Quell'identità che parte dall'altro

Daniele Demarco (November 13, 2011)
All'Istituto Italiano di Cultura Claudio Magris risponde alle domande di Edwin Frank, editor del New York Review of Books. Cinquanta minuti che tengono inchiodato un attentissimo pubblico

Si può ancora affermare, come Don Chisciotte, “Yo sé quien soy” (Io so chi sono)? È’ con questo interrogativo che lo scrittore triestino Claudio Magris ha chiuso ieri sera la sua prolusione sul concetto di identità tenuta all’Istituto Italiano di Cultura di New York. Singolare che a parlare di identità, proprio nel bel mezzo delle celebrazioni per il centociquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, sia un autore così poco identificabile con il contesto letterario nazionale. Germanista e saggista, esperto di cultura ebraica e scandinava, Magris è, infatti, considerato tra i più notevoli eredi del pensiero mitteleuropeo e cioè di quell’arcipelago culturale che, fino al 1914, ha ruotato attorno alle istituzioni dell’ex Impero Austro-Ungarico. Si, proprio quell’Austria che, per decenni, ha rappresentato l’altro, l’oppressore, il nemico giurato dell’identità nazionale italiana. Come giustificare, dunque, la propria presenza di fronte al folto pubblico presente in sala?
 

Rispondendo alle domande rivoltegli da Edwin Frank, editor del New York Review of Books, Magris ha spiegato che “è proprio a partire dall’altro che noi costituiamo la nostra identità”. “Se tu mi chiedi di parlare di me – ha sottolineato l’autore triestino rivolgendosi a Frank – io descrivo prima di tutto ciò che mi circonda. In caso contrario sarebbe sufficiente esibire un documento d’identità, un codice fiscale, una carta di credito”. Ma un uomo, una comunità, un paese non sono soltanto numeri. Da qui il senso della prolusione che per circa quaranta minuti ha tenuto inchiodato alle sedie il pubblico presente all’Istituto Italiano di Cultura.
 

Magris ha proposto un colto e mirabolante excursus nella letteratura europea attraversando il pensiero di tutti quegli autori (Musil, Kafka, Dostoevskij, Celan) che hanno fatto del concetto di identità il centro di una riflessione critica. “Tra la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento - ha ricordato lo scrittore triestino – il pensiero e la cultura europea sono diventati un caos di idee. Come le sfoglie di una cipolla sono caduti, a uno, a uno, tutti i fondamenti del pensiero filosofico. Infine non è rimasto più nulla. Ed è proprio con quel nulla che, nel XX secolo, si è voluto descrivere il concetto d’identità”.  “Oggi il problema identitario è racchiuso in una contraddizione: quella tra essere e voler essere”, una contraddizione destinata a rimanere aperta.
 

Da questo punto di vista, sottolinea Magris, citando lo scrittore napoletano Raffaele La Capria, i racconti migliori del nostro tempo sono quelli falliti, quelli che, cioè, non riescono a dare senso al mondo e quindi si aprono a tutte le crisi e a tutti gli interrogativi, persino quelli più problematici. Valgono, dunque, per tutti le parole del giovane Kim, protagonista dell’omonimo romanzo di Rudyard Kipling: “Io sono Kim, io sono Kim. E che cosa è Kim?”. La scoperta dell’Io, ne deduce lo scrittore triestino, non può condurre oggi ad alcuna certezza. Cercare la propria identità equivale a gettarsi in un mare di interrogativi o, in quella che in gergo filosofico viene definita “complessità”.
 

Si chiude con queste parole l’ennesimo incontro a sfondo filosofico ospitato dall’Istituto Italiano di Cultura di New York, un incontro che, come ha ricordato il direttore Riccardo Vitale, è stato preceduto solo pochi giorni fa dall’intervento di Umberto Eco e Maurizio Ferraris sul problema del post-modernismo. Claudio Magris continuerà  la sua tourneè americana alla Casa Italiana Zerilli Marimò.

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