Perchè la ‘bella politica’ non voli nel vento

C'era una volta un'Italia diversa, l'Italia di “Quando c'era Berlinguer”, il film di Walter Veltroni uscito nelle sale italiane. Lo abbiamo visto, sia a New York che a Roma. In quest’articolo ci siamo divertite a mettere insieme alcune riflessioni ed osservazioni - tra due oceani - sul film

Due luoghi per vedere un film. A New York presso la Casa Italiana Zerilli-Marimò (NYU) e a Roma. Sugli schermi “Quando c'era Berlinguer”, film scritto e diretto da Walter Veltroni.

Nella capitale d'Italia siamo andati a vederlo in un cinema di periferia, sorprendendoci piacevolmente per i posti sold out, con spettatori trasversali, giovani e meno giovani, gruppi di amici, parecchi cinquantenni, sessantenni che si guardano intorno prima dell'inizio del film, quasi a cercarsi, come dei “sopravvissuti” di una stagione irripetibile, nel bene e nel male.
A New York il film è stato presentato, in un auditorio stracolmo, tra accademici, studenti, giornalisti, ospiti eccezionali come l’archichetto Renzo Piano. Anche il Console Generale, Natalia Quintavalle, era presente in sala. Grande curiosità e attesa quindi.

E seduto a rivedere il suo film, tra tutti, lo stesso Walter Veltroni. In un altro lato della sala, anche la figlia. Martina Veltroni vive e lavora a New York, ha studiato cinema e, ci ha confessato il padre,  gli dato validi consigli sul film.

Una volta spente le luci, e partite le immagini, in entrambe le sale (Roma/NewYork) fa un certo effetto l’immediato silenzio assoluto del pubblico, catturato sin da subito dalle scene.

Sembra di assistere a due narrazioni che si intrecciano e si completano a vicenda: la biografia di Enrico Berlinguer, raccontato nel periodo della segreteria, dai primi anni Settanta fino alla morte, l'11 giugno del 1984; l'affresco realistico, a tratti poetico, di un momento della storia del nostro  Paese in cui le giovani generazioni di allora vivevano di speranze.

Speranze che ben presto sarebbero state spazzate via dalla morte del leader del PCI durante il comizio a Padova e dagli eventi, che avrebbero portato alla fine della Prima Repubblica e al ventennio berlusconiano, fino ai giorni nostri.

Ma il film comincia con l’Italia di oggi che, vista da New York, provoca una reazione ancora più disarmante. Veltroni propone infatti un'impietosa carrellata di giovani, molti dei quali studenti universitari, che, interrogati su chi fosse Berlinguer, danno risposte assurde, talvolta surreali. Annaspano visibilmente e mostrano di non avere idea di cosa fosse quell'Italia di soltanto alcuni decenni fa.   C'è chi pensa che Berlinguer sia francese, a causa di quella “r” finale del cognome, c'è chi lo prende per coreano…

Per fortuna, arriva subito dopo la struggente testimonianza di Marcello Mastroianni, un altro gigante di un'Italia che non c'è più. L’attore cita un antico proverbio navajo: “Tutto ciò che dimentichi ritorna a volare nel vento”.

Il racconto di Veltroni si snoda attraverso immagini di repertorio e commenti fuori campo, con testimonianze e ricordi, da parte di personaggi del calibro di Giorgio Napolitano, il quale chiude il suo intervento commuovendosi fino alle lacrime, e ancora Mikhail Gorbachev, Eugenio Scalfari, Pietro Ingrao, Emanuele Macaluso, Aldo Tortorella, e tanti altri, sino a chi gli è stato semplicemente vicino, come il caposcorta Alberto Menichelli o la figlia Bianca.

Insieme alla narrazione degli eventi e dei personaggi del tempo, lo spettatore si trova davanti il ritratto di un uomo timido, riservato e allo stesso tempo coraggioso, in grado di imprimere al PCI un mutamento radicale rispetto alle posizioni precedenti riguardo all'Urss, con il rifiuto della sudditanza a Mosca e l'avvicinamento all'Occidente, tanto da incappare in un attentato durante un viaggio in Bulgaria dal quale esce illeso per miracolo.  

L’uomo diventa politico ed il politico diventa uomo. In una clip di un’intervista, Gianni Minoli, gli chiede quale sia la cosa che gli da' piu' fastidio. Berlinguer risponde: "Il fatto che dicono che sono triste... non è vero".

Sullo schermo l’uomo viene raccontato con tutta la sua serietà, ma anche la sua dolcezza, il suo carattere introverso. Ed ecco le passioni, l'amore per il mare, il  legame con la Sardegna, sua terra d'origine.

Nel film diverse voci e immagini d’epoca. Il leader Berlinguer è timido ma fermo, facile da sentire vicino persino quando sembra lontano sul palco di una piazza, amato anche da quelli che non la pensavano nello stesso modo. E non a caso tra le voci che parlano di lui, anche quella di Giorgio Almirante, leader del Movimento Sociale (il partito della destra neofascista di allora).

Berliguer fu coraggioso fino a prospettare l'idea di un'alleanza con la Democrazia Cristiana, partito da sempre avversario. Veltroni racconta anche la solitudine di Berlinguer dopo l'assassinio di Aldo Moro: entrambi perseguivano, appunto, l'idea del “compromesso storico”, un disegno politico che avrebbe rappresentato una svolta storica nel panorama nazionale e internazionale, un progetto che fu spezzato dalle Brigate Rosse e dai tragici eventi successivi al rapimento di Moro.

Il film si conclude con le immagini drammatiche del comizio di Padova e con i funerali di San Giovanni, spartiacque di un’epoca. In tanti, tra coloro che affollavano Piazza San Giovanni a Roma e tra i milioni di italiani nelle proprie case davanti al televisore, piangevano, più o meno consapevoli che con Enrico Berlinguer se ne andava un modo “alto” di fare politica, che un'epoca si stava concludendo per sempre.

Per dirla con Jovanotti, altro personaggio presente nel film, con la morte di Berlinguer “finisce quel Partito comunista, finisce la parola comunista, perché in Italia la parola comunista è Berlinguer”.

Le luci del cinema si accendono mentre scorrono i titoli di coda. Emozione ed occhi lucidi a Roma, soprattutto nei “sopravvissuti”, insieme a tanta amarezza nel pensare a quel che si è perso e a cosa sia l'Italia di oggi, così antropologicamente lontana da quella sperata dalle giovani generazioni di quegli anni.

Gli spettatori escono dal cinema e si immettono nelle arterie della Capitale. Il grande dolore collettivo del funerale di Berlinguer, nelle scene finali del film, sembra attraversare anche la città. Una Roma sofferente di periferia.

A New York, è diverso. Sui titoli di coda parte un lungo applauso interrotto solo dalla voce del padrone di casa, Stefano Albertini, direttore della Casa Italiana Zerilli-Marimò.

Walter Veltroni è invitato a salire sul palco. Con lui il giornalista-scrittore, professore di cinema, Antonio Monda.  Gli chiede subito di parlare del suo rapporto con la telecamera. Tra cinema e politica. Dopo risponderà alle domande del pubblico. Saranno domande più legate a dettagli di eventi politici che all’iter del film. E questo ci dispiace un po’.

Divertente comunque la storia di Veltroni giovane sulla prima immagine girata per questo documentario, filmata quando aveva quindici anni. “La feci con una telecamera Canon, nel 1975 mentre ero in piazza per Berlinguer.” 

Tornando al presente dice: “La mia vita è entrata in una fase diversa, ho fatto un film su Berlinguer come atto di gratitudine personale”. Poi ricorda che, anche se non ha più responsabilità di potere, non smette di avere passione per la politica. Ed è forse proprio questa passione per la politica il primo messaggio che il film trasmette. Veltroni lo riesce a trasmettere così bene da provocare il desiderio di tornare indietro nel tempo. Ma di questo rischio lui è consapevole, e avverte: "Quando si ha nostalgia della Prima Repubblica si sbaglia. Va ricordato che era fatta di Sindona, di Calvi, dell'assassinio di Aldo Moro. Rapito probabilmente dalle Brigate Rosse, ma lasciato morire da tanti. Perché quello che dice Eugenio Scalfari nel film è verità. Undici su dodici del comitato che indagava per liberare Moro facevano parte della Loggia massonica P2.”

E incalza ancora: “Se ho nostalgia di persone come Berlinguer e Moro? Ho ammirazione più che nostalgia”. Ma cosa resta di Berlinguer?  “Due cose essenziali: l’idea della politica. Poi il coraggio. Quando Berlinguer diceva che si stava meglio sotto l'ombrello della Nato,  nel partito non applaudivano. Proponeva di allearsi con la DC, avversaria per 40 anni, e non è che ci fossero le bandiere che sventolavano.  Aveva coraggio, quello che lo portò a Mosca per pronunciare quel discorso dello "strappo". La storia è anche molto divertente. All'inizio gli dicono che può parlare dieci minuti all'anniversario della Rivoluzione di Ottobre, anzi 12 minuti perché lui rappresenta il grande Partito comunista italiano. E lui consegna il testo del discorso. Ma alle quattro del mattino bussano alla sua dacia e gli comunicano che per un problema  organizzativo potrà parlare solo sei minuti. I sovietici speravano che riducendo il tempo della metà lui tagliasse una certa parte… E invece lui lasciò solo quella parte! E fece quel discorso che adesso a noi sembra ovvio, la democrazia è un valore universale...  ma dirlo davanti a Leonid Brezhnev e Nicolae Ceaușescu aveva ben altro significato".

Gli anni Settanta, sono anni importanti nella vita di Berlinguer, anni che i coetanei di Veltroni (e ci siamo anche noi) ricordano bene. Anni di rabbia, di lotta, ma di grande speranza. Il popolo comunista si identificava nel segretario del Partito, Enrico Berlinguer. E nelle scene del film si trova la miglior  sinistra italiana, ma certo si vedono anche i preavvisi della sua fine. 

Ecco che tornano in mente alcuni passaggi di quegli anni. Quel momento straordinario di grande conquista che fu la vittoria del referendum sul divorzio nel 1974, poi le elezioni del 1976 e  la discesa verso il terrorismo con le sue assurde guerre. Ed il popolo di Berlinguer muore, l’11 giugno 1984, insieme al suo leader.

New York, almeno la New York italiana, ha accolto questo film con affetto, anche se la lontananza -  fisica e non solo temporale - ha accentuato quella patina che fa sembrare ancora più lontano Berlinguer. Come se fosse un eroe di un vecchio film in bianco e nero.

Ma documentari come “Quando c'era Berlinguer” sono importanti per non far volare via il ricordo, nel vento appunto. E questo al di là di ogni valutazione politica, ideologica, anche estetica.  Dall’Italia arriva per fortuna una notizia che ci fa sperare. Il documentario aumenta il suo pubblico giorno dopo giorno fino a toccare la più alta media per sala.
 

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