la vera protagonista. Piazza Vittorio è più importante degli altri personaggi. 
    Ognuno dei personaggi del suo libro, per la maggior parte immigranti, ha una percezione differente della “piazza”.  Si può affermare che tale percezione varia a seconda del modo in cui queste persone sono più o meno riuscite ad integrarsi nella società italiana e, più nello specifico, in quella romana?  
    La piazza non è luogo isolato. Ci sono aggregazioni e relazioni che si creano. Ad esempio a piazza Vittorio, c’è il mercato, i bar, negozi, ecc. E’ un’esperienza umana molto profonda. Prima dell’integrazione, c’è l’accettazione reciproca della diversità. Ovviamente più abbiamo strumenti di conoscenza come la lingua, più abbiamo possibilità di creare rapporti affettivi e professionali. La paura dell’altro e l’indifferenza sono due ostacoli da superare per ottenere una convivenza pacifica. I punti di vista rispecchiano la vita stessa, il pluralismo nel senso largo della parola è un valore positivo

    Nella cultura occidentale, la piazza è vista come punto di interscambio culturale dove artisti, letterati ed anche politici si incontrano per condividere idee e punti di vista. Piazza Vittorio sembra invece un posto dove le persone si limitano a coabitare, senza alcun desiderio di conoscere l’altro, le sue esperienze di vita, il suo passato. Sembra in effetti uno “scontro di civiltà” dove gli Italiani, inoltre, non fanno mistero dei pregiudizi che nutrono nei confronti dei loro stessi connazionali, quando provenienti da zone differenti dalla loro. Pensa che tale atteggiamento, così come manifestato a Piazza Vittorio, rappresenti in maniera appropriata quello dell’Italiano comune di fronte al “diverso”? Ancora, secondo lei,  questa situazione è peculiare all’Italia o è piuttosto diffusa anche in altri Paesi?  
    Il mio Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio è un manuale di sopravivenza nel mondo dell’immigrazione. La scoperta dell’altro non è sempre un percorso piacevole. Chi non sta bene con stesso, non può stare bene con gli altri. È un punto consolidato nelle tutte ricerche psicologiche. In Italia, l’immigrato rappresenta una sfida culturale per gli italiani che hanno vissuto l’esperienza dell’immigrazione fino a qualche decennio fa. Penso che i pregiudizi siano una grande opportunità quando vengono chiariti e di conseguenza trasformati in conoscenza utile al dialogo. Il rischio è quello di essere ostaggi degli stereotipi. Tutti abbiamo dei pregiudizi. Dobbiamo avere la curiosità e il coraggio nel verificare se le nostre informazioni sull’altro sono veri o false. In fine dei conti, mio romanzo è una micro-storia italiana che trova riscontri nelle altre parte del mondo. 

    Quali aspettative nutre rispetto alla pubblicazione del suo libro negli USA?
    Sono felicissimo che mio libro sia tradotto e pubblicato negli USA. Per me è una sfida importantissima. Mi affascina molto il fatto di avere lettrici e lettori americani o anglosassoni. Sono curioso di sapere i loro commenti che certamente arrecheranno la mia scrittura. Sono molto fiducioso. 


    A quale tipo di pubblico si riferisce il libro? In altre parole, a chi ne suggerirebbe la lettura?
    Spero che mio romanzo sia aperto a tutti. In Italia o in Francia, è stato letto dai scolari  e da accademici. È un libro che si presta a vari livelli di lettura perché offre tanti chiavi: la sfida dell’immigrazione, la questione della convivenza, la paura dell’altro, ecc. Ognuno di noi leggi un libro al suo modo, partendo dalla propria sensibilità ed esperienza personale. Per questo la lettura è un’avventura straordinaria che può migliorare la nostra vita.
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    Amara Lakhous è nato ad Algeri nel 1970, vive a Roma dal 1995. È laureato in filosofia all’Università di Algeri e in antropologia culturale alla Sapienza di Roma. Attualmente lavora come giornalista professionista all’agenzia di stampa Adnkronos International a Roma. Il suo primo romanzo, Le cimici e il pirata, risale al 1999.

    "Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio" è stato pubblicato in Italia nel 1996.
    Il libro è un monologo a più voci (ogni capitolo è narrato in prima persona da uno dei personaggi) che fornisce al lettore una nuova prospettiva su Roma, una metropoli che ancora tenta di metabolizzare ed adattarsi ad una crescente multirazzialità. Tensioni, miserie, diffidenze reciproche, ma anche tenerezza e solidarietà diventano i colori di questo originale affresco di una realtà in continua evoluzione. Un mix tra giallo, analisi sociale e commedia all'italiana, Scontro che ci regala la preziosa possibilità di guardarci attraverso gli occhi di uno straniero.
     ***
    Gli appuntamenti di Amara Lakhous All'Istituto Italiano di Cultura (686 Park Avenue, New York):
    21/10/08, ore 18: 

    Dibattito in Italiano, moderato da Hermann Haller (CUNY University), con la partecipazione di Giancarlo Dillena (giornalista e direttore del Corriere del Ticino)
    RSVP: 212 879 4242 ext 367
     
    22/10/08, ore 18:
    Amara Lakous in "The changing face of the Italian Piazza". Tavola rotonda con gli ospiti Ann Goldstein (traduttrice), Lorain Adams (autrice).
    RSVP: 212 879 4242 ext 368
     
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    L’identità si definisce solo rispetto all’alterità come in un gioco di specchi (Amara Lakhous)

                                                                                                                                                                                                                                                         


             

    Foto da  Città Invisibili

  • Art & Culture

    Salvatore Mereu introduces us to "Sonetaula"

    This is the second time that your movie has been screened abroad – today at Lincoln Center and last February at the Berlin Film Festival...Truthfully, I had already brought the movie to New York. It was between the end of February and the beginning of March. On that occasion, at the New Directors Festival, Sonetaula was screened at Lincoln Center.

      What inspired you to write the screenplay?

     

    The movie is based on the novel by the same name, written by Peppino Fiori who is a very well known writer in Sardinia – known mostly for his biographies of famous people such as Gramsci. His work was published by Einaudi  in 2000. In it, he beautifully describes the Sardinian terrain and landscape. I wanted to reproduce the intensity of those lines on the big screen.

    I am happy I had the chance to do it.

     
    Which aspect of Sardinian traditions and culture does the movie illuminate the most??
     

    Well, I decided to stick to the novel. I consider it a very nice story that rewards the reader with many details about the surrounding environment. This is something I like, besides the fact that it is set in Sardinia. If we consider the book only as an homage to Sardinian culture, we risk missing the opportunity to appreciate a story that has its own beauty, independent of the rest. It can absorb the reader while teaching him/her something. It is the story of a boy growing up without his father who was accused of a murder that he had not committed. His grandfather teaches him about tough country life.  This very mild-mannered kid ends up throwing away his adolescence by obeying an ethical code in which he does not believe. He becomes an outlaw when he is still very young and continues living this life until the day he dies, at the age of 20. A story of this kind could have been set anywhere, well outside of Sardinian borders.

     

    It inevitably enhances this beautiful island’s international fame by promoting its culture, its charming landscape, and its inhabitants’ way unique way of life – first here in the United States, and then in each country where the movie will be presented.

    Of course, I am so happy that the movie has been appreciated for this reason, as well. The hundreds of people present at Lincoln Center proved to me that they really enjoy my work. I know that the New York public is very demanding, but in my case, they were “patient” enough to watch the whole movie. I was ready for all kinds of reactions...such as seeing people leave after the first ten minutes of the screening. This is because it is a film that demands a lot from the audience: it is very long and has subtitles. Moreover, there are no professional actors in the cast. It has all the elements that certainly do not attract people who see movies as a form of escape. Instead, those who were present showed that they were curious enough and wanted to know more about a world that was new to their eyes, the Sardinian world.

     

    In New York, the subtitles are in English and the dialogue is in Sardinian. And in Italy?

     

    In Italy, the subtitles are in Italian and the dialogue is in Sardinian. Even there viewers considered it a strange movie!

     

    Why, in your opinion, is the American public is so attracted to local, regional cultures?
     

    I think that the United States is like a piazza where people see the entire world. The American public has always had the chance to get to know other peoples’ cultures and traditions through their literature and movie productions. Everything arrives here. I am not surprised to see so many people willing to discover Sardinia. Their taste for the exotic is also very important. It has made the fortune of famous Sardinian writers such as Grazia Deledda.
     
    Then there are the experts, those who consider going to the movies to be almost a second job. I think that they have particularly appreciated my movie. They must have seen a lot more than Sardinian landscapes. They, and many more, must have felt what I wanted to depict – which was a real story, a touching one. That opens the minds of those who want to hear it.
     
    (Edited by Giulia Prestia)

     Mereu's measured visuals both capture and flow with the story, celebrating Sardinia's rocky landscape and the people living in its midst. He uses multiple lensers, brilliantly editing them all together into an organic mixture utilizing the stone and pale-green colors of the island itself.

    (from Berlin Reviews)

  • Art & Culture

    NYU's Casa Italiana Zerilli-Marimò. Promoting a Cultural Debate Between Italy & America

    When were you appointed Director of Casa Italiana? What does it mean to you?  

     
    I have been here since 1994, when I became the vice director of the Casa. Then in 1998 I became the director, a position that I still maintain. In the meanwhile I continued working as a professor at New York University. I consider these two appointments to be extremely connected to each other. Thus I chose to dedicate a considerable amount of my time to them both. I never wanted to give up teaching: it impassions me. It also helps me to better fulfill my tasks as a director. In fact, teaching implies building strong relationships with students, performing personal academic research with proficiency, and also putting forth a great effort in trying to stay informed of the latest news in order to generate topics for class discussion. It this constant training that helps me to keep Casa Italiana very relevant to the interests of young people, of college students. 
      
    What characterizes Casa Italiana?
     
    It promotes the Italian culture but, most of all, it enhances the dialogue between the Italian and the American communities. We have never perceived Italy as a product to sell, a country to magnify, or the ideal place to study. Italy is all of this, and it shows. It does not need our promotion. We are not its missionaries. What we consider important is to involve Italy in a cultural debate with the United States. It is relatively easy for us, since we are an integral part of an American university located in New York. This intellectual and geographical position allows us to more readily enhance the dialogue between the Italian and American cultures.
     
    We have also been the first to consider the Italian-American community. Our President, the Baroness Mariuccia Zerilli-Marimò, has understood right from the beginning that studying its culture and characteristics is really important. Thus we have founded the chair in Italian-American studies, the "Tiro a Segno, Fellowship in Italian-American Culture,” part of the department of Italian. We recognize that within the culture of the Italian-American community there is an evolution, a facet, a nuance of the Italian culture itself. 
     

    What is the relationship between Casa Italiana and New York University?
     
    NYU is really respectful of the cultural and academic independence of its institutions. The same can be said of our Board of Directors and our founder, the Baroness. We are a popular forum for dialogue. Thus my colleagues, those from NYU together with others from CUNY and Columbia University, always show significant generosity and interest when we ask them to participate to our initiatives. These have become occasions to take the academic debate outside the classroom and thus, to engage the public.
     

    Which aspect of Italian culture are American students more interested in?
     
    I generally divide our students into two categories: those who are getting ready to go to Italy and those who are just coming back. The first group, the “pre-Italy” category, is composed of people who are preparing to study at our branch in Florence. There are about 400 students per semester. They want to study the Middle Ages, the Renaissance…they have a traditional image of Italy, and they consider it to be almost exclusively a country of art and history. The people coming back from Italy, instead, seem to be more interested in contemporary Italy. These students want to study the country from political, economic, and social perspectives.

     

     What do you like most about your job?
     
    I love encouraging people to face issues that they would usually avoid. I love to put together people who otherwise would never meet. In this way, projects, collaborations, and books have been inspired. And it happened within the walls of Casa Italiana. As an example, last year Paolo Mastrolilli presented his latest work here. We had also invited an American publisher. Thanks to that meeting the book will be published in English next spring.
     

    Let’s talk about your upcoming events…

     
     Well, I would like to talk about the exhibitions we will host this year. We are currently showing a series of etchings by Giorgio Morandi, the famous Italian contemporary artist. In November, a photographic exhibition entitled “Tra la Via Emilia ed il West” (Between Emilia and the West). The artist, Paolo Simonazzi, took these photos in Emilia Romagna, capturing landscapes that very much look like the American West. These pictures could have been taken in Arizona! They represent what this part of Italy imagines America to be like. The bars look like saloons, the hostels are motels… In December we will host a completely different exhibition. It is a collection from the Museum of Toys in Canneto dell’Oglio, in the province of Mantova. The town has been considered for the longest time, about 100 years, to be the Italian capital of toys. Through their history, we will retrace a fragment of Italian social history.
      
    Do you partner with other Italian institutions here in New York?
     
    Since we have a similar mission, we mostly collaborate with the Italian Cultural Institute. Our aim is to promote the Italian culture in New York. They do it from an institutional point of view; we do it from an academic perspective. As an example, the exhibition of Morandi’s work is on display at both sites. Moreover, together we organize the “Zerilli-Marimò City of Rome Prize.” We also work in collaboration with the Italian Academy of Columbia University and with CUNY’s, the  John. D. Calandra Italian American Institute and Centro Primo Levi for Itailan Jewish Studies

     

    Last question: what is the “Zerilli-Marimò City of Rome Prize?”
     
    The prize is in its ninth year. It is an important initiative because the winning works are translated into English and, consequently, introduced in the American market. Seven of the eight winning books in the previous years have indeed been translated. The event is organized in collaboration with Casa delle Letterature del Comune di Roma (Literature House of the City of Rome). The three finalists will be coming to New York next week and the final winner will be chosen among them. We wish him and his work the same luck his predecessors had!

     
     
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    Casa Italiana Zerilli-Marimò, home of the Department of Italian Studies at New York University, was founded by Baroness Mariuccia Zerilli-Marimò in 1990.
    The institution’s mission is to spread Italian culture worldwide with the belief that Italian culture belongs not only to the Italians but to whomever has the desire to learn about it. know more
       
      
     
    (edited by Giulia Prestia)

  • "Sonetaula": ne parla il regista Salvatore Mereu

      Questa è la seconda volta che il suo film viene presentato all’estero. Oggi al Lincoln Center di New York, a febbraio scorso al Festival di Berlino...

     
    In realtà ero gia’ stato a New York con il mio film. Era tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo e anche quella volta la rassegna, intitolata “New Directors”, si teneva al Lincoln Center.
     
    Cosa l’ha ispirata nello scrivere la sceneggiatura di Sonetaula?
     
    Il film e’ tratto dall’omonimo romanzo di Peppino Fiori, scrittore molto noto in Sardegna - ma non solo – per le sue biografie di personaggi illustri come Gramsci.
     Il suo romanzo e’ stato pubblicato da Einaudi nel 2000. Nelle sue pagine, mi sembra, si ritrova una bellissima descrizione delle terre sarde. Volevo riprodurla sul grande schermo e fortunatamente mi è stato possibile.
     

     
    Su quale aspetto della cultura e delle tradizioni sarde si è concentrato di piu’ nel film?
     
    In realta’ sono rimasto piuttosto fedele al romanzo che considero un bel racconto di informazione, a prescindere dal fatto che è ambientato in Sardegna. Se lo si confina solo all’ambito della cultura sarda si rischia di togliere qualcosa a una storia che può raccontarci, coinvolgerci, insegnarci molto di più. È la storia di un ragazzo che, dovendo crescere senza il padre (il padre viene accusato di un delitto che non ha commesso) viene educato dal nonno alla dura legge della campagna. Praticamente butta al mare la sua vita obbedendo ad un codice che non gli appartiene e non riconosce. Lui è un mite e diventa bandito senza accorgersene morendo praticamente giovanissimo, 20 anni. Una storia di questo tipo la possiamo ritrovare riprodotta mille volte anche ben al di fuori dei confini sardi.
     
    Ma essendo ambientata in Sardegna finisce per promuovere la bellezza e la peculiarità di una cultura, di una geografia, di una vita che è tutta sarda. Prima qui negli Stati Uniti e poi in tutti i Paesi in cui il film verrà esportato...
     
    Certo. Anche per questo sono contento che il film sia piaciuto così tanto. Me lo hanno dimostrato le centinaia di personi presenti al Lincoln Center la sera della proiezione. So bene che il pubblico newyorkese è un pubblico molto duro ed esigente. Invece in questo caso ha avuto molta “pazienza”. Ero pronto a tutto, anche al fatto chele persone lasciassero la sala dopo 10 minuti dall’inizio. Questo perchè è un film che chiede molto: nessun attore professionista, con i sottotitoli, lungo...per cui ha tutti quegli elementi che dovrebbero allontanare un pubblico che pensa al cinema solo come evasione. Invece i presenti si sono dimostrati curiosi di conoscere un mondo nuovo ai loro occhi, il mondo sardo.
     
    A New York sottotitoli in inglese e dialoghi in stretto dialetto sardo...e in Italia?
     
    In Italia sottotitoli in italiano e dialoghi in sardo. Quindi anche lì gli spettatori lo vedevano come un film straniero!
     
    Perche’ secondo lei il pubblico americano e’ cosi interessato alla riscoperta della cultura locale, regionale?
     
    Credo che questa sia una piazza che ha una finestra sul mondo. Il pubblico statunitense e’ superaddestrato ad entrare a contatto con proddotti provenienti dalle latitudini piu’ disparate. Quindi non ho difficolta’ a credere che ne sono incuriositi.
     È anche importante il gusto per l’esotico che caratterizza gli americani  e che ha fatto la fortuna dei romanzieri sardi, come a suo tempo fu per Grazia Deledda.
    E poi ci sono gli esperti, le persone che frequentano il cinema quasi per mestiere. Credo che a loro il film abbia trasmesso molto e che siano rimasti affascinati non soltanto dall’ambientazione sarda. È una storia di vita vera, arriva a chi è disposto a recepirla.

  • La Sardegna sbarca a New York. E gli americani ci vanno in vacanza

     

    Per il secondo anno consecutivo la Sardegna ha sponsorizzato il Film Festival qui a New York. Come è cambiato il vostro rapporto con questa città rispetto all’anno scorso?
     
    Quest’anno abbiamo cercato di fare un intervento più amplio e coordinato, quindi abbiamo promosso una settimana di eventi. Oltre al New York Film Festival abbiamo sponsorizzato anche il Condè Nest Building, dove sono raccolte riviste importanti come il Condé Nast Traveler che indirizza i viaggi degli americani. Abbiamo presentato il nostro cibo, preparando dei piatti tipici della cucina sarda. Infine abbiamo portato delle immagini e dei filmati rari dedicati alla Sardegna. E’ stato presentato il film “Sonetaura”di Salvatore Beneu, realizzato tra l’altro in lingua sarda ma con sottotitoli in inglese, utilizzando attori non professionisti. Una storia anche originale nella Sardegna del 1938 La sala era piena, c’erano 860 persone di cui almeno la metà si è poi fermata a chiedere informazioni dopo il film. Poi abbiamo presentato il film di Gianfranco Cavillo “Sonos e Memoria” che ha gia’ 20 anni di vita, ma che secondo me e’ una delle espressioni piu’ belle della cultura sarda. Sono state recuperate vecchie immagini dell’Istituto Luce della Sardegna dagli anni ’30 agli anni ’50. Documentari in bianco e nero che raffigurano scene del lavoro, il lavoro pesante… I contadini, i marinai, le donne che facevano i lavori domestici…lavando al fiume, tessendo la lana…
     
    Una Sardegna del passato, ma in realtà ancora molto presente…
     
    Si una Sardegna non passata del tutto. Ci sono ancora tante cose che esistono ancora, i costumi, le tradizioni….la cosa interessante e’ che e’ stata realizzata una colonna sonora dal vivo con grandi edella musica sarda. C’erano Paolo Fresu, un jazzista conosciuto a livello internazionale; Luigi Lai che e’ un uomo di 76 anni che ci ha riportato le laumedas... Era emigrato all’estero e in Sardegna al suo ritorno non esistevano piu’. Invece lui le suonava da bambino. Al suo ritorno ne ha riportato la scuola ed oggi viene suonato in tutta la regione. Poi c’era Elena Alledda che e’ la nostra maggiore interprete di canto tradizionale sardo con altri artisti che veramente sono espressione della nostra cultura musicale. E’ stata un’esperienza che emoziona e che da’ un’idea di quella che e’ la cultura della Sardegna.
    Poi abbiamo deciso di portare l’artigianato per anticipare anche un evento a marzo organizzeremo che coinvolgera’ a Cagliari 200 artigiani non solo sardi,ma di tutto il bacino del Mediterraneo.
     
    Tutti artigiani?
     
    Si perche’ abbiamo deciso di far interagire gli artigiani con la grande architettura, i grandi designers, l’industria dell’edilizia…proprio per trovare una maniera di utilizzare le vecchie tecniche nel mondo di oggi. Quindi si comincia un filo conduttore nel Mediterraneo.
     
    Ci sara’ una presenza Americana?
     
    Si per questo abbiamo scelto, dovendo fare una mostra, di riportare l’artigianato sardo all’attenzione degli Americani. Cosi da attrarre anche i designers e gli archietti americani verso la cultura sarda. Facciamo un esempio: il lavoro delle ricamatrici della Sardegna potrebbe essere utilizzato almeno in parte dall’industria della moda.
     
    Tutto questo fa parte di un progetto molto piu’ amplio che ha l’obiettivo di far conoscere la cultura sarda un po’ in tutto il mondo.
     
    Quindi Sardegna terra di turismo o terra di cultura?
     
    Credo che il turismo sia un contenitore: si può viaggiare per riposarsi al mare o per fare un percorso in una terra che vuole conoscere. Mentre per gli italiani o per i tedeschi la Sardegna è terra di vacanza e di mare, per chi fa nove ore di volo la Sardegna è una terra che si vuole conoscere di più. Chi vuole andare a mare se ne va ai caraibi. Noi abbiamo un mare per cui veniamo chiamati “I Caraibi del Mediterraneo”. Pero’ e’ ovvio che io voglio portare agli americani molto di più. E’ la stessa cosa che se io qui facendo 9 ore di volo... vengo per conoscere una cultura, un modo di vivere differente.. quindi teniamo a presentare e proporre una conoscenza più profonda ai Paesi distanti. Non soltanto il riposo vacanziero ed estivo. Ci deve essere una motivazione piu’ forte. Io credo che per il mercato americano la Sardegna e’ una meta ideale perchè è una terra molto particolare: essendo stata isolata per secoli per via del mare, ha mantenuto intatti cultura e tradizioni. Abbiamo una lingua tutta nostra, una modalita’ di cucinare il cibo che risale a migliaia di anni fa... tutto questo può emozionare...
     

    La promozione della cucina sarda qui a NY si sovrappone o si inserisce nel quadro di sponsorizzazione della cucina italiana negli USA?
     
    Noi stiamo facendo cose tipiche della Sardegna ma lavoriamo in collaborazione con l’Italian Tourism Board - che dobbiamo ringraziare - e che promuove l’intera Italia. Ma abbiamo dedicato questa settimana per intero alla conoscenza della nostra isola. In realta’ poi la cucina italiana e’ fatta da tante cucine regionali. Anche se gli Americani non identificano le diverse cucine regionali, vogliamo far riconoscere la Sardegna come parte integrante, inserita, nel panorama italiano.
     
    Mi spiega il rapporto che avete con la comunita’ sarda qui a NY, una comunita’ forte ma molto piccola...
     
    Si, è molto piccola. Devo dire che la morte dell’animatore della comunita’ sarda Bruno Orrù ci ha portato a perdere un po’ di contatti. Ma li abbiamo recuperati con il suo sostituto. Questa dunque e’ una nuova occasione per ristabilirndi altri e più forti. Orrù era un personaggio estremamente significativo...i circoli sono fatti di persone. La perdita di questa persona ha creato una fase di transizione. Ma la comunita’ sarda rimane sicuramente la nostra ambasciatrice a NY. Ieri anche i rappresentanti in questione erano felicissimi dello spettacolo. C’era una sala piena, piu’ di 600 presenti tra cui la maggior parte americani.
     
    C’e’ stato un evento in onore di Maria Carta, la cantante. Evento organizzato dalla Fondazione Carta... c’e’ un legame fatto di note tra la Sardegna e la comunita’ sarda...
     
    Si questo per noi e’ un fattore di estrema importanza. La Fondazione Carta e’ un ponte tra noi e e la comunita’ newyorkese. L’evento e’ stato organizzato in occasione dell’anniversario della sua morte.
    La Fondazione organizza i suoi eventi con i circoli newyorkesi, mentre noi ci organizziamo con l’ENIT, cercando di coinvolgere anche i circoli.
     
    Dunque e’ contenta di questi nove giorni a NYC?
     
    Si perchè vi voglio far conoscere il nome della Sardegna. I sardi non sono moltissimi a NY, negli USA, anche se riescono con la loro presenza a fare il lavoro di migliaia di persone. Voglio far parlare più di noi. Far conoscere maggiromente la regione ai tour operators... e lo voglio fare passando non solo attraverso le bellezze naturali della nostra isola ma anche attraverso la sua cultura millenaria.
     
    Noi poi abbiamo un presente importante, abbiamo per esempio registi, scrittori che stanno facendo buone produzioni. Abbiamo scrittori, artisti, un mondo imprenditoriale, importante espressione di una Sardegna che si rinnova guardando al passato.
     

     

     
     

     

  • Life & People

    Sardinia in New York. A Way to Discover the Ideal Destination for Vacations

    For the second consecutive year, Sardinia is sponsoring the New York Film Festival. How has your relationship with the city changed compared to last year?
     
    In an effort to create a wider and more coordinated presence this year, we have organized a full week of events. Besides the New York Film Festival we have also sponsored the Condé Nast Building where the most important issues of Condé Nast Traveler magazine – which many Americans consult when planning their trips – are collected.
    We have devoted a great deal of attention to promoting our region’s cuisine by preparing typical Sardinian dishes, and our land and natural resources by presenting rare photographs and documentaries dedicated to our region’s beauty.
    This week we had the opportunity to present the movie Sonetaula by Salvatore Mereu, which I think above all, testifies to the uniqueness of our culture. Set in 1938, the characters – all played by non-professional actors – communicate in the Sardinian dialect while the audience can follow the plot with the help of English subtitles. More than 850 people attended the screening and at least half of them stayed for the discussion that followed.
    We also presented the movie Sonos e Memoria. It was shot about 20 years ago and still remains, in my opinion, one of the most beautiful expressions of Sardinian culture. It can be described as a collection of black and white archive images from the Istituto Luce. They date back to the 1930s and 1950s and show ordinary, hard-working people such as farmers, sailors, and housewives who wash laundry on the river’s edge and embroider.
     
    They are testimonies to a past that is still part of Sardinia’s present....
     
    Yes, these scenes are still part of our daily life. Our costumes, our traditions are intact. This is why we are glad that the American people welcomed the movie so warmly. The screening was also enriched by a live soundtrack performed by famous Sardinian artists: Paolo Fresu, a world-renown jazz musician and Luigi Lai, a 76 year-old man who is responsible for reviving interest in the launeddas, a traditional Sardinian woodwind  instrument, by teaching it to younger generations. Thanks to the school he founded, you can now hear its music from coast to coast. Finally, Elena Ledda – a major proponent of traditional Sardinian music – provided her voice for the soundtrack along with other well-known singers.
    Most importantly, our week in New York has us allowed to present traditional Sardinian handcrafts to the American public. This initiative will culminate with an event that will take place in Cagliari in March, 2009. It will involve more than 200 artisans coming from several Mediterranean countries.
     
    Only artisans?
     
    Yes, because we are trying to enhance the interaction between artisans and the architecture, construction, and fashion industries. We want to find a way for these ancient craft techniques can be used in contemporary production.
     
    Will American companies be involved?
     
    Yes, this is why we chose to launch an exhibit dedicated to Sardinian handicraft here in New York. This way it would be easier to attract American architects and designers. For example, the work of Sardinian embroiderers could be utilized, at least in part, by the fashion industry. This is part of a larger project to promote Sardinian culture internationally.
     
    So how we should view Sardinia? Is it a tourist destination or a land of culture?
     

    I think that we should think of tourism as a container: you can decide to take a trip to relax on the beach or to explore a new place. While Italians and Germans see Sardinia mostly as a sea destination, those who fly for nine hours to get there might want to know more about its land, history, and traditions. Americans who just want to get a suntan usually go to Hawaii or the Caribbean. And although Sardinia is called the “Caribbean Island of the Mediterranean Sea,” we want to give tourists much more. We want to share with them the “real” Sardinia and make their vacation more of a cultural experience. People must have a strong motivation to cross the ocean and come here. I think that we are the perfect destination for the American people: being isolated from the rest of the world for the longest time, Sardinians have kept and preserved their own language, their own recipes and cooking traditions…. This can be really exciting to explore….
     
    How do you introduce Sardinian cuisine to America? Do you present it as a part of Italian cuisine or do you promote it independently, as a distinct regional tradition?
     
    We are presenting and offering typical products from our region. However, we do it in collaboration with the Italian Tourism Board which represents the entire nation. Italian cuisine, in effect, is built on a number of local cooking traditions. Even if Americans do not distinguish them, we want to introduce them to the taste of Sardinian products.
     
    What kind of relationship do you have with the Sardinian community in New York? It is a strong group, but it is also very small....
     
    Yes, it is very small. I must admit that with the loss of Bruno Orrù, the community’s former official representative, our relationship has weakened. However, his successor has been great and little by little we are building new bridges between us.
     
    During this week, the Carta Foundation organized an event to celebrate the anniversary of Maria Carta’s death. She has spread your traditional music throughout the world while enhancing communication between Sardinian emigrants and their homeland.
     
    Yes, music really keeps our culture alive wherever we go. The Carta Foundation is a bridge between our island and the community that settled in New York. We share the same mission: to promote and preserve Sardinian culture. The events, however, are organized in partnership with local New York groups while ours are a collaboration with ENIT.
     
    So what is your response to these nine days in New York City?
     
    I am glad because I feel that the American public finally got to know a little bit more about Sardinia. We do not have a large representation here in New York but I am sure that although there are only a few Sardinians here, they still manage to do the job of thousands of people. I want people to talk about us. I want to attract tour operators and introduce them to our millenary culture so that they can encourage tourists to explore the richness of our island with an open mind.
    Moreover, our current artistic production is significant. Our leaders, our writers are doing great things. And our entrepreneurs, I must say, are helping to build the image of a modern Sardinia but one that still continues to look back on its past.
     
    Are you coming back in 2009?
    I hope so, but nothing has been decided yet.
     
     

     
     
    (Edited by Giulia Prestia)
     
     

     

  • Casa Italiana Zerilli Marimò della NYU. Ponte di dialogo culturale tra Italia e USA

     Professor Albertini, da quanto tempo dirige la Casa Italiana?

    Sono arrivato qui nel 1994. Sono stato  prima vice-direttore della Casa e nel 1998 sono diventato il direttore. Al tempo stesso ho sempre continuato ad insegnare alla  New York University. I due incarichi sono sempre stati collegati e prendono più o meno spazio nelle mie giornate a seconda dei periodi. Ho sempre mantenuto l’impegno accademico,  mi appassiona.  I rapporti con gli studenti, la ricerca...il dover essere sempre informato per preparare le mie lezioni in classe...fa tutto parte di un training che mantiene anche la Casa Italiana più viva, più vicina agli interessi delle persone giovani, degli studenti universitari.
     
    Cosa distingue la Casa Italiana?
     
    Noi facciamo promozione culturale ma soprattutto promozione di dialogo. Non abbiamo mai creduto che l’Italia fosse un prodotto da vendere, il Paese da magnificare o il luogo ideale dove far studiare i ragazzi. Non c’è bisogno della nostra sponsorizzazione: l'Italia è bella già da sola...la gente è simpatica per suo conto. Per cui non ci assumiamo un ruolo da missionari. Il nostro obiettivo è promuovere un dibattito culturale tra l'Italia e gli USA. In questo siamo agevolati dal fatto che siamo inseriti all'interno della New York University, un'importantissima università americana che ci permette di proporci come parte integrante della vita culturale di questo Paese.
    Inoltre siamo stati i primi ad avere attenzione per la realtà italo-americana.  E' stata la Baronessa Mariuccia  Zerilli Marimò, la nostra Presidentessa, a capire per prima quanto fosse importante studiarne la cultura e le caratteristiche.  Abbiamo fondato per questo la cattedra di Studi Italo-Americani, "Tiro a segno,  Fellowship in Italian-American Culture”, afferente al dipartimento di Italianistica. Riconosciamo una sfaccettatura, evoluzione, sfumatura della cultura italiana anche in quella italo-americana.
     
    Quale è il vostro rapporto con la NYU?
     
    La NYU è molto rispettosa dell’indipendenza accademica ed intellettuale delle sue istituzioni. Ha pieno rispetto della libertà accademica e dell’iniziativa culturale. Lo stesso vale per la nostra fondatrice e il nostro Board direttivo. C’è un orientamento estremamente aperto. Queste è una premessa importantissima.
    Uno spazio di dialogo come il nostro è poi davvero benvoluto. Perciò i miei colleghi – non solo della NYU, ma anche della Columbia University e della CUNY – dimostrano sempre enorme generosità ed interesse di fronte alle nostre iniziative, dal momento che si rivelano un'occasione per portare il discorso accademico al di fuori delle aule e confrontarsi così con il pubblico.  

     
    Andiamo sul personale. Come l'ha cambiata questa esperienza? Ha mutato il suo modo di essere italiano qui?
     
    Si è un’esperienza molto particolare. A volte mi sembra di non essere nemmeno negli USA. Per il mio lavoro è fondamentale sapere sempre cosa sta succedendo in Italia dal punto di vista culturale, letterario... c’è un costante reality check che da una parte mi induce ad una costante attenzione all'italianità, ma che dall’altra mi porta a confrontarmi con la realtà americana.
    Non è un lavoro qualunque, mi ha cambiato. Mi ha costretto a rivedere costantemente le cose in cui ho sempre creduto, a leggere libri che altrimenti non avrei mai letto...ad imparare delle cose che poi ho scoperto essere molto interessanti... a conoscere persone dalle esperienze straordinarie da artisti a politici...
    Tutta questa parte è bellissima, entusiasmante. 
    Direi però che la scoperta più grossa è stata la comunità italo-americana che non conoscevo. 
      
    A quale aspetto dell'Italia sono più interessati i suoi studenti americani o italo-americani?
     
    Distinguo i nostri studenti in due categorie: quelli in partenza e quelli di ritorno dall’Italia.
    I "pre-Italia" sono quelli che si stanno preparando a fare la loro esperienza nella nostra sede a Firenze, che accoglie circa 400 studenti a semestre. In questi studenti c’è interesse nel Medioevo, nel Rinascimento...nelle cose che associamo più tradizionalmente all’Italia. Negli studenti di ritorno c’è invece  molto interesse per l’Italia contemporanea, dal II dopoguerra ad oggi. Questi studenti vogliono conoscerne l’aspetto politico, economico, sociale.
      
    Quale è l'aspetto del suo lavoro che più le piace?
     
    Provocare le persone a parlare di cose di cui altrimenti non parla. Riunire persone che altrimenti non si conoscerebbero. Qui sono nati progetti, collaborazioni, libri considerabili il frutto di incontri avvenuti tra queste mura. L’anno scorso, ad esempio, abbiamo presentato un'opera del bravissimo Paolo Mastrolilli. In quell'occasione conobbe  un editore americano da noi invitato e  in primavera  pubblicherà qui il libro tradotto in inglese.
     
    Quali sono le prossime iniziative della casa Italiana?
     
    Parliamo di arte. Ora ospitiamo una mostra importante che raccoglie una serie di incisioni di Giorgio Morandi. A novembre ne avremo una fotografica che si intitolerà "Tra la via Emilia ed West". Il fotografo, Paolo Simonazzi, ha fatto i suoi scatti in Emilia Romagna, catturando paesaggi del tutto simili al west americano.
    Quelle foto potrebbero essere state scattate in Arizona. Rappresentano il mito dell’America rivissuta in questa parte di Italia. Bar che sembrano dei saloon, pensioni che si chiamano Motel... 
    A dicembre faremo un’altra mostra egualmente bella ma completamente diversa: esporremo una collezione proveniente dal Museo del Giocattolo di Canneto sull’Oglio, in provincia di Mantova. Il paesino fu per 100 anni la capitale del giocattolo in Italia.  Attraverso la storia di questi giocattoli tenteremo di ricostruire 100 anni di storia sociale italiana.
     
    Collaborate con altre istituzioni italiane presenti sul territorio newyorkese?

     
    Collaboriamo in particolare con l' Istituto Italiano di Cultura, perchè abbiamo una missione simile: promuovere la cultura italiana a New York. Loro lo fanno sul versante istituzionale, noi su quello accademico. La mostra di Morandi è, ad esempio, organizzata nei nostri due poli. Anche Il premio letterario "Zerilli Marimò-Città di Roma" viene organizzato in partnership con l'Istituto. Ma manteniamo costanti rapporti con l'Italiian Academy della Columbia University, con il Calandra Institure della Cuny, con il Centro Primo Levi.
     
    Tra un po' ci sarà un evento molto importante per la Casa italiana. Il premio "Zerilli Marimò-Città di Roma".
     
    Si  premio è alla sua nona edizione. E' importante perchè prevede la traduzione dei romanzi premiati. Tre finalisti verranno invitati a NY la settimana prossima. Nelle 8 edizioni precedenti 7 libri sono stati pubblicati con traduzione in inglese grazie al premio. È  organizzato in collaborazione con la Casa delle Letterature del Comune di Roma,  
    Presto conosceremo il nome del vincitore di quest'anno. Ci auguriamo naturalmente che il premio porti anche a lui grande fortuna negli USA, cosi come è stato per le edizioni precedenti!
     
     

     *******

    La Casa Italiana Zerilli-Marimò, sede del Dipartimento di Studi Italiani della New York University, fu fondata nel 1990 per iniziativa della Baronessa Mariuccia Zerilli-Marimò. La missione dell’istituto è diffondere la cultura italiana a livello internazionale con la convinzione che essa non appertiene solo agli italiani ma anche a chiunque desideri conoscerla.

  • Art & Culture

    Elena Bonelli Brings Rome to New York


     Elena Bonelli is back in New York. On the occasion of the Columbus Celebrations she will offer to her affectionate New York public a new longed-for performance.

    Her ultimate aim is to spread Roman Popular Music Heritage world-wide.
     
    Mrs. Bonelli, you are internationally renewned as an actress and singer. What kind of show are you going to offer to your New York public on the 12th of October?
     
    My show Roma in the World is meant to homage the culture of Rome, the Eternal City, and its representatives. I will sing the most famous Roman traditional songs, including Roma nun fa la stupida, Tanto pe’ canta’, Vecchia Roma and Le Mantellate. My Band, composed by Giandomenico Anellino, Luca Perroni and Francesco Suraci, will accompany me in a peculiar and original reinterpretation of these masterpieces.
    Some of them are translated in English, Spanish, Portuguese or French, depending on the country where I perform. I think this is very important when the aim is to invite foreign people to discover such a peculiar culture as the Roman one is.
     
    In your long career you have been invited to sing at many institutional events. Let’s mention, for example, your presence at the Columbus Celebrations and at the UN Building in New York during the Millennium Summit. You have also been designated by the former President of Italian Republic Carlo Azelio Ciampi as the official singer of Mameli’s Italian National Anthem. What made you decide to dedicate the past five years to the international promotion of the popular Roman repertory?
     
    Actually I always had this goal, even when I was mainly involved with institutional and official events. Nonetheless I have to admit that it was Gabriella Ferrari’s death that made me decide t commit myself to bringing the beautiful Roman repertory to the people.
    At the beginning of my career I also used to sing in Neapolitan, as a tribute to my family’s origins. “Napoli Mediterraneo” – this is the title of the show I was promoting then – was later replaced by “Roma in the World”, which is giving me indescribable satisfactions. Sometimes I do still sing in Neapolitan. Especially when my public asks me to do it. For example, two days ago I was in Miami. I received 40 minutes of encores! and I sang with my public some typical Neapolitan songs. The Italian-Americans enjoyed it, but the Americans were just enthusiastic!
     
    Let’s go back to the upcoming concert in New York. It is going to be also a tribute to the actress Anna Magnani…
     
    Yes, she has always been my true idol. I have seen all her movies. It is also a great honor to be considered her heiress by many Italian journalists and producers. They say that we have many similarities … the general attitude, a sunny personality… I cannot imagine a better compliment.  
     
     
    The first contact you had with the Columbus Citizens Foundation came after a performance you offered at the Columbia University in New York. From that moment on you have been often invited to participate to the Colombus Celebrations. And this year, for the first time, you have the opportunity to organize your own show in New York…
     
    Yes, I have always felt the Columbus Citizens Foundation appreciated my work, even when I was not so well-known. From the time Laurence Auriana and Giuliana Ridolfi “discovered” me at the Columbia University I have been invited in New York innumerable times. But now I cannot wait to offer to my affectionate New York audience my own show. I am sure they will enjoy it… they will feel like spending the evening in Rome!
     
     
    Elena Bonelli
    10/12/08
    h. 7:30 pm
    Zankel Hall at Carnegie Hall
    Buy the tickets online at  www.carnegiehall.org
     

  • Art & Culture

    Rediscover Dante in New York with Teodolinda Barolini


     October 16, at the Italian Cultural Institute, an appointment that can not be missed. “Dante's Sympathy for the Other-or the Non-Stereotyping Imagination: Sexual and Racialized Others in the Commedia” is part of the cycle of events “Dante in Public” organized by IIC. Teodolinda Barolini will present to the New York Public a deep and fascinating analysis on Dante’s masterpiece, the “Divine Comedy”. 

     
    She will portrait Dante as an enigmatic and charismatic figure, a person that is capable to overcome, when facing “diversity”, the most common stereotypes. Instead, he perceives the encounter with the “other” as an occasion to enrich his personal culture and enlarge his knowledge horizons. 
    Thus this interpretation allows the audience to identify in Dante a person, a man that stands out in the medieval historical and anthropological context, an era in which scare and discrimination are dominant sentiments.   
    Under this point of view, a careful observer could state that Middle Age and contemporary society are not so different after all. So the lecture becomes also an occasion to reflect on the modern common perception of the “other”.  
     
    Teodolinda Barolini is Lorenzo del Ponte professor of Italian at Columbia University. She has written “Dante’s Poets”, “The Undivine Comedy”, “Dante and the Origin of Italian Literary Culture “. She is fellow of the American Academy of Arts and Sciences, the American Philosophical Society and the Medieval Academy of America.
    From 1997 to 2003, professor Barolini served as fifteenth president of the Dante Society of America.
     
    The event “Dante's Sympathy for the Other-or the Non-Stereotyping Imagination: Sexual and Racialized Others in the Commedia” will take place this evening at the Italian Cultural Institute (686 Park Avenue, New York), 7 pm. Free admittance.
     
    Will follow:
    10/24/08, 6 pm: Stefano Bartezzaghi, “The square, the language, the Games: the case of DANTE ALIGHIERI”
    RSVP: 212 879 4242 ext. 370
     
    11/21/08, 6 pm: Giulio Tononi, “The Divine Comedy a Map: a Neuroscientist’s Guide to Hell, Purgatory and Paradise”.
    RSVP: 212 879 4242 ext. 369
     
     

  • Riscoprire Dante a New York con Teodolinda Barolini


     Appuntamento imperdibile il 16 ottobre all’Istituto Italiano di Cultura.

    “L'apertura di Dante verso l'Altro, o l'immaginazione non stereotipante - Alterita' sessuale e razziale nella Commedia” fa parte del ciclo di eventi “Dante in Public”, organizzato dall’IIC.

     Teodolinda Bartolini, titolare della cattedra Lorenzo del Ponte alla Columbia University, presentera’ al pubblico newyorkese un’attenta e affascinante analisi su Dante ed il suo capolavoro “La Divina Commedia”.
     
    Dante sara’ ritratto quale personaggio enigmatico e carismatico, una figura che dimostra di essere capace di superare, di fronte al “diverso”, i piu’ comuni stereotipi. Concepisce anzi l’incontro con “l'altro” come una sfida conoscitiva, un’ occasione di arricchimento culturale.
    Questa interpretazione permette dunque di identificare in Dante un personaggio che si differenzia nel panorama storico-antropologico del Medievo, un’epoca in cui la paura dell’altro e’ un sentimento dominante. 
    Dal Medioevo ad oggi il passo e’ piu’ breve di quanto comunemente percepito. La lettura diventa dunque un importante spunto di riflessione rispetto alla comune odierna percezione del diverso.  
     
    Teodolinda Barolini e’ titolare della cattedra di letteratura italiana “Lorenzo Ponte” alla Columbia University. Tra le sue opere, “Dante’s Poets”, “The Undivine Comedy”, “Dante and the Origin of Italian Literary Culture “. E’ socia della American Academy of Arts and Sciences, dell’American Philosophical Society e della Medieval Academy of America.
    Dal 1997 al 2003, la professoressa Barolini e’ stata la quindicesima presidentessa della Dante Society of America.
     
    L’evento “L'apertura di Dante verso l'Altro, o l'immaginazione non stereotipante - Alterita' sessuale e razziale nella Commedia” si terra’ stasera all’Istituto Italiano di Cultura (686 Park Avenue, New York) alle ore 19. L’ingresso e’ libero.
     
    Seguiranno:
    24/10/08, ore 18: Stefano Bartezzaghi, “The square, the language, the Games: the case of DANTE ALIGHIERI”
    RSVP: 212 879 4242 ext. 370
     
    21/11/08, ore 18: Giulio Tononi, “The Divine Comedy as a Map: a Neuroscientist’s Guide to Hell, Purgatory and Paradise”.
    RSVP: 212 879 4242 ext. 369
     

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