Articles by: Doriana varì

  • Fatti e Storie

    Sanremo. E Celentano provoca ancora...


    Nel bel mezzo della prima serata, mentre Gianni Morandi, nel ruolo di conduttore del Festival di Sanremo, è in procinto di presentare un brano musicale, sui televisori sintonizzati su Rai1 irrompono scene di guerra e distruzione: il palcoscenico dell’Ariston si oscura e diventa fumoso, un gruppo di comparse si precipita sul palco con espressioni spaventate e confuse, c’è un via vai di gente, qualcuno si accascia a terra come morto, intanto si sentono urla strazianti e sirene spiegate; seguono immagini di bombardamenti e guerra per terra e per mare. Poi, per un istante, il silenzio e immediatamente dopo, sulle note di “Facciamo finta che sia vero”, emerge il mitico Celentano accolto dal pubblico con calorosi applausi e grida di consenso.



    Senza troppi preamboli, afferrato il bicchiere d’acqua che sarà suo compagno per tutta la durata dell’intervento, il Molleggiato va subito al dunque, esordisce con una dura e quanto mai esplicita polemica diretta agli uomini di Chiesa e ai due maggiori giornali cattolici del paese: “se c’è una cosa che non sopporto e che mi innervosisce, non solo dei preti, ma anche dei frati, è che nei loro argomenti, quando fanno la predica, o anche nei dibattiti in televisione non parlano mai della cosa più importante e cioè del motivo per cui siamo nati, quel motivo nel quale è insito il cammino verso il traguardo, quel traguardo che segna non la fine di un’esistenza, ma l’inizio di una nuova vita, insomma i preti e i frati non parlano mai del Paradiso” accusa Celentano, e continua “giornali inutili come l’Avvenire e Famiglia Cristiana andrebbero chiusi definitivamente, si occupano di politica e delle beghe del mondo anziché parlare di Dio e dei suoi progetti […] il discorso di Dio occupa poco spazio nelle loro testate ipocrite”. Inevitabili e soprattutto immediate le repliche in risposta agli attacchi di Celentano, e infatti a pochi minuti dalla fine dell’esibizione, Marco Tarquinio, sul sito di Avvenire (quotidiano di cui è direttore), commenta “Se l'è presa con i preti e con i frati che non parlano del Paradiso.


    E se l'è presa con Avvenire e Famiglia Cristiana che vanno chiusi. Tutto questo, perché abbiamo scritto che con quel che costa lui alla Rai per una serata si potevano non chiudere le sedi giornalistiche Rai nel Sud del mondo (in Africa, in Asia, in Sud America) e farle funzionare per un anno intero”. All’indomani dello spettacolo anche il SIR (Servizio di Informazione Religiosa) e la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) rispondono allo showman: “Quando l'ignoranza prende il Microfono per diffondere il suo messaggio è doveroso replicare, seppur con serenità e rispetto delle persone, per amore della verità”; le sue parole sono dovute al “vuoto di conoscenza di ciò che le testate cattoliche professionalmente sono" e al "vuoto di conoscenza del servizio che esse svolgono per la crescita umana, culturale e spirituale della società tutta. Un vuoto voluto, e quindi ancor più triste, perché a tutti è possibile conoscere e comprendere il ruolo laico dei media cattolici nel nostro paese”; mentre sul sito di Famiglia Cristiana si legge “Adriano Celentano è solo un piccolo attivista dell'ipocrisia, un finto esegeta della morale cristiana che sfrutta la tv per esercitare le sue vendette private”.


    Critiche aspre sono rivolte a Celentano anche dal segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, e da Maurizio Luppi, vice presidente del Pdl; solo il coordinatore del Pdl sembra aver apprezzato il monologo del Molleggiato, Bondi, infatti, spiega che l’apparizione “può essere letta come un imprevedibile e commovente discorso sulla fede, un discorso pieno di pietà religiosa sulla vita e sulla morte, un discorso sull'amore che è il segno distintivo del cristianesimo”.

     
    Ma l’intervento di Celentano non si conclude. Dopo un intermezzo musicale che sembrava segnare la fine dell’esibizione del cantautore, o che sembrava almeno voler distendere i toni, il monologo riprende, se possibile, più pungente di prima. L’argomento è la politica, in particolare viene messo in discussione il valore della sovranità popolare in Italia: viene inscenato un teatrino in cui Morandi, Papaleo (co-conduttore del Festival) e Pupo (inaspettatamente levatosi dalla platea del teatro) fanno da spalla allo showman milanese. Rocco Papaleo legge da un vocabolario ideale la definizione di “sovrano”: “la Costituzione italiana sancisce che il potere sovrano appartiene al popolo che esercita un potere pieno e indipendente”.


    Il riferimento è chiaramente rivolto alla raccolta di firme che Di Pietro, Segni, Parisi, avevano organizzato qualche mese fa, e che aveva il fine di indire un Referendum con cui si proponevano delle modifiche all’attuale legge elettorale. Nonostante sia stato raccolto un numero più che sufficiente di firme, la Consulta ha negato il Referendum, segno questo, spiega Celentano sarcasticamente, che “o è la Consulta che sbaglia o bisogna cambiare vocabolario”.
    Segue un secondo, più lungo, intermezzo musicale, e il monologo riprende. Ora Celentano si concentra sull’annoso problema della morte come unica certezza della vita, sul problema della labilità delle cose terrene, torna dunque a prendere piede il discorso dell’importanza della vita futura ed eterna, l’importanza dell’eticità necessaria sempre ed ovunque.

     
    Tra monologhi e canzoni si conclude il lunghissimo intervento di Adriano Celentano che lascia al pubblico la bocca amara per la serietà e il rigore dei temi trattati; e lascia pure alle testate giornalistiche pagine e pagine di polemiche. Un’esibizione, dunque, molto discussa quella del Molleggiato, e ovviamente molto seguita, infatti la prima puntata del Festival registra il 50% di share. Ma i 12 milioni e settecentomila telespettatori non impediscono ai vertici della Rai di prendere provvedimenti: le parole di Celentano, soprattutto quelle rivolte e riferite agli uomini di Chiesa, indignati e irritati, hanno determinato il commissariamento del Festival di Sanremo.


    Garimberti, presidente della Rai, sottolinea che l’azienda “non può che dissociarsi” dalle posizioni del cantautore; ma il commento più duro arriva da parte di Mario Mazza, direttore di Rai1, che accusa il cantante di aver “travalicato i confini del codice etico”, e reputa “di cattivo gusto” l’aver dato del deficiente ad Aldo Grasso e l’aver auspicato la chiusura di due testate giornalistiche. Solo Gianmarco Mazzi, direttore artistico del Festival, difende a spada tratta l’esibizione di Celentano: “Era il massimo che mi potessi aspettare: apprezzo molto un artista che ha il coraggio sempre di seguire strade non battute, di innovare” commenta.
     


  • Un weekend da brividi tutto italiano

    Il primo week end del Febbraio italiano si può definire davvero un week end da brividi! Ma non c’è nessun mostro sterminatore e serial killer seriale a far venire la pelle d’oca agli italiani…solo tanto, tantissimo freddo.
     

    E in effetti, oggi si sono registrate temperature particolarmente basse in buona parte della penisola: -6 gradi a Milano, -1 grado a Roma, 3 gradi a Bari. L’abbassamento della colonnina di mercurio ha portato con sé tanti fiocchi bianchi e qualche bufera di neve che ha mandato in tilt metà del Paese: strade chiuse, treni fermi, voli cancellati.
     

    Roma si è svegliata coperta da un manto bianco che, sebbene abbia reso ancor più meravigliosi i tesori della capitale aggiungendo quasi tocco magico al fascino storico, ha provocato, nel tardo pomeriggio, il blocco delle linee metrobus urbane di superficie e qualche grosso ingorgo in periferia e dentro la città.
     

    A Milano stamane è stato trovato il corpo di un cinquantenne senza vita nei pressi di Piazzale Kennedy, probabilmente un senzatetto morto per assideramento.
     

    A L’Aquila sono stati chiusi diversi caselli autostradali e a Perugia molte famiglie sono rimaste bloccate all’interno delle abitazioni.
     

    Ma se il traffico aereo si è pressoché decongestionato in tempi piuttosto brevi, continuano i problemi relativi agli spostamenti in treno: il freddo e le precipitazioni nevose degli ultimi giorni hanno provocato, sui binari di tutta Italia, disagi fortissimi: a causa del ghiaccio molti treni sono rimasti fermi per ore lungo la tratta, molte partenze sono state cancellate o rimandate mentre le stazioni ferroviarie si riempiono di chi, nella speranza di poter partire, aspetta. Inevitabile allora la tempesta di proteste mosse a Trenitalia e alle Ferrovie dello Stato: “come si fa a rimanere quattro ore fermi al freddo nel piazzale della stazione nell’attesa di sapere se il tuo treno partirà o no?” si chiede qualcuno, “è assurdo e inaccettabile che a causa della neve la maggior parte dei treni non parta” commenta chi si accorge che un gran numero di partenze è stato cancellato. Fa da eco alle proteste dei consumatori, quella di Giampiero De Toni, parlamentare dell’Italia dei Valori che durante una discussione alla Camera che vedeva coinvolta la Commissione Trasporti, asserisce “Il maltempo non può giustificare i vergognosi e intollerabili disservizi nei trasporti che si stanno verificando in questi ultimi giorni: l’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, venga urgentemente a riferire in Senato e si assuma le sue responsabilità su questi disagi da Paese del terzo mondo”. Le Ferrovie dello Stato d’altra parte, viste le forti e giustificate pressioni da parte delle varie associazioni dei consumatori, hanno già stilato un prospetto per i rimborsi dei biglietti destinati a chi ha rinunciato a partire e a chi ha viaggiato su treni con ritardi superiori a sessanta minuti.
     

    Ma il fastidio provocato dal maltempo non occupa solo i binari d’Italia, anche le strade e le autostrade sono state ghiacciate e innevate, sollevando non poche questioni rispetto a  un’economia che è già in ginocchio: l’ufficio studi della Camera di commercio di Monza e Brianza calcola in 140 milioni il danno alle imprese del Nord, mentre secondo Coldiretti le nevicate e il freddo dei giorni scorsi costeranno 10 milioni di euro al settore agricoltura, infatti il gelo non solo ha ghiacciato alcune colture da campo, ma ha anche imposto un aumento del costo di riscaldamento delle serre; ma a preoccupare sono soprattutto gli ostacoli alla circolazione con circa cinquantamila tonnellate di prodotti alimentari deperibili tra latte, fiori, frutta e verdura che quotidianamente lasciano le aziende agricole e le stalle per raggiungere stabilimenti e quindi negozi e supermercati con conseguente deprezzamento delle merci a seguito del caos nei trasporti.
     

    Persino lo sport ha risentito degli effetti del gelo e della neve, sono infatti stati rinviati alcuni incontri di calcio sia per la serie A (Roma-Inter e Cesena-Catania) che per la serie B (Gubbio-Modena e Sassuolo-Ascoli; a rischio anche Pescara-Reggina). Ma la delusione più grande arriva dal mondo della Formula1: oggi la presentazione della nuova monoposto Ferrari F2012 è avvenuta via internet visto che Maranello e le zone limitrofe sono state rese inaccessibili dalla neve.
     

    Né si prevede un miglioramento delle condizioni climatiche: domattina la città più fredda sarà Aosta, con 12 gradi sotto lo zero, Milano si sveglierà con -8 gradi e Roma con -4. Pare che questa ondata di freddo risulterà particolarmente intensa, tanto da definire questo periodo il più algido degli ultimi ventisette anni, né si esaurirà rapidamente visto che si prevede che questo gelo proveniente dalla Russia si intratterrà nel Belpaese sino alla metà di Febbraio. Unico eletto luogo d’Italia, dove il sole continua a splendere e la colonnina di mercurio oggi ha raggiunto i +16 gradi è la Sicilia che, inspiegabilmente, continua a non smentire la sua fama di terra del sole e del calore.

  • Fatti e Storie

    Se non ora quando? Attente il governo è cambiato, ma il Paese no

    “Quando una donna fa politica cambia la donna, quando tante donne fanno politica cambia la politica”. Queste le parole che hanno aperto la manifestazione romana dell’undici Dicembre. Protagoniste dell’evento sono state le donne del “Se non ora quando?” che, sempre più decise e severe, deviando il nome del comitato cui fanno capo, hanno denominato l’evento “Se non le donne chi?” e, ancora una volta, sono scese nelle piazze di tutta Italia da Torino a Messina.

    Quasi un anno fa, il tredici febbraio, le donne italiane, indignate dallo scandalo escort legato a Berlusconi ed esploso con il caso Ruby, si erano organizzate in una grande manifestazione (che, alla fine, aveva visto partecipi anche milioni di donne del resto del mondo) in cui rivendicavano il recupero di quella dignità di cui si sentivano private per colpa dei media e, ancor più, per colpa di un Presidente del Consiglio che si lasciava sorprendere in compagnie ambigue.

    Dieci mesi dopo, guardando alla scena politica italiana, non si vede più quel premier tanto chiacchierato e circondato da ministre bellissime;  ha lasciato il posto a un governo provvisorio al cui apice è posto un banchiere indaffarato nel tentativo di risollevare un’Italia sull’orlo del baratro. I tg e le varie trasmissioni televisive hanno ormai smesso di spergiurare quella temutissima crisi inevitabilmente arrivata, e ora si parla solo di Pil, di spread e di manovre finanziarie.

    Dieci mesi dopo, guardando alle donne italiane, però, non si vede alcun cambiamento. A Dicembre le donne manifestano come avevano manifestato a febbraio. Non c’è allora nessun mero anti berlusconismo come in molti, allora, avevano sospettato; c’è solo un autentico grido che chiede rispetto e non privilegio, che chiede un legittimo aiuto e non protezione, a favore di una categoria che ancora si vede penalizzata e screditata, a partire dall’immagine femminile che i principali mezzi di informazioni offrono alla fruizione: c’è chi le chiama donne-bambola, qualcun altro le chiama donne-oggetto, sono comunque donne che si propongono sorridenti e instupidite, donne che sembrano non essere in grado di formulare pensieri sensati: è innanzitutto contro questa immagine che le donne dell’undici Dicembre manifestano. In piazza, abbiamo infatti incontrato casalinghe, lavoratrici, pensionate, studentesse, mamme; persone pratiche, quotidiane, reali, concrete, persone che non risolvono problemi indossando dei tacchi a spillo ma rimboccandosi le maniche, persone che testimoniano che, fortunatamente, di donne-bambola e di donne-oggetto ne esistono veramente poche.

    Ma non è tutto qui, non mancano gli argomenti di sempre: da decenni, ormai, le donne rivendicano il loro diritto a non essere solo mamme e mogli o solo donne in carriera, esse desiderano essere tutte queste cose insieme, e, da decenni, continuano a spiegare che questo è possibile solo con l’appoggio delle istituzioni: “Il governo è cambiato, ma il Paese no. E le donne non vanno via, restano per dire che vogliamo lavorare, vogliamo avere bambini, ed essere al centro del piano di sviluppo. Diciamo al governo che il welfare delle donne non è una spesa ma un investimento. Chiediamo al governo di mettere le donne al centro dello sviluppo” è l’appello di Cristina Comencini, regista, sceneggiatrice e scrittrice; “si devono aiutare le donne a livello legislativo creando questi famosi asili-nido che sembrano inesistenti” spiega Giulia Bongiorno, deputato Fli. Ma probabilmente la richiesta più significativa arriva da una donna del comitato, Laura Onofri che spiega “In Italia le donne sono nel volontariato, sono nei movimenti, ma non sono nei luoghi dove si prendono le decisioni. Vi devono entrare. Così come devono portare le loro proposte in materia di lavoro, rappresentatività politica, immagine e informazione, i campi in cui, troppo spesso, sono discriminate”.

    Diversi gli interventi che, in rete, commentano le richieste e le dichiarazioni delle centomila manifestanti. Sul suo blog Piera, una delle tante blogger presenti su internet, scrive che “Il futuro è donna, in tutti i campi. E' sempre stata presente, determinando non poco. Ma la sua presenza sul piano decisionale, non è mai stata adeguata. Il suo apporto in sensibilità ed intuizione (le più grandi invenzioni hanno un fondamento intuitivo, diceva Einstein), è insostituibile, necessario. Una società sarà armoniosa, spiritualmente ricca, solo con il loro contributo determinante ed edificante. Facciamo loro spazio. Auguri”. Subito arrivano i commenti. “Se probabilmente in questi tempi di crisi, economica e morale la maggior parte di quelle donne fosse stata a casa a badare ai figli, una buona parte degli uomini disoccupati e con famiglia a carico, avrebbero trovato lavoro, sono di una generazione, il 1958, che ha visto lavorare quasi sempre una sola persona all'interno della famiglia, ci accontentavamo e tante idiozie (da figli) non le abbiamo fatte in quanto c'era chi si occupava di noi, adesso tutti e due i genitori devono lavorare per avere tutto e subito e questa società imbarbarita è il risultato di questa situazione” scrive Redjeff. Gli fa eco Klaus affermando “Datemi retta, coi tempi che corrono, se tutte voi donne urlanti rimarreste a casa a far qualcosa di utile sarebbe meglio per tutto, dalla circolazione stradale al bilancio famigliare”.
     

    Intanto, sempre in rete, compaiono alcuni durissimi commenti del Vescovo emerito di Grosseto il quale definisce le manifestanti “un concentrato di abortiste, libertine e divorziste, dedite alla più scatenata libertà sessuale e ora protestano. Ma che fanno, contestano il mondo stesso che seguono, la loro logica di vita? Capirei se fossero andate tutte in convento e agli esercizi spirituali, ma si dicono scandalizzate coloro che del corpo hanno fatto una bandiera […]che queste donne facciano le verginelle oggi mi pare esorbitante ed ipocrita, una cosa che non ci sta. In quelle piazze vi erano quelle della pillola del giorno prima, del giorno dopo, del divorzio, dell' utero è mio, e ora si lamentano di un gruppetto che veramente ha deciso di mettere in pratica quello che vogliono, ma siamo matti ? meglio andare in campagna coi figli”.

  • Fatti e Storie

    Roma. Addio Berlusconi Day

    “…siamo ancora in maggioranza. Abbiamo verificato in queste ore con numeri certi che la maggioranza c'è” dichiarava Berlusconi il sei Novembre. Un bluff? Una convinzione? Non ha importanza perché, solo due giorni dopo, la dichiarazione veniva inconfutabilmente smentita dai fatti: la Camera, con soli 308 voti a favore, negava il suo appoggio al Presidente del Consiglio: era l’inizio della sua fine.

    Durante i due giorni successivi le notizie relative alle eventuali dimissioni di Berlusconi si  susseguivano copiose: non appena se ne dichiarava l’imminenza, arrivava, rapidissima, la smentita, e l’Italia fremeva nell’attesa dell’inconcludenza. Qualcuno era convinto che il premier non avesse alternative, e qualcun’altro, sconsolato, sospirava “non cederà mai!”; sino alla chiarificatrice dichiarazione di Napolitano: “non esiste alcuna incertezza sulla scelta del Presidente del Consiglio di rassegnare le dimissioni”, aveva detto.

    Per Sabato 12 Novembre era stata fissata la data fatidica. La tensione in Italia cresceva, sia presso le sedi politiche sia per le strade della capitale. Le community on line pullulavano di eventi che organizzavano un sabato all’insegna dei festeggiamenti: su Facebook si diffondevano eventi dal titolo “Festa Nazionale DIMISSIONI BERLUSCONI”, “bye bye Baby - "ADDIO BERLUSCONI" DAY (appuntamento dopo le dimissioni!)”, “Stappa uno spumante dopo le dimissioni di Berlusconi!” e moltissimi altri.

    Già dalle prime ore del pomeriggio del tanto atteso 12 Novembre, Piazza Colonna è occupata da un gruppo di cittadini e curiosi che, nell’attesa che il decreto di stabilità finanziaria venga approvato, levano cori ironici rivolti al Presidente del Consiglio.
     

    La vera folla si raduna però, intorno alle 18:00, nella piazza del Quirinale. Un gran numero di persone di tutte le età aspetta impaziente l’arrivo di Berlusconi, e, minuto dopo minuto, aumenta visibilmente di mole, c’è persino chi si arrampica lungo i lampioni e sulle finestre dei palazzi che danno sulla piazza per poter guardare meglio la scena che già pregusta. Nell’attesa si intonano canti partigiani e patriottici e un’orchestrina esegue l’Alleluia di Hendel. Il piazzale è stracolmo, solo l’ingresso principale è completamente sgombro, protetto da una barriera di carabinieri.
     

    Finalmente, intorno alle 21:00 Berlusconi arriva al Colle. La sua automobile, scortata dai carabinieri, raggiunge a fatica il portone d’entrata. E’ un arrivo tutt’altro che tranquillo: Berlusconi è accolto da fischi e cori, i cittadini urlano “mafioso!”, “buffone!”, qualcuno lancia delle monetine, un gesto che immediatamente rimanda la memoria indietro di 17 anni, quando a Craxi, nell’uscire dall’Hotel Raphael, fu riservato lo stesso, simbolico, insulto. Berlusconi è entrato al Quirinale e la piazza freme: i minuti sembrano interminabili e l’atmosfera è calda. Si sventolano i tricolori, si canta “Bella ciao” e l’Inno di Mameli con voce ferma e forte, i cori irrisori nei confronti di Berlusconi non si arrestano. Ora la folla grida anche “Fuori… fuori!”, “Dimettiti!”, “Firma!”.

    In moltissimi sono a tenere in mano bottiglie di spumante, e, con gli smartphone si controllano continuamente diversi siti on line nell’impazienza di sapere cosa stia succedendo all’interno del dell’edificio che ormai tutti tengono d’occhio: alla domanda “cosa c’è scritto?” si risponde sempre delusi e ansiosi “niente…stanno trattando”. Poi, improvvisamente, un boato. “Si è dimesso” urla la piazza. Le bottiglie vengono stappate, si brinda alla “liberazione”; vengono issati cartelloni su cui si legge “BABBO NATALE…GRAZIE (IN ANTICIPO)”, “E’ ARRIVATA LA TUA ULTIMA ORGIA”, “OGGI E’ IL 25 APRILE”; il pavimento si colora di coriandoli e nemmeno per un momento si smette di cantare: la piazza vive una gioia surreale, qualcuno indossa una maschera del volto deturpato di Berlusconi e assumendo la posa di un galeotto, con i polsi incrociati, si lascia fotografare. Neppure mancano trenini, lunghissimi e festosi, simili a quelli dei veglioni di capodanno, né caroselli di auto e scuter addobbati con striscioni e bandiere tricolore che scorrazzano, facendo suonare i clacson, per le vie del centro della città.
     

    Ora si attende l’uscita dell’ormai ex premier, ma si attende vanamente. Berlusconi ha lasciato il Quirinale attraverso un’uscita secondaria dove ha incontrato un piccolo gruppo di sostenitori che gli manifesta solidarietà acclamando il suo nome.
     

    Risalito in auto, Berlusconi si dirige a Palazzo Grazioli. Anche qui, però, ad accoglierlo al suo arrivo è una folla urlante: ancora “Buffone!”, “Mafioso!.

    Le finestre della facciata principale del palazzo rimarranno buie e Berlusconi non si si farà vedere; quindi, gradualmente, la folla si disperderà.
     

    All’indomani della rassegnazione delle sue dimissioni, Berlusconi decide, comunque, di lasciare all’Italia un videomessaggio girato a Palazzo Chigi e andato in onda a reti unificate: l’ex premier definisce l’aver rassegnato le proprie dimissioni un gesto responsabile e generoso, un gesto nato dal suo “senso dello Stato… per evitare all’Italia un nuovo attacco dalla speculazione finanziaria”. Poi, rivolgendosi a chi il giorno precedente aveva riempito le strade e le piazze di Roma afferma “E’ stato triste vedere che un gesto come le dimissioni sia stato accolto con fischi e con insulti….a quanti hanno esultato per quella che definiscono la mia uscita di scena voglio dire con grande chiarezza che da domani raddoppierò il mio impegno in Parlamento e nelle istituzioni per rinnovare l’Italia”.
     

  • Fatti e Storie

    Roma. Dentro quel corteo che voleva urlare all'umanità

    Da giorni ormai, lungo i corridoi della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università la Sapienza, e in particolare sulle pareti dell’aula VI, quell’aula quasi perennemente occupata dagli studenti che organizzano assemblee e manifestazioni, erano affissi decine di cartelloni in bianco e nero su cui si leggeva “15 OTTOBRE – RISE UP”.

    Non c’era bisogno di ulteriori spiegazioni, perché alla vista di quei cartelloni tutti immediatamente ne comprendevano il significato: ci si dava appuntamento, al giorno  15 Ottobre a Piazza della Repubblica, per manifestare l’indignazione nei confronti delle ultime manovre politiche. Impossibile non parteciparvi!
     

    Il corteo sarebbe partito dalla piazza alle 14:00. Al mio arrivo, circa mezz’ora prima, l’intero piazzale era talmente colmo di manifestanti che molti, non trovandovi spazio, avevano deciso di attendere all’interno dei bar attigui l’inizio della manifestazione: era come se quella piazza, che non avevo mai visto tanto viva e rumorosa, stesse per scoppiare!

    Alle 14:00 un primo, foltissimo, gruppo di manifestanti aveva lasciato la piazza e si muoveva,  colorato e innocuo verso via Cavour lasciando, a chi era rimasto costretto nei bar, lo spazio per poterne uscire. Quando la prima parte del corteo marciava già verso il Colosseo, io insieme a un’innumerevole folla ero ancora ferma al punto iniziale e aspettavo che, via via, il corteo fluisse e iniziasse a sgomberare la piazza.

    Dopo circa mezz’ora ero riuscita a lasciare Piazza della Repubblica trascinata da un fiume di manifestanti più animati che mai. Seguivo un corteo che non aveva un target d’età o di occupazione: studenti, precari, disoccupati, ma anche lavoratori e bambini seduti sulle spalle dei genitori, marciavano tutti insieme. Sui loro volti potevo leggere non solo l’indignazione ma soprattutto la fermezza degli ideali che in quelle ore volevano manifestare, e sui loro cartelli potevo leggere l’espressione di quell’indignazione e di quella fermezza: “non staremo zitti”, “non siamo merce nelle mani di politici e banchieri”, “sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più”, “indignato per ‘sto mondo speculato”, e il più popolare “noi il debito non lo paghiamo”. Tra i fischi e gli slogan urlati a squarciagola quella folla innumerevole si muoveva lentamente e a fatica, sicura e compatta, tenuta insieme dalla voglia e dalla speranza di poter cambiare le cose.
     

    Non avevo ancora imboccato via Cavour quando i fischi di protesta si placano per dare spazio a una voce secondo cui, lungo il tragitto, erano state date alle fiamme delle automobili ed erano stati infranti i vetri di alcune banche. “Chi è stato?”, “Perché l’hanno fatto?”, “Sono stati fermati dalla polizia?” ci chiedevamo tutti sconcertati. In realtà, personalmente mi rifiutavo di credere a quelle voci, soprattutto perché, la zona che stavo attraversando non recava segni di violenza, e i cordoni che la polizia aveva formato sembravano efficaci ed efficienti.
     

    Il corteo, comunque, anche se molto a rilento, continuava a muoversi, ma il tam tam di notizie non si arrestava: ora sentivo dire che la testa del corteo era già arrivata a Piazza San Giovanni, e poco dopo arrivava voce che un gruppo di ragazzi, aveva dato origine a una guerriglia proprio davanti alla Basilica di San Giovanni e che la polizia era già intervenuta, ma che per questo motivo la destinazione finale del corteo era stata deviata al Circo Massimo: “non è possibile, era stato precisato più volte che la manifestazione si sarebbe svolta nella calma e nella tranquillità”, “che senso ha una guerriglia a San Giovanni considerando che quello sarebbe dovuto essere il punto d’arrivo del corteo e considerando che proprio lì avrebbe dovuto svolgersi un’assemblea?” ci si chiedeva incerti.
     

    Ho continuato a seguire il corteo che conservava tutta la sua mole di partecipanti. Improvvisamente, lungo la strada, ho sentito le sirene spiegate della polizia e immediatamente dopo degli scoppi: si diceva che si trattava di petardi e bombe carta… quelle voci cominciavano allora a diventare concrete, e pian piano si spargeva la paura. Le persone che avevano deciso di prendere parte alla manifestazione insieme alla propria famiglia iniziavano a staccarsi dal corteo, ma la maggior parte dei manifestanti decidevano di rimanere, e di continuare a dimostrare quanto fossero “indignados”, e anch’io, un po’ meno serena di prima, ho continuato a seguire la marcia.
     

    Lungo il corteo, tra i fischi e le urla, si sentivano continuamente notizie frammentarie circa gli avvenimenti di Piazza San Giovanni; all’altezza del Colosseo, però, ho alzato lo sguardo sopra la folla, ed è stato quello il momento in cui ho capito che stava succedendo qualcosa di grave: non molto lontano, proprio in direzione di Porta Maggiore, una colonna di fumo nero si stava alzando lentamente al cielo: di cosa poteva trattarsi? Nessuno ne aveva idea, ma si ipotizzava veramente qualunque caso.
     

    Stanca, preoccupata e incuriosita, ho deciso così di tornare a casa. Nell’attesa che il mio computer si avviasse ho acceso la televisione nell’impazienza di avere notizie: quasi tutte le maggiori reti televisive trasmettevano scene spaventose: Piazza San Giovanni era invasa da un gruppo di ragazzi che, coi caschi in testa e il volto coperto da sciarpe, l’avevano presa d’assedio: i giornalisti in tv spiegavano che si trattava di ragazzi tra i quindici e i vent’anni che si erano infiltrati nel corteo e fin da subito avevano agito in maniera violenta dando fuoco ad automobili, distruggendo vetrine, deturpando i muri con bombolette spray. Erano poi arrivati nei pressi della Basilica dove le forze dell’ordine avevano tentato di farli disperdere, ma anche qui, avevano perseverato nel vandalismo: vedevo in tv ragazzi col volto coperto sradicare i sanpietrini da terra e scagliarli contro i poliziotti, li vedevo lanciare fumogeni, li vedevo armati di spranghe (probabilmente cartelli stradali distrutti) rivolgersi con fare arrogante e provocatorio ai caschi blu, e vedevo questi ultimi caricare senza violenza su chi aveva provocato tutto quel caos. Vedevo immagini di auto che bruciavano, e vedevo esplodere una camionetta dei carabinieri data alle fiamme: purtroppo le voci che avevano percorso il corteo pacifico di cui avevo fatto parte fino a poco prima erano veritiere!
     

    Anche la rete era piena di articoli, testimonianze, fotografie, video che riportavano i disordini che si erano verificati a Piazza San Giovanni…ma perché nessuno spendeva una parola per quella parte, la maggior parte, dei manifestanti che pacificamente avevano camminato lungo le vie del centro della città armati solo di fischietti, cartelloni, e coscienza sociale e politica? Per un momento ho avuto la sensazione di essere stata fraintesa, o peggio, di non essere stata considerata: sapevo di aver partecipato a qualcosa di importante e valido, ma adesso i media davano spazio solo a quella colonna di fumo nero che aveva offuscato i colori della manifestazione dei veri indignados! Pur essendo consapevole che mediaticamente il suono dei vetri rotti fa più rumore delle urla di migliaia e migliaia di persone non capivo come fosse possibile che le intenzioni di un corteo tanto numeroso fossero scavalcate e celate da quei sintomi di ignoranza e pusillanimità.
     

    Quella sera sono andata a dormire con le parole urlate all’unanimità durante la protesta ancora nelle orecchie, e con quell’odiosa sensazione di amarezza e di sconfitta.

  • Art & Culture

    Otto, Champion of Justice

    Aristotle said: “Anthropos zoon politicon”, “Man is a social animal”... without a doubt the formula elaborated by the Greek philosopher holds an important political truth but its social and human value is undeniable. For a few decades now, with the advent of new technologies, the meaning of “community” has somehow changed, it seems to be ignored or rather to have dissolved in individualism. There is, although, an urgent need to reestablish the original importance of community.

     
    And the need to resurrect the sense of community as a topic, is the focus of IN THE PLACE WE LIVE, an art show held at the M55 Art Gallery, by curators Carolina Penafiel and Assa Bigger with the support of the Queens Council on the Arts. The show features the work of several artists all living in Long Island City (residence in that specific neighborhood was mandatory) and who want to express, each in their own way, the meaning of community.
    Assa Bigger has explained that the works of art showcased have not been selected with specific aesthetic or thematic criteria, but they extended the invitation to participate to all local artists as long as they were local. At the moment the artists are sixty five but “the number can change any minute. Because we have started a few new collaborations so if they are up to it they can join the show at any time. This means if more artists get inspired and want to bring in their art they are more then welcome to. They can bring in a painting, a photo or a sculpture, or they can sing, dance, perform a piece of theater or recite a poem out loud, anything that helps them express themselves.”
     
    Among paintings, 3D creations, videos, pictures there is something that simply is different from all the rest... something with a very clear message that leaves nothing to interpretation. Two Italian artists, Annalisa Iadicicco, photographer and multimedia artist and Natasha Lardera, writer and journalist, have collaborated in producing a photographic comic book (Ottowatch, for a crime-free and secure community) that tells the story of Otto, Annalisa's real life rat terrier, who is the neighborhood's hero.

     Otto, wary and stubborn in everyday life, is courageous and valiant when he sniffs danger approach thus he is founded Ottowatch, a canine community watch program with the goal of ensuring legality and social cohabitation.
     
    Otto and his neighborhood friends go on rounds checking the street with the support of the Local Precinct who welcomes the extra help in protecting the community. Otto, sarcastic and wise cracking, notes with disdain the problem of garbage on the street and of recycling, but most of all he shows his courage through his “Otto Attack”, when he literally attacks a burglar who's trying to break into a house. The dog-hero captures the readers' hearts because, satisfied and full of himself, after having beaten the burglar and having had the police come get him, he then roams the neighborhood streets looking for cuddles and love, a, inconclusive search that leaves him thirsty for more. At the end of the story, Otto, who gets his missions from the local newspapers, reads that something “bad” is happening in Chelsea: “the city needs me,” he states with affirmation” as he embarks on a new adventure... (and literally takes the ferry to get to Manhattan).
     
    Both the images and the text make the photographic comic book dynamic and fast paced: the photographs, mostly taken using a wide lens, show the reader what Otto sees, everything is seen through his eyes thus permitting him, an animal, to appear more human. This means that the text is not simple narration but it is the dog's voice, what he thinks, sees and says. He and the dogs who are part of his watch use very colloquial, slang dialogue while some sentences are just broken and unfinished.. there even are some words in Italian (translation is provided at the bottom of the page) because Otto was raised in a bilingual household... the Italian really works and adds a bit of humor.
     
    The writer, Natasha Lardera, explained that the whole idea was born: “Annalisa had this idea to do a story seen through the eyes of her dog, then we heard about the art show and we thought of doing something specific for it. The theme was community so I put the two things together: a dog in his community and the word “watchdog” popped up. So I thought of Otto as a dog who watches for the safety of his community and Ottowatch was born!”
     
    This is definitely a work of fiction but it is given a touch of truth by the use of real life events: indeed the issues Otto has to deal with are real: “A group of dogs is sent to the public library to make sure a rally is under control,” Natasha continues “the rally really did take place, as well as other events mentioned in the story such as the opening of the Z hotel and TV shows been shot at Silvercup Studios.”
     
    The readers' reaction has been very positive, they have embraced the story and the character. Some liked it so much that they even stole the books from the gallery!