Napoli. Tra rimpianto e presente

Gennaro Matino (July 09, 2015)
Non è una novità per questa nostra malata città guardare al passato più che darsi una visione di futuro, non è una sorpresa che Napoli sia endemicamente affetta da struggente rimpianto, un suadente desiderio di trovare altrove, forse nel passato, la soluzione ai guasti del suo presente. Napoli e il suo rinascimento morivano mentre venivano annunciati. Napoli non ha mai avuto una visione. La vittoria di uno scudetto o la riconquista di piazza del Plebiscito, raccontano un'emozione, certamente significativa, non un progetto a lungo respiro. La via di ogni liberazione passa attraverso il gioco faticoso della verità che arriva dal passato giocato nel presente


BASSOLINO e Maradona sono ridiscesi in campo insieme per strana coincidenza, inconsapevole coppia che ha riacceso il dibattito su un passato pesante per Napoli, provocando, come era da aspettarsi, contrastanti giudizi. Succede sempre così in tempo di trasformazione, quando in città o nel club si inaugurano scenari di possibili mutamenti, la stessa musica di sempre accompagna la danza: "Quando c'era lui!". Nel nostro vocabolario la parola che più si avvicina a questo stato d'animo, per più di qualche napoletano quasi una protesi psicologica permanente, è nostalgia, un desiderio ardente di rivivere situazioni già trascorse.


Milan Kundera nel suo romanzo "L'ignoranza" parte dall'analisi etimologica della parola, che vede essere composta dal greco nòstos, che significa ritorno, e àlgos che invece significa sofferenza. Dunque la nostalgia sarebbe provocata dal sofferto desiderio inappagato di ritornare a ciò che si è perduto. Non è una novità per questa nostra malata città guardare al passato più che darsi una visione di futuro, non è una sorpresa che Napoli sia endemicamente affetta da struggente rimpianto, un suadente desiderio di trovare altrove, forse nel passato, la soluzione ai guasti del suo presente.


Gli spagnoli la chiamano anoranza che proviene dal verbo anorar dal catalano enyorar: tutto dal latino ignorare. Quindi la nostalgia non sarebbe altro che la sofferenza dell'ignoranza: so quello che ho perso, perlomeno penso di saperlo, e non so quello che mi aspetta. Certo la storia è maestra di vita e vale sempre la pena fare i conti con le esperienze già date, ma in realtà questo sguardo all'indietro non è uno sforzo di umiltà e verità, piuttosto è una fuga oppiante. Maradona e Bassolino, per chiamare in causa gli ultimi ignari e incolpevoli attori di questa vicenda (di Bassolino si vocifera ogni tanto di un ritorno in campo), hanno segnato ognuno nei loro rispettivi ambiti momenti esaltanti per Napoli, entrambi sono stati profeti e attori di quello che qualcuno ha chiamato il rinascimento della città. Eppure entrambi sono il simbolo della miopia progettuale di questa nostra malata città, che lascia il tempo consumarsi alla sua emozione momentanea senza dare progetti al futuro.


Napoli e il suo rinascimento morivano mentre venivano annunciati. Napoli non ha mai avuto una visione. La vittoria di uno scudetto o la riconquista di piazza del Plebiscito, raccontano un'emozione, certamente significativa, non un progetto a lungo respiro. La via di ogni liberazione passa attraverso il gioco faticoso della verità che arriva dal passato giocato nel presente insieme al tempo della profezia futura, un'alleanza di significati che diventa necessaria quando le parole del passato, dettate dalla convinzione di essere ormai arrivati, si perdono nel silenzio assordante del nuovo che avanza, che si cerca di acchiappare, e finalmente lasciano spazio alla «futurologia di senso».


Il tempo della crisi che oggi viviamo a Napoli e che sembra intramontabile è caratterizzato dalla paura diffusa di non farcela, soprattutto manca il coraggio del futuro. Benché sia difficile gridarlo quando i venti sono contrari, è di ogni buon marinaio augurarsi di avvistare la terraferma in mezzo alla tempesta. Purtroppo, in una situazione estremamente complessa come quella che sta attraversando la città, anche persone responsabili e competenti soccombono alla tentazione di rimuovere la crisi ritornando al passato.


La profezia, invece, come ogni sguardo aperto all'utopia, è ricerca di un futuro migliore fra i vari possibili. Non è fuga intellettuale dalla responsabilità di costruire il futuro, ma analisi scientifica e poetica del tempo per proiettare in avanti il meglio. Non sempre l'utopia può guardare al futuro positivamente ma, consapevole della possibilità insita nella trasformazione di una società, può indicare ragionevoli percorsi per permettere al bene di diffondersi nel modo più libero. Se tale orientamento si trasforma in azione, costringe gli eventi a mutare l'ordine esistente. L'utopia nasce proprio quando la realtà mostra un divario troppo marcato tra il socialmente vissuto e il desiderato possibile ed è qui che nasce il tempo alto della politica, ed qui che si passa dal rimpianto alla ricostruzione della città.

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