Il Festival è del popolo. New York, Marlon Brando e i nuovi autori del documentario

Vincenzo Ruocco (May 28, 2009)
La rassegna cinematografica in corso nella Grande Mela celebra per il secondo anno il genere che più di ogni altro sembra riuscire ad illustrare tutti gli aspetti della realtà, compresi quelli rimasti screditati dalle produzioni mainstream

Il New York Documentary Film Festival organizzato e prodotto dalla Fondazione Fitzgerald di Firenze e dal Festival dei Popoli, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura attraverso la figura del direttore Renato Miracco e dell’addetta culturale Art&Cinema Simonetta Magnani, la Mediateca Regionale Toscana Film Commission attraverso il direttore Stefani Ippoliti e la Regione Toscana, Toscana Promozione e Anthology Film Archives è giunto al secondo anno di vita.

Grande interesse e partecipazione fin dal primo giorno, un successo garantito dall’alta qualità delle opere e dalla capacità di stimolare e proporre l’arte cinematografica del documentario, considerata spesso di nicchia eppure capace di richiamare un pubblico variegato composto da differenti nazionalità e perc

orsi formativi eterogenei.

Questa seconda edizione del Festival entra di diritto a far parte del processo di sviluppo che investe il Festival dei Popoli di Firenze, celebrando così l’anniversario dei 50 anni attraverso la diffusione della ricca collezione di film stranieri che ad esso appartengono.

Fondato nel 1959, il Festival dei Popoli è dedicato alla promozione del documentario cinematografico attraverso la collezione che gli è propria, una collezione cresciuta in questo mezzo secolo divenendo una vera miniera di film documentari che hanno scritto la storia della narrativa cinematografica non di finzione.

L’obiettivo si posa su una figura mitica del Festival, un regista partecipe da sempre e ancora curioso di sperimentare e di raccontare; il documentarista Albert Maysles.

Davvero sempre gradito e spesso presente nel corso delle edizioni del Festival fiorentino, Maysles ha aperto personalmente i cinque giorni dell’evento con la proiezione del suo “Meet Marlon Brando”, un documentario in cui dipinge un ritratto più che mai insolito del grande attore americano.

L’occasione per quest’opera fu colta dal regista nel 1966, anno in cui Brando si mise a disposizione dei giornalisti in favore del film Morituri (1965) dall’interno dell’Hampshire Hotel di New York. Accettando di partecipare ad una maratona di interviste durante l’arco di un’intera giornata, si mise a disposizione dei tantissimi giornalisti, non solamente di grossi networks televisivi ma anche di piccole TV locali sparse per tutto il Paese, presenti o giunti nella Grande Mela.

Se in quegli anni Brando si proiettava come una delle stelle cinematografiche meno conosciute, questo documento storico ne rivela un lato inedito, più che mai vivace, giocoso, solare, vero principe di un sarcasmo pungente solo pochi anni più tardi, tristemente maestro nell’autodistruzione fisica e professionale negli ultimi decenni di carriera, quando forse la parola carriera già sembrava essere desueta in riferimento a lui, da molti ritenuto il più grande attore di tutti i tempi.

Al Pacino asserì, dopo aver lavorato assieme sul set de “Il Padrino”, di aver avuto la sensazione di recitare con Dio.

Un pubblico estremamente divertito dalla capacità di non prendersi sul serio che Brando instilla in ogni momento del documentario, dalla sua mimica facciale, da quegli sguardi diretti all’interlocutore prima, e alla macchina da presa poi, dall’evadere le domande e controbattere, dal corteggiare le belle giornaliste, dall’imitare un rude reporter texano e dal rispondere in altre lingue con una capacità che non ci si aspetta, dal francese al tedesco.

Alla termine della proiezione i commenti a voce alta degli spettatori, contenti, sorridenti. E quante considerazioni, quante domande poste tra loro su quella figura mitica che il tempo potrà solo rendere ancora più unica. Fuoriuscendo lentamente dalla sala ci si ritrova a chiedersi quanta intelligenza ci fosse in quell’uomo, perché è vero il talento non basta, il talento non è tutto. Ricordiamo un Bernardo Bertolucci distrutto alla notizia della morte di  Marlon Brando che per lui era stato il protagonista di “Ultimo tango a Parigi”. Nelle parole di Bertolucci il ricordo di un uomo fuori del comune, lui che di Brando disse essere una delle persone più dolci che avesse mai conosciuto.

Ma certamente è giusto anche ricordarlo così, uomo maturo sorprendentemente bello e affascinante.

Il Festival non si ferma qui ma anzi continua in questi giorni con l’obiettivo che si è proposto fin dal primo anno, rendere protagonisti i documentari d’autore.

Attraverso un totale di 18 film il tentativo dichiarato di descrive la realtà e la storia filtrandola attraverso l’estetica personale dei differenti registi, questa la forza della manifestazione newyorkese.

Oltre al “Tributo ad Albert Maysles” si potrà godere anche di “Cronache Italiane”, una selezione delle opere giunte dall’Italia, firmate dai tre documentaristi Alina Marazzi, Leonardo Di Costanzo e Bruno Oliviero. Sei lavori che, sebbene ognuno di essi costituisca la testimonianza più verace dello stile personale di ogni autore, insieme si inquadrano nel panorama della quotidianità italiana a partire dal 1970 ad oggi.

Infine “50 anni di documentario (50!).”

Dall’archivio del Festival dei Popoli una selezione di nove dei migliori documentari degli ultimi 50 anni. Anche in questo caso con l’obiettivo di mettere in evidenza autori internazionali come Agnès Varda (regista francese), Alan Berliner (regista americano), Artavazd Pelechian (regista armeno) e Volker Koepp (regista polacco).

Di seguito il link alla programmazione giornaliera del Festival:
http://www.thefgf.org/film_schedule.html

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