Articles by: Elena Del forno

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    "Francesco" e le sfide del nostro tempo

    Le parole di Papa Francesco fanno il giro del mondo più veloci della luce. Da quando è stato proiettato "Francesco", il documentario firmato dal regista russo Evgeny Afineevsky, alla 15. Mostra del Cinema di Roma, la comunità LGBT mondiale è in festa. Mentre guardavo, ho sobbalzato. Sono dovuta tornare indietro e riascoltare.
    Francesco dice così.

    "Le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia. Sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo. Ciò che dobbiamo creare è una legge sulle unioni civili. In questo modo sono coperti legalmente. Mi sono battuto per questo" .
    Dopo secoli di battaglie e discriminazioni, spesso arrivate proprio da dentro il Vaticano, che sia questa una nuova apertura per un mondo più civile e tollerante?
    Certo che paesi a forte matrice cattolica come Polonia, Filippine e Paraguay sotto le cui leggi oggi le comunità gay sono e sono state fortemente discriminate potrebbero trovare una nuova protezione e civile convivenza. Ad oggi sono solo 43 i paesi al mondo in cui le unioni omosessuali sono consentite e tutelate (29 con matrimonio a tutti gli effetti, 14 con unioni civili) .

    "C'è una sola famiglia -  dice ancora Francesco - ed è quella umana". 
    Non risparmia niente e nessuno Papa Francesco, la natura, i migranti, la guerra in Syria, i Rohingya, i sofferenti e i poveri di ogni latitudine, gli abusi di ogni genere, sessuali e non. Lo sguardo pietoso di Bergoglio si posa su ogni angolo della Terra, dall'Isola di Lesbo, definita come la più grande crisi umanitaria dopo la Seconda Guerra Mondiale, all'isola di Lampedusa dove si reca a rendere omaggio alla grande tragedia degli uomini morti in mare.
    "La Natura non è come Dio, non perdona, se tu la schiaffi, lei ti schiaffa. Abbiamo peccato contro la Terra, contro il nostro prossimo, a causa del nostro egoismo abbiamo mancato al nostro compito che era custodire la Terra ed i suoi abitanti, l'abbiamo inquinata e depredata mettendo in pericolo la nostra stessa vita come dimostra l'ultima pandemia".

    "Immigrazione è ingiustizia, perchè è solo l'ingiustizia che fa attraversare deserti od oceani a questi uomini e li spinge a morire". A Lampedusa sono morti oltre 34 mila persone, una cifra impressionante alla quale non abbiamo ancora trovato soluzione. "Siamo entrati nella globalizzazione dell'indifferenza, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, per questo vediamo tragedie alle quali assistiamo tutti i giorni senza fare nulla".

    Sono parole dense, pesanti e dirette come frecce al cuore, naturalmente per chi un cuore lo ha e lo ha anche aperto perchè in fondo, continua il Santo Padre, risolvere questi problemi non sarebbe così difficile, basterebbe "passare dall'indifferenza e dalla paura all'accettazione dell'altro, perchè l'altro potresti essere tu o io. Bisogna avere il cuore aperto per ascoltare il dolore, poi bisogna accompagnare, promuovere e integrare in un processo politico che i governanti dovrebbero fare".
    Una soluzione umana e semplice, eppure ancora così impossibile.

    Il documentario ripercorre anche le origini del Papa prima che fosse uomo di Chiesa, andando alla ricerca delle radici di Bergoglio, un ragazzo argentino di nome Jorge Mario, nato a Buenos Aires nel 1936 che un giorno, improvvisamente, sente l'impulso di volersi confessare e da lì, la sua vita cambiare.
    Si poteva pensare ad una censura del Vaticano, a qualche imposizione su un lavoro così a 360 gradi su una delle figure più importanti del nostro tempo invece il regista rivela che ha lavorato in maniera totalmente libera, senza nessuna pressione o imposizione da parte della Santa Sede.

    "Non è un documentario che vuole fare un ritratto del Papa - dice Afineevsky - ma un ritratto di noi, come umanità e di lui che cerca di guidarci per farci uscire da tutti i disastri che noi stessi abbiamo creato. Attraverso il passato ci indica la via per il futuro, è un mosaico del mondo. La cosa bella è che sono stato libero di girare e fare quello che volevo, non ero e non sono interessato  a dare giudizi sulla Chiesa o sul Vaticano e sono sempre stato libero di esprimermi".

     La pellicola è stata già insignita, nei Giardini Vaticani, del Premio Kinéo, giunto alla 18. edizione. Il "Kinéo Movie for Humanity Award", assegnato a chi promuove temi sociali e umanitari, è stato consegnato da Rosetta Sannelli, ideatrice del riconoscimento, che parlando del film ne ha sottolineato il valore storico. “Ogni viaggio di Papa Francesco nelle varie parti del mondo – ha affermato – è documentato nell’opera di Afineevsky da immagini e filmati di cronaca, e si rivela un autentico squarcio sulle vicende del nostro tempo”.

     Il Papa, si legge nel comunicato nel quale si presenta il film, risponde alle domande “con saggezza e generosità” condividendo “esempi commoventi delle sue lezioni di vita”, rilanciando ideali che “ci possono aiutare a costruire un ponte verso un futuro migliore e crescere come comunità globale”. La prima di "Francesco" negli Stati Uniti è prevista per il 25 ottobre al Savannah Film Festival, il film è prodotto in parte con la Ucla School of Theater, Film and Television. Il regista Evgeny Afineevsky che ha realizzato il docufilm è stato candidato agli Oscar e agli Emmy nel 2016 con “Winter on Fire” e nel 2018 ha ricevuto 3 nomination agli Emmy per “Cries from Syria”.  

    Come ha detto bene il Papa, in un italiano tutto suo, la Natura se non la rispetti ti schiaffa ed in questo documentario invece lo schiaffo arriva a tutti noi, nessuno escluso, che abbiamo fallito miseramente come umanità.
     

  • Arte e Cultura

    Fortuna, ispirato alla tragedia di Caivano

    Il 24 giugno 2014 una bambina di soli 6 anni, Fortuna Loffredo, muore scaraventata sull'asfalto dall'ottavo piano di un palazzo del Parco Verde di Caivano alla periferia di Napoli. Qualche mese prima, il 27 Aprile del 2013, era stato Antonio Giglio, di soli 4 anni, a perdere la vita nello stesso modo. Due tonfi sordi, mortali ed impressionanti. Dentro un quadro oscuro di degrado, miseria, droga, ma soprattutto, di abusi, sessuali e non, sui minori.
    L'inchiesta giudiziaria, che ha portato alla condanna di Raimondo Caputo detto Titò, nasconde tante ombre al punto che iil padre di Fortuna crede che il vero assassino sia ancora libero. 
    Si poteva affrontare questo racconto partendo quindi dalla secca cronaca e ricostruire la vicenda, o ridare a Fortuna un'altra prospettiva, renderla immortale, quasi aliena, finalmente libera e felice lontano da quei Giganti brutti e neri che sono gli adulti nella loro forma più perversa.  
    Questa è stata la scelta di Nicolangelo Gelormini che esordisce in maniera eccezionale alla regia della sua opera prima. Laureato in Architettura, è stato a lungo assistente di Paolo Sorrentino, al quale ha sicuramente carpito - magnificamente - i trucchi del mestiere, inquadrature, ritmo, montaggio, sensazioni. C'è uno spettro emotivo ed uditivo, di straniamento, di follia, di alienazione, di non appartenenza, di sdoppiamento costante che anima tutto il film. ll regista sceglie con coraggio di reinterpretare tutta la storia, liberando Fortuna dalla mera materialità, indagando invece il sogno, il gioco, la sensazione di essere bambino in un mondo di adulti che sono difficili da comprendere.
     
    " Immaginare che lo spettatore potesse provare gli stessi sentimenti di Fortuna - racconta Gelormini -  è stata l’ambizione che ha guidato me e Massimiliano Virgilio nel leggere l’inferno imprigionato in questa storia. Non solo il tragico caso di una bambina di sei anni, scaraventata dall’ultimo piano del suo palazzo dopo ripetuti abusi, ma l’esegesi di un tradimento. Del desiderio di tutti i bambini di essere amati, tradito dagli adulti. Un desiderio che riaffiora nella mente di chiunque, a tutte le età, in ogni angolo della Terra. Fortuna non è stata tradita da una sola persona, ma dal mondo intero che la circondava. Un universo difficilmente circoscrivibile a Parco Verde, ma in agguato ovunque, purtroppo. Un tradimento atroce, paragonabile solo a quello inferto da chi ci ha dato la vita: il tradimento della madre. L’adesione a questo sentimento non ci ha consentito di rappresentare i veri personaggi della vicenda, che nella realtà hanno incarnato altri ruoli e pensieri - a cominciare dalla vera madre di Fortuna, che qui non è stata affatto rappresentata - ma di estrarre il seme dal frutto e reimpiantarlo in un terreno nuovo, fertile, foriero di immagini e emozioni.
     
    Durante il suo viaggio s’imbatte nella madre che le chiede di fidarsi lei e le infligge, invece, il colpo di grazia. Il dramma è quello di una società intera contro cui il mondo dell’infanzia va a sbattere, quando la sua innocenza viene profanata. Una collettività buia, incapace di leggere le gradazioni dell’animo umano, arenata a un modello binario che divide il mondo in maschi e femmine, buoni e cattivi, forti e deboli, potenti e indifesi, e che non lascia scampo a tutto quel fiorire di vita che c’è nel mezzo. In quest’ottica, il film ha inevitabilmente assunto la forma del numero due: dalla struttura in due atti, alle inquadrature spaccate a metà, al racconto della realtà riflessa nel mondo interiore di Fortuna. La scrittura ci ha liberato dalla coercizione dell’orrore e ci ha consentito di ridare vita a questa piccola condottiera. Ha vendicato Fortuna, rendendola un personaggio eterno che affronta ogni giorno il suo mostro senza morire mai. L’ha trasformata in un sogno e l’ha condotta su una stella inventata appositamente per lei, per illuminare gli occhi dello spettatore e placare il mio cuore. Proprio questa struttura spezzata crea l'estetica stessa, ogni inquadratura è fatta per tradire lo spettatore come questi bambini sono stati traditi dalle loro madri. Lo spezzamento consente di traghettare lo spettatore da una parte e la narrazione dall'altro, è un sentimento atroce che volevo suscitare negli spettatori".
     
    Un'estetica anche pittorica, che richiama Hopper, Hockney, Bacon e naturalmente architettonica data la formazione del regista, che trova in questi palazzi andati a male di Caivano le sue gabbie ideali per far muovere leoni e domatori, una bolla subumana dove niente è più come dovrebbe essere e come sembra.
     
    L'escamotage è quello di far vivere Fortuna attraverso il suo alter ego Nancy (Cristina Magnotti), una bambina che si crede sia stata rapita e portata sulla Terra per errore, ma in realtà abitante del pianeta Tabbis dove deve rientrare stando però attenta ai Giganti, questi uomini cattivi che vogliono impedirle il ritorno. Insieme ai suoi compagni di gioco Nancy/Fortuna trova un terreno fertile per dar vita ai suoi sogni non sapendo di condividere con loro un tremendo segreto e un tragico destino.
     
    Dall'altro lato una madre che cerca di esserci (Valeria Golino) e una psicologa distratta (Pina Turco) che diventano addirittura intercambiabili (madre inesistente e psicologa attenta) in un gioco di ruoli inutile, perchè tanto, il risultato, terribile, non cambia. Salti temporali, scambi di persone, ricostruzioni sfalsate, avulsione completa dalla realtà o dalla cronologia, cosa passa veramente nella testa e nel cuore di un bambino abusato? In un crescendo costante di svelamenti, la verità arriva solo alla fine, con un cenno della testa appena pronunciato, con timidezza e forse vergogna, perchè di queste cose bisogna stare zitti.
     
    "La dolorosa verità su cui si basa il film - afferma Valeria Golino - non è stato il motivo per il quale ho accettato di farlo, anzi poteva essere un deterrente. E' stato proprio questo modo di raccontare la vicenda che fin dalla lettura della sceneggiatura mi ha portato a volerci essere".
     
    La capacità di Gelormini è quella di rendere Fortuna un'icona della purezza, una moderna eroina, una Giovanna d'Arco moderna. L'immagine finale in cui la ragazzina cammina all'indietro volendo andare verso la Terra ma in realtà salendo al cielo resterà impressa a lungo al termine di 108 minuti leggermente troppo lunghi, se vogliamo davvero trovare un difetto a questo esordio dietro la macchina da presa a dir poco impattante.
     
  • Arte e Cultura

    Mi chiamo Francesco Totti incorona l’ottavo re di Roma

    Manda ‘n po ‘n’attimo ‘ndietro”.

    La voce narrante di Francesco Totti, l’ottavo Re di Roma, è uno dei tanti pregi di questo film documentario girato da Alex Infascelli e per tre giorni al cinema, ma Vision Distribution naturalmente spera siano molti di più, che ripercorre la vita calcistica, ma soprattutto ci narra l’uomo dietro al calciatore. Commovente, ironico, emozionante anche per chi non è appassionato di calcio e anche per chi fa il tifo per un’altra squadra che non sia la Roma.

    Infascelli ha il grande merito di trovare la chiave per entrare in tutta la gamma delle emozioni del Pupone e Francesco ha la capacità, ma soprattutto la lucidità, di commentare la sua vita quasi fosse quella di un altro, con la battuta sempre pronta e la lettura divertente ma anche emozionata ad ogni capitolo della sua vita che non è sempre stata rose e fiori. 
     

    Il film si apre alla viglia dell’ultima partita di Francesco, quella del suo addio al calcio dopo 25 anni passati tra Trigoria e l’Olimpico. Felpa e cappuccio in testa, come fosse un boxeur o Kurt Russell in fuga da New York, un’icona che saluta in uno stadio pieno di memorie che gli rimbalzano in testa, in un abbraccio impressionante che il 28 maggio del 2017 il popolo della Roma gli ha tributato per l’ultima volta.

    Agiografico? Certamente, ma non è peccato voler trasformare Totti in supereroe perchè in fondo è così che lo hanno vissuto i tifosi durante tutta la carriera. E poi Totti non si discute, si ama o si odia, come un monumento, una fede, un’ideologia. Fa bene quindi Infascelli a darci in pasto tutto quello che c’è e anche qualcosa di più.

    Attraverso filmini in super8 d’epoca e materiale certamente per gran parte inedito la storia si snoda dal primo calcio al pallone di un Francesco appena treenne seguendo la crescita personale e professionale di un ragazzino che da via Vetulonia è arrivato alle vette impressionanti del calcio mondiale vincendo uno scudetto, un mondiale e vari altri premi, non risparmiandosi comunque infortuni e sofferenze e una vita con le sue complessità e difficile a volte da vivere normalmente. C’è un passaggio in cui Francesco dice “Vorrei veramente per un giorno, almeno  un giorno, poter uscire liberamente di casa senza fare selfie e autografi e parlare con nessuno, vorrei poter essere una persona normale. Ce la farò a farlo prima di morire?”. Mi ha ricordato il film di David Lynch, Elephant Man, in cui il protagonista, John Merrick, in fondo sogna solo di poter dormire una volta come una persona normale.

    Spesso chi cerca la fama vive per quei momenti, Francesco non l’ha cercata, gli è arrivata perchè aveva dei piedi fenomenali, ma ha dovuto imparare a gestirla e a conviverci, da alieno a volte sulla Terra.

    Naturalmente oltre al calciatore c’è l’uomo, con la sua simpatia innata e il suo spirito di guerriero, un vero capobanda in campo e un autentico timido fuori. Sono memorabili i minuti in cui parla del suo incontro con Ilary Blasi, come ha cercato di conquistarla e quello che sarebbe successo se quel giorno non avesse segnato il gol che avrebbe poi dedicato alla sua bella. Da quell’incontro è arrivato poi un matrimonio nel 2005 e sono nati tre figli splendidi con cui ha costruito un rapporto tenerissimo. Ma quanto sa essere dolce, tanto può essere severo,  specie nel criticare probabilmente giustamente l’ultimo allenatore Spalletti che da amico in passato gli si è rivoltato contro nelle ultime stagioni.

    Ero in sala a vederlo con delle amiche, una delle quali romanista. Alla fine abbiamo pianto tutte e tre perchè quando Totti esce dal campo per l’ultima volta, non puoi non piangere con lui, che ti importi o meno del gioco del calcio.